00 15/01/2006 01:44
Marco Travaglio - CARTA CANTA
Tarok Ben Ammar

"Sono amico di Berlusconi da vent'anni, ma ora voglio diventarne un piccolo concorrente. Prima o poi il duopolio Rai e Mediaset dovrà spezzarsi" (Tarak Ben Ammar, presentando ai giornalisti le sue nuove tv Sportitalia e D-Free, "Europa", 13 febbraio 2004).

"Le frequenze sono merce rara e Berlusconi ne aveva bisogno per il business della tv mobile, che avrà un grande futuro. Quando ho acquistato, Bruxelles ha fatto un anno e mezzo d'indagini su tutte le mie relazioni con Berlusconi e Murdoch. Hanno autorizzato l'operazione. E quelli non scherzano. Io vendo perché in Italia c'è il duopolio Rai-Mediaset e l'Auditel non rileva le piccole televisioni. Io ho protestato, l'Authority
italiana di settore ha aperto un dossier, qualcosa verrà fatto. Nel frattempo, però, ho dovuto constatare che non era possibile andare avanti così: abbiamo lanciato Sportitalia con 140 giornalisti, ma dopo 18 mesi l'Auditel non aveva ancora verificato i dati di ascolto dicendo che non era organizzata per farlo. Niente indici, niente pubblicità. I ricavi non bastavano, perciò ho ceduto (TarAk Ben Ammar, annunciando la vendita delle sue frequenze a Mediaset, Corriere della Sera, 3 gennaio 2006)

(9 gennaio 2006)


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L'UNITA'
6 febbraio 2004
VIDEO AMMAR QUANT'È BBELLO
Di M. Travaglio

Quando Berlusconi è in difficoltà, i
casi sono due. O lo salva l'opposizione,
come tre giorni fa alla Camera sulla Gasparri.
Oppure salta fuori un arabo, à la
carte. Pur convinto della «superiorità della
civiltà occidentale su quella araba», il Cavaliere
degli arabi apprezza almeno un particolare:
i soldi. A caval donato - come diceva
Vittorio Mangano - non si guarda in
bocca. È notizia fresca che il produttore
franco-tunisino Tarak Ben Ammar sbarca
in Italia con due nuovi canali tv: uno analogico
di sport (Sportitalia), l'altro digitale
terrestre (D-Free) con film, notiziari, spettacolo.
Tutto gratis. Tarak, che è anche
molto spiritoso, assicura che il suo vecchio
amico e socio Berlusconi non c'entra: «L'
amicizia è sacra, ma non mi occupo più di
Fininvest né diMediaset.Ora sono un concorrente
». Immaginabile il terrore di Confalonieri
e il panico ad Arcore. I programmi
D-Free li forniranno Canale 5 e Italia 1.
Il responsabile di Sportitalia è Angelo Codignoni,
già direttore de La Cinq (la tv berlusconiana
francese), già padre fondatore
dei club Forza Italia. Grazie al duo Tarak-
Codignoni la favola del digitale terrestre
- pezzo forte del cosiddetto ministro
Gasparri - avrà almeno un appiglio nel
mondo reale, così sarà più facile salvare
Rete4 dal satellite. Ma Berlusconi non c'entra.
Insignito della Legion d'onore daMitterrand
nel 1984, da vent'anni Tarak rappresenta
in Europa il principe saudita Al
Waleed, antico azionista Fininvest e noto
finanziatore del fondamentalismo islamico
tramite l'Arab Bank. Dopo l'11 settembre,
lo sceicco ebbe la pensata di offrire un
obolo al sindaco Rudy Giuliani per la ricostruzione
delle Due Torri. Giuliani rifiutò
l'assegno, trovando curioso che un possibile
amico di chi le aveva abbattute s'impegnasse
a rimetterle in piedi. Per conto di Al
Waleed, Tarak è stato per anni nel Cda di
Mediaset. Ne è uscito qualche mese fa per
accomodarsi in quello di Mediobanca. E,
visto che «l'amicizia è sacra», si è gettato
più volte al salvamento dell'amico Silvio.
Soprattutto una.
Siamo a fine '95. Il pool di Milano
scopre il vero proprietario della misteriosa
società off-shore All Iberian, con sede nelle
Isole del Canale, da cui patì unmazzettone
di 15 miliardi finito sul conto svizzero Northern
Holding di Bettino Craxi. Il proprietario
è il cavalier Berlusconi, che naturalmente
giura e sempre giurerà di non averla
mai sentita nominare. All'epoca il «riformismo
» all'italiana è di là da venire, e pagare
tangenti a Craxi è ancora considerato
poco igienico. Il Cavaliere spiega che è tutto
un equivoco: «Massima trasparenza. È
una delle tante transazioni commerciali di
un gruppo che opera nel cinema e nella tv
a livello internazionale. Il nostro settore
esteri ci ha confermato che la nostra Principal
Communication pagò 15 miliardi all'
olandese Accent Investment del produttore
Tarak Ben Ammar per la commercializzazione
di diritti televisivi e cinematografici
in Francia per 100 miliardi. Il contratto
era seguito da All Iberian, che non appartiene
a Fininvest e che, dovendo procedere
al pagamento, chiese alla Accent di indicarle
un conto». Tarak avrebbe indicato quello
di uno studio legale «usato anche da
altre persone». Compreso Craxi. Così, per
puro caso, i 15 miliardi finirono a Bettino.
Un semplice disguido. La versione di Silvio,
rilanciata a reti unificate, convince gli
italiani che il pool di Milano ha imbastito
l'ennesimo complotto politico. Tanto più
che il 24 novembre '95, con cronometrico
tempismo, il Tg5 dell'«indipendente» Enrico
Mentana mette a segno uno scoop sensazionale:
riesce a scovare e a intervistare,
collegato da Parigi, Tarak Ben Ammar. Il
quale conferma puntualmente le parole
del Cavaliere: a indicare il conto fu un
avvocato iracheno legato all'Olp, Zuhair al
Kateeb, che lavorava anche per Craxi e che
poi dirottò i 15 miliardi ai palestinesi di
Arafat. Craxi, pover'uomo, non vide una
lira.
Purtroppo, più volte convocato dal
Tribunale di Milano per ripetere il suo
fiabesco racconto al processo All Iberian,
Tarak si guarda bene dal presentarsi. Purtroppo
l'Olp smentisce di aver mai visto
quei soldi. Purtroppo Zuhair al Kateeb nega
di averne mai saputo nulla. E purtroppo
i revisori dei conti Arthur Andersen,
che sanno tutto dei conti del Biscione, testimoniano
di non essersi mai imbattuti nel
fantomatico accordo Fininvest-Tarak per i
diritti in Francia. Così Berlusconi e Craxi
vengono condannati in primo grado per
finanziamento illeciti. In appello li salva la
prescrizione. La Cassazione, nel 1999, sbugiarda
definitivamente il Cavaliere e l'amico
Tarak: «Le operazioni societarie e finanziarie
prodromiche ai finanziamenti estero
su estero dal conto All Iberian al conto
Northern Holding furono realizzate in Italia
dal gruppo Fininvest Spa con il rilevante
concorso di Berlusconi quale proprietario
e presidente».
Ultimo particolare: pochi mesi dopo
l'intervista-scoop al Tg5, Tarak Ben Ammar
entra trionfalmente nel CdaMediaset.
L'amicizia è sacra.


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LA STAMPA
14 gennaio 2006
Le dichiarazioni
«Pronto a collaborare
MILANO

Tarak, naturalmente. E chi se non lui, il polimorfo produttore-finanziere-mediatore-banchiere franco-tunisino e quando serve pure assai italiano, poteva risultare così prezioso con le sue rivelazioni a Silvio Berlusconi, tanto da portare il premier a varcare la soglia della Procura romana? «Ho confermato ai magistrati che sono a disposizione della giustizia per parlare con loro. Stiamo fissando la data e l’ora visto che sono all’estero», risponde adesso al telefonino Tarak Ben Ammar, cortesissimo come sempre ma abbottonato come non mai. Ma anche se «non confermo e non smentisco quello che ha detto Berlusconi», conferma in pieno quello che aveva dichiarato appena venti giorni fa in un’intervista a Repubblica, ossia che «Consorte ha contattato i soci francesi ma il cda di Generali è stato inflessibile: vendiamo al miglior offerente» e che «ho informato Berlusconi dell’eventualità che l’8% di Bnl finisse all’Unipol». Quella di Ben Ammar, del resto, è una presenza costante nella vita e nelle opere - spesso esaminate con interesse dalla magistratura - del Silvio Berlusconi politico e imprenditore. Tanto da concretizzare talvolta il sospetto di un vero e proprio «soccorso - absit iniuria verbis - rosso», del premier a cui lo legano un rapporto cominciato nell’83, una grande amicizia e molti affari in comune. C’è Tarak, ad esempio, nel processo All Iberian, che vede Berlusconi imputato di finanziamento illecito al Psi di Craxi, condannato in primo grado e poi assolto in appello perché il reato finisce in prescrizione. In quel processo Ben Ammar dichiara che i 20 e rotti miliardi di lire transitati per la società All Iberian in realtà sono diretti a lui come pagamento per una transazione, anche se all’epoca si dimostra meno sollecito di oggi nella collaborazione giudiziaria: invitato a comparire due volte come teste dai giudici milanesi non si presenta adducendo impegni di lavoro e chiedendo invece di essere ascoltato - come non accadrà mai - a Parigi. Ma anche nel campo degli affari Tarak è uomo preziosissimo per Silvio. C’è lui, con i suoi contatti intercontinentali e interculturali, a portare il finanziere saudita Al Waleed bin Talan di cui è il plenipotenziario nell’azionariato Mediaset quando nel 1995 il Cavaliere oberato dai debiti lancia il «progetto Wave» e fa sbarcare in Borsa la sua holding televisiva. E spunta Tarak anche accanto a quel Rupert Murdoch che prima di provare sulla sua pelle di squalo il morso del duopolio televisivo italiano aveva scelto l’alleanza con il Biscione per cercare di sfondare in Italia. Un rapporto così stretto, quello tra Ben Ammar e Berlusconi, che il produttore entra nel consiglio di Mediaset proprio nel 1995 per uscirne solo nel 2003, quando tra l’altro conquista una poltrona nel cda di Mediobanca. Ma la sua strada e quella del gruppo Fininvest continuano comunque a intrecciarsi anche in tempi recentissimi. A fine 2003, infatti, è proprio Ben Ammar a rilevare 776 frequenze analogiche in Italia che Murdoch era stato obbligato a vendere dall’Antitrust europeo dopo la fusione Stream-Tele+ da cui nasce Sky Italia. Poi, assieme ai francesi di Tf1 e ad Angelo Codignoni - altra vecchia conoscenza del cavaliere - lancia nel 2004 lancia il canale Sportitalia. Ma dopo circa due anni l’uomo per il quale la politica, gli affari e soprattutto la tv di casa nostra non dovrebbero avere segreti, si accorge della tragica realtà del duopolio Rai-Mediaset. Soluzione. Sportitalia passa sulla piattaforma digitale di Sky e le frequenze analogiche passano a una nuova società - a maggioranza Mediaset - che le userà per fare tv sui telefonini. Un «portage», che riconduce in casa del Biscione le frequenze che Murdoch era stato obbligato a cedere, osserva qualcuno. Ma Tarak replica convinto: «Vendo perché in Italia c’è il duopolio Rai-Mediaset e l’Auditel non rileva le piccole televisioni». Non è, del resto, che al nostro manchi la capacità dialettica. Anzi, per il produttore che vanta il nome anche sui titoli di coda di Guerre Stellari e su quelli - lui, musulmano dichiarato - della Passione di Cristo, cortesia e loquacità sono come abiti tagliati addosso. Un po’ per formazione familiare e culturale, visto che è nipote del primo ministro Habib Burghiba e suo padre era il primo ambasciatore a Roma di una Tunisia finalmente indpendente. Un po’ per una naturale esuberanza e un’innegabile simpatia che lo spinge inevitabilmente ad essere molto amato dal mondo giornalistico e un po’ meno da quello finanziario di rito ortodosso. Memorabili, ad esempio, alcune sue esternazioni all’uscita del consiglio di amministrazione Mediobanca, dove siede in rappresentanza dei soci francesi, che hanno contibuito a fare a brandelli molta della mitologia sui silenzi tombali di Piazzetta Cuccia e dei suoi soci. Ma, colore giornalistico a parte, dall’alta torre di Mediobanca lo sguardo può spaziare oggi ben più lontano di quanto si spingesse in Mediaset. Fino ad esempio a quelle Assicurazioni Generali - di cui proprio Mediobanca è il primo azionista - che Berlusconi ha evocato ancora l’altro giorno e che, scalate bancarie a parte rappresentano per molti, premier compreso, il vero frutto proibito della finanza italiana.



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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DAI MAGISTRATI SI BASA SU UNA CONFIDENZA FATTAGLI DA TARAK BEN AMMAR
Il premier e quella cena Ds-Generali
ROMA

Il giorno dopo, è tutto più chiaro. E’ Silvio Berlusconi stesso a raccontare quello che era andato a riferire ai magistrati: «Ai pm ho semplicemente detto: chiamate il signor Ben Ammar e il presidente di Generali e fatevi raccontare da loro con chi sono andati a cena. Io non so nient’altro». Ecco dunque il gran mistero che Berlusconi aveva in serbo e che due giorni fa, su consiglio dell’avvocato Nicolò Ghedini, ha trasformato in una testimonianza ai magistrati della procura di Roma: ci sarebbero stati più incontri conviviali tra persone diverse dei Ds e il presidente delle assicurazioni Generali Antoine Bernheim. Una cena con Massimo D’Alema e altri tre diessini. Durante l’incontro si sarebbe parlato della scalata Unipol. Un pranzo con Walter Veltroni. A Berlusconi li ha raccontati il finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar. Sempre per stare alle parole di Berlusconi: i Ds «avevano chiesto di incontrare Bernheim e non erano certamente andati a pranzo o a cena per chiedergli se stesse bene». Ma i vertici di Generali non hanno gradito. E perciò ieri mattina hanno smentito non tanto l’incontro conviviale, quanto il senso generale: «Pressioni esercitate sul vertice del gruppo Generali da parte di esponenti politici in merito alla cessione della partecipazione detenuta in Bnl? Indiscrezioni del tutto prive di fondamento». Massimo D’Alema non smentisce la cena, ma ridicolizza il tutto: «Non ho nulla da aggiungere a quanto viene detto chiaramente nel comunicato delle Generali. Il caso delle pressioni è chiuso... Sarebbe buffo mi venisse imputato di incontrare qualcuno». Ora tocca alla procura. La testimonianza del premier va approfondita. Primo passo è stato contattare le persone citate, a cura della Guardia di Finanza, e chiedergli di presentarsi negli uffici giudiziari. Sia Tarak Ben Ammar, sia Bernheim, che in questi giorni sono all’estero, hanno dato la loro disponibilità per i prossimi giorni. Viene escluso, per il momento, di sentire uomini politici. Il gruppo Generali ha poi precisato che la linea in merito alla possibile vendita della quota «è stata unicamente decisa dal consiglio di amministrazione» e che, come già comunicato, si sono ispirati «solo a corrette logiche di mercato». Ma che ci siano stati gran conciliaboli nelle sedi politiche, nei giorni caldi della scalate contrapposte - baschi di Bbva contro immobiliaristi romani, poi rilevati da Unipol - lo raccontano tanti protagonisti. Lo dice Berlusconi alle telecamere di «Conferenza stampa», la trasmissione di Anna La Rosa: «Bernheim è venuto da me. Mi ha chiesto: “C’è una posizione istituzionale del governo su quale cordata si preferisce?” Ho risposto: No, in Italia c’è libero mercato, Generali faccia ciò che riterrà più conveniente per i suoi azionisti». Il che è più o meno quando Tarak Ben Ammar aveva raccontato a «Repubblica» qualche settimana fa: «Consorte ha contattato i soci francesi, ma il cda Generali è stato inflessibile: vendiamo al miglior offerente. Ho informato Berlusconi dell’eventualità che l’8% di Bnl finisse all’Unipol e lui mi ha risposto che il mercato doveva fare il suo corso».
Ecco, questo il cuore della testimonianza di Berlusconi. Egli stesso dice di non considerare il fatto «rilevante penalmente, ma politicamente è una cosa molto grave». E questa è la sua conclusione: «Chi diceva di non aver partecipato in alcun modo alle vicende di acquisizione della Bnl da parte di Unipol, proprio costoro, quattro persone di costoro, avevano addirittura per la prima volta chiesto di incontrare il presidente delle Generali detentore del pacchetto dell’8%». Pacchetto peraltro «decisivo», lo definisce. A stare ai comunicati ufficiali, in effetti il consiglio di amministrazioni delle Generali si riunì il 19 luglio scorso ed esaminò sia le condizioni dell’Opa della Bbva, «sia dell’annuncio del prossimo avvio di un’offerta obbligatoria d’acquisto da parte di Unipol». Quello stesso giorno, come da intercettazione telefonica, Consorte veniva informato direttamente da Bernheim. Il presidente di Unipol diceva a un suo amico: «Bernheim ci darà le azioni in Opa». Tre giorni dopo, il 22 luglio, Generali comunicava al mondo di «avere deciso di non aderire all’Ops promossa da Bbva».

INES TABUSSO