00 18/05/2006 18:16
CORRIERE DELLA SERA
18 maggio 2006
Le intercettazioni e la latitanza della legge
di VITTORIO GREVI

La pubblicazione di interi brani di una conversazione intercettata tra Luciano Moggi (sottoposto a controllo telefonico, in quanto indagato per associazione a delinquere dalla procura della repubblica di Napoli) e l’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, ha riproposto clamorosamente il tema dei limiti di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente operate a carico di un soggetto indagato, allorché interlocutore occasionale di quest’ultimo sia un membro del Parlamento. Di qui l’immediato intervento del presidente del Senato Franco Marini, diretto a sollecitare la competente Giunta delle immunità ad occuparsi del caso, in vista di «opportune iniziative, anche di carattere legislativo, a tutela delle prerogative parlamentari». Il problema è complesso, perché deriva dalla sovrapposizione di due distinti profili. Da un lato, infatti, vi è la questione della segretezza e, quindi, dei vincoli alla pubblicazione dei risultati delle normali intercettazioni telefoniche tra soggetti non parlamentari. Dall’altro vi è la questione, che si innesta sulla prima, circa gli ulteriori vincoli di utilizzabilità gravanti sulle intercettazioni «indirette» a carico di un membro del Parlamento, cioè casualmente operate nei suoi confronti all’interno di una indagine riguardante altre persone.
Quanto al primo profilo, una volta che le intercettazioni siano state ritualmente autorizzate dal giudice, esse sono destinate a rimanere segrete fino al momento in cui il soggetto indagato non ne abbia avuto conoscenza. A partire da tale momento (si pensi all’ipotesi in cui i relativi risultati siano stati trasfusi in un provvedimento cautelare, o ricompresi in un invito a presentarsi per l’interrogatorio, o siano stati comunque depositati a disposizione delle parti) il segreto viene meno, e con esso decade anche il divieto di pubblicazione del «contenuto» dei colloqui intercettati. Ben più grave sarebbe ovviamente la situazione, concretandosi allora un delitto di rivelazione di segreto d’ufficio (per esempio da parte di organi di polizia, o della magistratura, ovvero di loro ausiliari), qualora i risultati delle suddette intercettazioni fossero stati divulgati a seguito di una fuga di notizie: cioè, nel nostro caso, prima che lo stesso indagato Moggi ne avesse avuto conoscenza.
Quanto all’altro profilo, il problema si complica per effetto della recente legge sulle immunità parlamentari, secondo cui nell’ipotesi di intercettazioni «indirette» relative ad un membro del Parlamento sarebbe sempre necessaria, per la loro utilizzabilità processuale (anche soltanto nei riguardi del terzo indagato, la cui utenza fosse sotto controllo), una successiva autorizzazione della Camera di appartenenza, in assenza della quale la corrispondente documentazione dovrebbe essere distrutta. Si tratta di una disciplina palesemente irragionevole (sulla quale dovrà presto pronunciarsi la Corte costituzionale), soprattutto nell’ipotesi in cui il membro del Parlamento non risulti pregiudicato dalle suddette intercettazioni, ed inoltre inidonea a tutelare la sfera di riservatezza del medesimo, quando si tratti di intercettazioni estranee al tema del procedimento.
Quest’ultimo, in realtà, è il vero problema (di tutti, non dei soli parlamentari), essendo palese la esigenza di evitare che, una volta caduto il vincolo della segretezza sui risultati delle intercettazioni, esse possano venire pubblicate prima del previsto stralcio delle parti non rilevanti ai fini giudiziari, come tali destinate ad essere distrutte. Al riguardo le soluzioni normative non mancano (a cominciare da quella dell’«archivio riservato» proposta a suo tempo dal guardasigilli Flick, e ripresa anche da alcuni più recenti disegni di legge), ma è singolare che nella scorsa legislatura, nonostante il grande clamore sollevato da alcune ben note vicende, non si sia trovato il tempo per porre rimedio a simili inutili violazioni della privacy dei cittadini: sia che si tratti, sia che non si tratti, di membri del Parlamento.







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CORRIERE DELLA SERA
17 maggio 2006
Pisanu intercettato, interviene Marini
Il presidente investe la Giunta delle elezioni. Il ministro: niente da nascondere

ROMA - Il ministro dell’Interno, intercettato «indirettamente» mentre parla con l’ex direttore generale della Juventus di arbitri designati per la sua squadra, la Sassari-Torres, si difende: «Voglio solo precisare che conosco Luciano Moggi da 40 anni e che sui miei rapporti con lui non ho nulla da nascondere». Beppe Pisanu allontana da sé illazioni e sospetti: «Mi dispiace molto che intercettazioni di nessuna rilevanza penale siano state divulgate arbitrariamente gettando ombre sulla mia condotta di ministro dell’Interno. Mi auguro che i magistrati competenti adottino le misure opportune». Come 5 mesi fa, quando nel tritacarne delle informative poi pubblicate finì il nome del segretario dei Ds Piero Fassino e la sua conversazione con il numero uno dell’Unipol, Giovanni Consorte, il Palazzo si ribella. Tanto che il presidente del Senato, Franco Marini, adesso scende in campo e investe la giunta delle Elezioni e delle Immunità di Palazzo Madama che, quando sarà insediata, dovrà subito occuparsi «dell’uso illegittimo delle intercettazioni telefoniche indirette in danno di parlamentari». Marini ha adottato la sua decisione «sulla base dell’applicazione della legge del 2003» e intende «proporre con urgenza le opportune iniziative, anche di carattere legislativo, a tutela dei parlamentari».
Tra gli alleati della Cdl che hanno difeso Pisanu, si è distinto un Marco Follini (Udc) molto concreto che si è rivolto al presidente Marini: «Sarebbe grave se, per mettere a nudo il sistema di illegalità che domina una parte importante del mondo del calcio, si finisse per fare ricorso a una giustizia sommaria che si serve di intercettazioni la cui pubblicazione è di assai dubbia legalità». Aggiunge l’ex segretario dell’Udc: «Sono sicuro che il presidente del Senato saprà far valere le tutele parlamentari previste dalla legge».
Il problema, comunque, non è di facile soluzione, tant’è che già nella scorsa legislatura la Cdl forte di una maggioranza schiacciante ha dovuto rinunciare al ddl Berlusconi-Castelli che imponeva un forte giro di vite per le intercettazioni telefoniche. Quel progetto è naufragato, anche perché prevedeva un vero e proprio blocco di questa tecnica investigativa e il divieto assoluto di pubblicazione degli atti, anche per riassunto, fino al termine delle indagini preliminari. Una più stretta regolamentazione dell’utilizzo delle intercettazioni è condivisa dal senatore Guido Calvi (Ds) il quale, ben prima che scoppiasse il caso Fassino, aveva presentato un ddl che ora è pronto a ripresentare. In buona sostanza, anche nell’Unione, soprattutto ora che è forza di governo, in molti sarebbero favorevoli a introdurre una norma semplice e risolutiva: ogni brogliaccio o informativa con le intercettazioni telefoniche deve essere riconducibile a un responsabile ben identificabile, a chi «ha le chiavi della cassaforte», in modo che il magistrato o l’ufficiale della polizia giudiziaria ne rispondano in caso di fughe di notizie.
Il dibattito è rinviato ai prossimi giorni quando al Senato nascerà la giunta delle Immunità. Per ora Pisanu si deve accontentare della solidarietà espressa da Francesco Cossiga, Domenico Nania (An), dagli azzurri Fabrizio Cicchitto e Niccolò Ghedini. Attacca il vice coordinatore di Forza Italia: «Queste intercettazioni non hanno conseguenze penali e allora dovevano essere distrutte. Invece vengono conservate e passate alla stampa. Il caso è molto increscioso perché, qualora ci fosse stato qualcosa di penalmente rilevante, sarebbero dovute finire al tribunale dei ministri».
Dino Martirano


INES TABUSSO