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CORRIERE DELLA SERA
10 luglio 2006
«I Servizi? Fonti da verificare
E il cronista non sia militante»

ROMA - Lo conosce anche lei. «Come tanti giornalisti», precisa. Perché Marco Mancini, il capo della prima divisione del Sismi sotto inchiesta per il sequestro di Abu Omar e i rapporti con i giornalisti, «parlava con tutti, era una fonte come le altre». Ma per Lucia Annunziata il problema è un altro: «È come usi le fonti». E, soprattutto, il comportamento del vicedirettore di Libero Renato Farina, nome in codice «Betulla», «non è giustificabile». Perché «avrebbe incassato denaro» e perché «giustificando il suo operato con la quarta guerra mondiale in corso con il terrorismo» si sarebbe trasformato in «militante», dimettendo i panni di giornalista. Ha mai avuto rapporti, come giornalista, con i servizi segreti?
«Sempre e regolarmente, in particolare all’estero: quando fai l’inviata in zone di guerra i diplomatici e l’intelligence rappresentano fonti importanti, anche se non ufficiali. In Italia la stessa cosa: le categorie normalmente sentite sono i magistrati, la polizia e i servizi».
Quindi è assolutamente normale?
«A patto di trattarle come fonti. Il segreto è incrociarle: sarebbe meglio averne tre, anche se possono bastarne due se alternative tra loro. L’importante è non dare retta a una sola voce».
Conosce Marco Mancini?
«Sì, lo conosco. Ci avrò parlato due o tre volte».
Che impressione ne ha ricavato?
«Mi ricordo soprattutto l’incontro di tre estati fa. Ci parlai insieme al suo capo, Nicolò Pollari, quando era circolato un certo allarme per possibili attentati il giorno di Ferragosto. I due mi confermarono le impressioni preoccupate dell’intelligence, poi però le misi a confronto con quelle del Viminale, che aveva invece opinioni molto più tranquillizzanti: ne uscì un paginone bene informato, ma pieno di dubbi sull’allarme che si era diffuso».
E dopo ha avuto più rapporti?
«Con Mancini no. Pollari invece l’ho invitato qualche mese fa alla mia trasmissione televisiva. Volevo che mi dicesse qualcosa sul sequestro della Sgrena e l’uccisione di Calipari, ma non ha accettato».
Come giudica il «caso Farina»?
«Ci sono due cose che non sono proprio giustificabili. La prima riguarda i soldi ricevuti. È inutile dire che si tratta di piccole cifre: anche se fossero semplici rimborsi spese non andrebbero bene».
E la seconda?
«Riguarda il motivo ideologico con cui si è difeso. Nel momento in cui si sostiene che è legittimo comportarsi in quel modo perché nella presunta "quarta guerra mondiale" contro il terrorismo si deve stare dalla parte giusta, allora occorre fare un ulteriore ragionamento. Bisogna cioè dire che a quel punto non si è più giornalisti, ma militanti».
Sbaglia quindi Giuliano Ferrara a difenderlo?
«Fa bene, dal suo punto di vista, ma è interessante notare che lo difende, appunto, perché elogia la sua militanza e non tanto la sua attività giornalistica».
E come bisognerebbe comportarsi con i servizi segreti?
«Come con tutte le altre fonti, stando attenti alle contiguità. Ma è un discorso che riguarda anche altri settori. Quanti di noi giornalisti hanno politici amici e se ne fanno in qualche modo portavoci?».
Non teme che possa prevalere, in qualche reazione, la solidarietà di categoria?
«Di fronte a casi di giornalisti spiati e pedinati è opportuno esprimere in modo deciso tutta la nostra solidarietà. Credo, peraltro, che noi giornalisti siamo un po’ tutti controllati. Ma per quanto riguarda le scelte professionali, se uno spara sciocchezze o fa cose indifendibili, perché dovremmo andare in suo soccorso?».
Roberto Zuccolini

INES TABUSSO