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LA STAMPA
30 gennaio 2006
Caselli: non candidare anche alcuni assolti
Giorgio Ballario


«Che cosa penso delle affermazioni del procuratore Grasso? Sono d’accordo con lui, certo, si tratta di cose assolutamente condivisibili. Anzi, per gli addetti ai lavori è un po’ come scoprire l’acqua calda e mi stupisco delle polemiche che hanno suscitato. La Mafia esiste da 150 anni, non è pensabile che si tratti soltanto di una banda di gangster: il punto di forza dei boss sono proprio gli appoggi e le coperture di cui godono presso spezzoni della politica, delle istituzioni e della società civile».
Giancarlo Caselli, procuratore capo a Palermo negli anni ‘90, ora alla guida della Procura generale di Piemonte e Valle d’Aosta, condivide le motivazioni dell’appello a non candidare i politici inquisiti per legami con la criminalità organizzata. Anzi, se possibile va più in là. Invitando gli esponenti politici a rileggersi certe sentenze di assoluzione e a non mettere in lista neppure taluni che in Tribunale se la sono cavata.
Dottor Caselli, non le sembrano opinioni fondamentaliste?
«Si può essere assolti sul piano penale, ma censurati da un punto di vista politico e morale. I partiti ne dovrebbero trarre le conseguenze più opportune».
Il coordinatore regionale di Forza Italia in Sicilia, Angelino Alfano, dice che ci sono state troppe assoluzioni di uomini politici per potersi fidare solo delle indagini.
«Mi pare che la politica italiana, nel suo complesso, tenda sempre ad autoassolversi. Vorrei che tutti si accollassero la fatica di andarsi a rileggere le sentenze degli ultimi anni e si sforzassero di non ragionare per slogan. Parlo delle sentenze di condanna, ma anche di assoluzione per insufficienza di prove e assoluzioni per prescrizione. Mi domando: se un personaggio pubblico non viene condannato perché nel frattempo quei reati si sono prescritti, come lo si deve considerare da un punto di vista politico e morale?».
E se le indagini sono ancora in fase preliminare?
«Premesso che sul piano penale è fondamentale riconoscere la presunzione d’innocenza, sul piano politico-morale mi sembra calzi a pennello l’esempio fatto una volta dal mio amico Piercamillo Davigo, che ovviamente non vale solo per i politici coinvolti nelle inchieste mafiose. Se invito una persona a casa mia e mi accorgo che si mette in tasca le posate d’argento, come mi comporto? Lo denuncio, è ovvio. Ma non credo che aspetterò la condanna in Tribunale per smettere di invitarlo a casa mia. Invece quanti sono, ancora oggi, quelli che vengono trovati con le mani nella marmellata e continuano a essere invitati a questo e quel banchetto? In Italia, perché in molti altri Paesi persino piccole irregolarità amministrative possono stroncare prestigiose carriere politiche».
Se invece molti politici inquisiti verranno ricandidati, che conclusione dovremo trarne?
«Non ho nessuna pretesa di insegnare ai politici il loro mestiere, ma come cittadino mi preoccuperebbe un’ulteriore eclissi della questione morale».
A che punto è la lotta alla Mafia?
«Credo si debba sciogliere il nodo di sempre: indagare non solo sul versante “militare”, ma far luce soprattutto sugli intrecci tra i boss e la società civile, a livello politico, istituzionale ed economico. Ma chi decide di investigare senza far sconti a nessuno, neppure agli imputati eccellenti, prima o poi si scontra con difficoltà d’ogni genere. È successo persino a Falcone e Borsellino e parlo degli anni precedenti agli attentati del 1992. Quando hanno incominciato a interessarsi un po’ troppo ai vari Ciancimino, i cugini Salvo e i cosiddetti cavalieri del lavoro di Catania, da un punto di vista professionale furono spazzati via. Falcone fu costretto a “emigrare” a Roma per poter proseguire il suo lavoro».
Hanno messo i bastoni fra le ruote anche a lei?
«È stata fatta una legge “contra personam” per impedirmi di concorrere alla Procura nazionale Antimafia, facendomi “espiare” il processo Andreotti. Peccato che la Cassazione abbia detto che in fin dei conti avevamo avuto ragione...».

INES TABUSSO