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LA REPUBBLICA
23 giugno 2007
IL SABATO DEL VILLAGGIO

L´INFORMAZIONE AVVELENATA
GIOVANNI VALENTINI

Da Tony Blair a Massimo D´Alema, passando per Silvio Berlusconi, Clemente Mastella e tanti altri, c´è un´insofferenza crescente della politica nei confronti dell´informazione: cioè della libertà dei giornalisti di informare e della libertà dei cittadini di essere informati. Se il premier inglese attacca i giornali alla fine del suo mandato, dopo essere stato smascherato riguardo ai falsi dossier dei servizi segreti di Sua Maestà sulle fantomatiche armi di distruzione di massa mai trovate in Iraq, i due ex premier italiani si ritrovano una volta tanto d´accordo sulla necessità di imbavagliare la stampa per vietare la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, anche quando non sono più coperte dal segreto, con la minaccia di sanzioni fino a 100 mila euro e addirittura l´arresto come prevede - appunto - il disegno di legge presentato dal ministro della Giustizia e già approvato dalla Camera.
Siamo di fronte a un giro di vite bipartisan che minaccia la libertà d´informazione nel nostro Paese: non solo quella dei giornalisti di fare più o meno bene il proprio dovere, ma soprattutto quella dei lettori e degli elettori di ricevere tutte le notizie a cui hanno diritto. Non si tratta di difendere l´autonomia, le prerogative, i privilegi di un ordine professionale, di una corporazione o di una casta. Bensì di tutelare la funzione di contropotere che la stampa è chiamata a esercitare, non tanto come "quarto potere" contrapposto a quelli costituiti, quanto come controllore del potere per conto della pubblica opinione. E quindi, di salvaguardare l´interesse generale della collettività a conoscere e giudicare i comportamenti di chi svolge il mandato popolare.
I giornalisti avranno pure tanti difetti, commetteranno tanti errori e omissioni. Ma è appena il caso di ricordare che, a differenza dei politici, si sottopongono ogni giorno al controllo e al giudizio dei loro lettori: i quali vanno o non vanno liberamente in edicola, scelgono questo o quel giornale e magari l´acquistano. I giornali vendono copie, non comprano voti, come talvolta fanno i partiti. Non hanno posti, prebende o favori da dispensare, ma solo notizie, commenti, opinioni da offrire al proprio pubblico.
A ben vedere, dunque, lo scandalo delle intercettazioni è in realtà un falso problema, un pretesto, un appiglio. Nessuno contesta ovviamente l´opportunità di limitarne e disciplinarne l´uso, o a maggior ragione sanzionarne l´abuso, a cominciare dalla stessa magistratura inquirente e dai pubblici ufficiali alle sue dipendenze. Ed è altrettanto ovvio che occorre tutelare innanzitutto i terzi incolpevoli, estranei alle indagini, citati magari occasionalmente nei verbali o nelle trascrizioni.
Tutto ciò non autorizza, però, a occultare il contenuto di conversazioni telefoniche che riguardano parlamentari, esponenti politici o amministratori locali, in nome della lesa maestà. A tutti costoro, proprio in rapporto al loro ruolo e alla loro responsabilità, dovrebbe spettare semmai una tutela minore, come accade del resto sul piano della privacy, della trasparenza patrimoniale e fiscale. Nessuno li ha obbligati ad assumere un mandato pubblico, ma questo - una volta assunto - li obbliga invece a rendere conto delle proprie azioni anche nella sfera privata o in qualche caso perfino in quella familiare.
Le intercettazioni non sono penalmente rilevanti? Ci mancherebbe altro che lo fossero. A quel punto, il discorso sarebbe del tutto diverso e riguarderebbe soltanto la magistratura. Saranno pure "penalmente irrilevanti", i contenuti di questi verbali, ma sono senz´altro moralmente rilevanti, più che rilevanti, trattandosi di uomini politici che ricoprono o hanno ricoperto rilevanti posizioni di potere. E perciò la loro pubblicazione ha indubbiamente un interesse pubblico, nella misura in cui rivelano o documentano comportamenti comunque discutibili, e in qualche caso censurabili, sul piano etico e civile.
Qualcuno può sostenere forse il contrario di fronte alle conversazioni telefoniche dei dirigenti diessini con Consorte, Ricucci e compagnia cantante, a proposito della scalata di Unipol alla Banca nazionale del Lavoro? O di fronte agli interessamenti di Berlusconi e dei suoi sodali nella scalata al Corriere della Sera? Per tutti noi, cittadini ed elettori, era meglio sapere o non sapere? E i giornalisti che hanno pubblicato le trascrizioni, meritavano davvero 100 mila euro di ammenda o magari l´arresto?
Non è mettendo il bavaglio alla stampa che la politica può recuperare credibilità e fiducia presso l´opinione pubblica nazionale. Al contrario, rischia di perdere ulteriormente un po´ dell´una e un po´ dell´altra. Per invertire la rotta, occorre piuttosto correggere le cattive abitudini e le ancor più cattive frequentazioni, evitare le interferenze indebite nella vita economica, distinguere tra valori e affari, separare gli interessi privati da quelli pubblici. Allora anche le intercettazioni telefoniche risulteranno sicuramente meno rilevanti, meno imbarazzanti, meno compromettenti per tutti.
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Merita di essere segnalata, a questo proposito, l´eccellente puntata di La Storia siamo noi, dedicata giovedì sera da Giovanni Minoli agli incidenti per il G8 di Genova. Con una grande ricchezza di filmati e testimonianze, la trasmissione di Rai Educational ha offerto una ricostruzione senza reticenze degli scontri fra la polizia e i no-global, comprese le comunicazioni via radio fra la questura e i reparti impegnati sul campo. Un modello di giornalismo televisivo, tanto più apprezzabile da parte del servizio pubblico, che fa onore alla verità e liquida le velleità di tanti talk-show o della fiction applicata alla realtà.
(sabatorepubblica.it)



INES TABUSSO