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Secondo il compositore Fabio Vacchi, "la diseducazione del pubblico è un
oceano molto vasto, dove trovano posto sia il vestirsi con abiti pseudo-casual,
che magari costano il triplo di quelli normali, sia far squillare il
telefonino, applaudire tra un movimento e l'altro di una sinfonia, sbattere le
porte dei palchi. La scelta della Scala è un richiamo all'avanguardia, contro
il conformismo dilagante", perché presentarsi in jeans e maglione è "un
atteggiamento ostentato e sbruffone".



LA REPUBBLICA
26 gennaio 2006
SPETTACOLI & CULTURA
Il sovrintendente Lissner ripristina un obbligo inosservato da anni
Ma Milano si divide.
Chailly: giusto onorare un luogo.
Dario Fo: è discriminazione
La Scala torna all'antico
cravatta sempre d'obbligo
di PAOLA ZONCA

MILANO - Abito scuro per le "prime", giacca e cravatta per tutte le
rappresentazioni, e per le donne "abbigliamento consono al decoro del teatro":
la Scala da questa stagione ha deciso di stampare sul retro dei biglietti una
sintesi (in italiano e inglese) delle norme di corretto comportamento da tenere
durante gli spettacoli, abiti compresi. E promette, per il futuro, controlli
discreti: nessuno sarà cacciato, dicono, ma invitato a osservare le regole. Una
scelta che fa discutere e divide artisti e pubblico: c'è chi è assolutamente in
linea col sovrintendente Stéphane Lissner, sostenendo che la Scala è
un'istituzione storica che merita rispetto, chi invece teme che l'invito a
presentarsi con una "divisa" possa allontanare ancora di più dalla musica
lirica e classica il grande pubblico.

"Sono d'accordo: è bello che in una sede storica come la Scala gli spettatori
abbiano un atteggiamento, non dico reverenziale, ma che onori il luogo"
sostiene il direttore d'orchestra Riccardo Chailly. Un'opinione non scontata la
sua, visto che ha lavorato a Londra e ad Amsterdam, dove il pubblico spesso va
ai concerti con un look casual. "In Olanda, poco manca che si presentino in
mutande" aggiunge "ma alla Scala no, la sua tradizione impone un atteggiamento
diverso".

Anche l'ex sovrintendente scaligero, Carlo Fontana, sostiene che la battaglia
è giusta: "Ho l'imprinting di Paolo Grassi, che diceva: Lenin ha fatto la
rivoluzione in giacca, cravatta e panciotto". La regola, però, non vale per i
musei. "Il teatro è un momento aggregante" aggiunge Fontana "Ci vuole rispetto
per chi lavora sul palcoscenico". Secondo il compositore Fabio Vacchi, "la
diseducazione del pubblico è un oceano molto vasto, dove trovano posto sia il
vestirsi con abiti pseudo-casual, che magari costano il triplo di quelli
normali, sia far squillare il telefonino, applaudire tra un movimento e l'altro
di una sinfonia, sbattere le porte dei palchi. La scelta della Scala è un
richiamo all'avanguardia, contro il conformismo dilagante", perché presentarsi
in jeans e maglione è "un atteggiamento ostentato e sbruffone".

Favorevole anche l'assessore alla Cultura del Comune di Milano, Vittorio
Sgarbi: "Bisognerebbe costringere i turisti a vestirsi in modo consono quando
visitano i monumenti, e questo vale anche per i teatri".

Meno drastico il parere del capo dell'ufficio indagini Figc Francesco Saverio
Borrelli, assiduo frequentatore della Scala. "Mi pare una pretesa eccessiva
ripristinare un rigore nei costumi" dice. "Certo, nessuno entrerebbe in una
chiesa in costume da bagno, quindi è giusto l'appello a non assistere agli
spettacoli in pantofole e camicia aperta sul petto villoso. Ma da qui a
esercitare dei controlli... Così si rischia di rendere i teatri delle
roccaforti del passatismo e di tenere lontano il grande pubblico".

"Brutto segno", sostiene il Premio Nobel Dario Fo. "È l'uomo che fa l'abito,
lo stile, non viceversa. Credo che la Scala preferisca avere spettatori tutti
molto simili, meglio se persone soltanto di un certo rango. È una forma di
discriminazione". Il giovane direttore Antonello Manacorda, ex violinista
pupillo di Abbado, è il più critico: "Mi viene da ridere: cosa vuol dire fare
dei controlli? Sono d'accordo sull'eleganza, che non fa male a nessuno, come la
bellezza. Ma perché identificarla con giacca e cravatta? E poi si vogliono
trascinare i giovani a teatro: se li obblighiamo a vestirsi come i loro
genitori, non li vedremo mai. E noi, per chi li faremo questi concerti?".





INES TABUSSO