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LA STAMPA
8 dicembre 2005
LA SUCCESSIONE DIFFICILE: PESA ANCORA LA RIFORMA DEL GOVERNO SUGLI INCARICHI E L’ETA’ PENSIONABILE
Palermo, sul dopo-Grasso torna la guerra per bande
I «Caselliani» e i seguaci del procuratore si fronteggiano

di Francesco La Licata

PALERMO. Il giudice Giacomo Montalbano, a porte chiuse, in un’aula del secondo piano del nuovo edificio del Palazzo di Giustizia, discute con i sostituti Maurizio De Lucia e Nino De Matteo sulle famose «scandalose intercettazioni» del governatore Totò Cuffaro. Il quesito da risolvere è sempre lo stesso: distruggerle - almeno quelle che riguardano colloqui con parlamentari - o tenerle a disposizione dei pubblici ministeri che si occupano di altri processi e potrebbero chiederne l’utilizzazione.

L’avvocato Nino Caleca presenzia a tutela del presidente Cuffaro. A pochi metri dall’aula, nelle stanze dei corridoi della Procura teatro di mille stagioni al veleno, si discute («informalmente» per carità) della successione a Piero Grasso, appena passato alla Direzione Nazionale Antimafia. Ovviamente nessuno accetta di fare ipotesi e previsioni, la materia è incandescente - non si è ancora placata la contrapposizione tra i fedelissimi di Grasso e quelli che vengono ancora etichettati «Caselliani» - e persino un candidato palese come Guido Lo Forte spende qualche asettica frase sulla domanda alternativa da lui avanzata per la Cassazione, ma taglia il discorso se si scivola sulla corsa alla Procura di Palermo. Ma cosa c’entra l’udienza per la distruzione delle «telefonate galeotte» di Cuffaro con la guerra sotterranea per la successione a Grasso? C’è un nesso? Ufficialmente non c’è collegamento, anche se - si sa - a Palermo c’è sempre qualcosa che lega avvenimenti apparentemente distanti. Nessuno ignora quanto tempestosa sia stata l’ultima stagione della Procura palermitana, segnata dall’esclusione di Giancarlo Caselli dalla successione a Piero Luigi Vigna e dalla violenta spaccatura interna negli uffici di piazza Vittorio Emanuele Orlando. Una spaccatura che qualcuno ha voluto interpretare come contestazione al «metodo Grasso» da parte di chi sponsorizzava Caselli alla carica di procuratore nazionale antimafia.

Molti concorrenti
E così, ora che la poltrona palermitana è vuota, lo scontro si perpetua sul duplice fronte della successione e della guerriglia processuale per le inchieste su mafia e politica. Per la successione ci sarebbe un candidato «fortissimo» gradito sia al governo sia all’opposizione. Il riferimento è all’attuale procuratore di Messina, Luigi Croce, che però è vittima della riforma «anti-Caselli» voluta dal governo. Croce ha già compiuto 67 anni e sarebbe scartato a priori, perché al momento della pensione (70 anni) non riuscirebbe a concludere il mandato di quattro anni. Su Croce, che milita nella corrente di Unità per la Costituzione, sarebbe agevole concentrare il gradimento di tutta la corrente ed anche la non-opposizione della sinistra del Csm, togata e laica. Gli altri concorrenti (sono 16 le domande finora giunte al Csm) più accreditati sembrano: Francesco Messineo (procuratore di Caltanissetta), Guido Lo Forte (ex aggiunto di Caselli) e Giuseppe Pignatone (uomo forte della gestione Grasso). Anche questi sono esponenti di Unicost, corrente di maggioranza, non vengono penalizzati dalla riforma e possono vantare una buona esperienza antimafia. Non sarebbe agevole scegliere, per esempio, fra Lo Forte e Pignatone. I due impersonificano - per i ruoli che hanno ricoperto - la contrapposizione fra «Caselliani» e «Grassiani» e difficilmente il Csm potrebbe scegliere la strada di una ennesima spaccatura.

La terza via
Sarebbe quasi consequenziale la ricerca di una terza via. Senza considerare che sul metodo che il Csm sceglierà per la nomina, incombe sempre la possibilità che si faccia prevalere il criterio dell’anzianità. In questo caso i favoriti sarebbero magistrati meno conosciuti ma forti di lunga militanza nei Tribunali: da Francesco Marco Bua, a Renato Nunzio Papa, a Libero Mancuso, presidente di Corte d’Assise a Bologna, che però potrebbe optare per una Procura in Toscana. Il ricorso al criterio dell’anzianità, tuttavia, è stato nel tempo sempre meno adottato - specialmente nelle Procure «calde» - a favore della cosiddetta «competenza» sul piano della lotta alla mafia. Ci sarebbe scappatoia per far rientrare dalla finestra ciò che la riforma ha messo fuori dalla porta e qualcuno ipotizza già la possibilità di puntare su Luigi Croce. Come? Con un provvedimento legislativo (decreto o maxiemendamento della Finanziaria) che porti a 72 anni l’età pensionabile dei magistrati. Così Croce ritornerebbe nominabile. Ma insieme con lui potrebbero tornare in pista tutti gli esclusi dalla riforma, compreso persino Caselli. In quel caso si dovrebbero riaprire i termini del concorso con conseguente allungamento dei tempi: la successione a Grasso potrebbe slittare anche di mesi. Una «vacatio» pericolosa, a giudicare dal fermento che agita i corridoi del «Palazzaccio». Ieri, per esempio, i pm che hanno reiterato al giudice Montalbano la richiesta di distruggere le 150 intercettazioni tra Cuffaro e una serie di parlamentari (in particolare un colloquio con Berlusconi), non han tenuto conto di una lettera, loro inviata da altri colleghi della Dda, con la quale chiedevano di «salvare» quelle intercettazioni, almeno sino a quando tutti non saranno in grado di verificare se siano utili per altre inchieste.

Cancellare le registrazioni?
Il giudice si è riservato di decidere: nel caso andassero distrutte, non è difficile prevedere come quelle intercettazioni potranno diventare l’ennesima occasione di scontro. Tra i pm, infatti, c’è chi si dichiara poco convinto della necessità di cancellare le registrazioni senza i passi necessari. E i «passi necessari» difficilmente potrebbero fare a meno di una richiesta di autorizzazione a procedere: l’unica possibilità di sentire i protagonisti della vicenda (e chiedere spiegazioni a Berlusconi a proposito dell’affermazione «E’ tutto sotto controllo, ho parlato col ministro dell’Interno») che risultano coperti da immunità. I titolari del processo a Cuffaro, da parte loro, hanno già espresso la loro indifferenza per le intercettazioni, ritenute «ininfluenti» nel dibattimento contro il governatore siciliano, imputato di favoreggiamento aggravato alla mafia.
INES TABUSSO