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LA REPUBBLICA
5 ottobre 2005

"Violante sbaglia su Mani Pulite, i pm non inseguivano il consenso"
Cinzia Sasso

MILANO - Dottor Francesco Saverio Borrelli, un autorevole esponente della sinistra dice che negli anni di Mani Pulite furono commessi degli errori. Lei era il capo della Procura della Repubblica di Milano, il più temuto degli uffici giudiziari; qualsiasi pezzo di carta partisse di là provocava il finimondo. È giocoforza che sia chiamato a rispondere di questa critica.
«Ancora? Tredici anni dopo stiamo ancora parlando di questo? Tredici anni dopo quel 17 febbraio del ‘92, giorno dell´arresto di Mario Chiesa, è possibile che si continui a ragionare sul modo in cui si mosse la magistratura e nessuno invece ricorda più partiti, correnti, segretari, tesorieri, boss, pubblici amministratori che rubavano a man salva nella generale indifferenza, anzi, connivenza? Tutti sapevano tutto, si è detto poi; eppure nessuno protestava. Per rispondere prendo a prestito un´espressione di Piercamillo Davigo: è come se dei cani da guardia abbaiassero perché sentono dei ladri e il padrone scendesse a bastonare i cani».
Luciano Violante, nella sua accusa, è preciso: la politica era talmente fragile, ha detto, che non riusciva a distinguere gli avvisi di garanzia fondati da quelli infondati.
«La fermo subito perché è necessario fare un rilievo di carattere linguistico. L´informazione di garanzia non è fondata o infondata; può esserlo un´imputazione. L´avviso è semplicemente l´avvertimento che si dà al cittadino del fatto che si sta indagando sul suo conto. È deplorevole che le due espressioni siano considerate equipollenti».
Ammetterà però che quando qualcuno veniva raggiunto da un avviso, appunto solo l´inizio di un procedimento, aperto a ogni conclusione, era come se avesse contratto la peste.
«La responsabilità di questo non è dei magistrati. Contro quella lettura dell´avviso di garanzia noi abbiamo sempre protestato: veniva sovraccaricato di significati. E questa confusione mi stupisce ancora di più da parte di un ex magistrato. Piuttosto: nessuno ha la lucidità e l´onestà intellettuale di ammettere che se oggi il malcostume continua rigoglioso in tanti settori questo è dovuto in parte anche a campagne di rabbioso svilimento di Mani Pulite e dei suoi protagonisti».
L´onorevole Violante, criticando alcune sue dichiarazioni, ha anche detto che un magistrato non deve parlare di consenso.
«È paradossale che questa lezione di deontologia dell´immagine venga da un magistrato che sul consenso - giustamente ottenuto nella lotta al terrorismo - ha costruito una propria brillante e durevole carriera politica».
Sotto le vostre finestre però c´erano i cortei, la gente vi applaudiva, a Craxi lanciavano le monetine in piazza.
«Sfido chiunque a dimostrare che in mezzo secolo di magistratura e fino all´ultimo, al discorso di inaugurazione dell´anno giudiziario 2002, io abbia mai seguito il vento favorevole o mi sia fermato per il vento contrario».
Ma il suo «resistere» è diventato un slogan dal forte significato politico.
«Non certo nelle mie intenzioni. E credo di aver sottolineato più volte il rischio che le lusinghe, più ancora che le minacce, condizionino la psicologia dei giudici. Quando il popolo dei fax si affollava sotto le nostre finestre, quando i girotondini ante litteram battevano le mani, ho sempre manifestato il mio imbarazzo. La legittimazione del magistrato non viene dal consenso della piazza. E non lo dico ora. Altro però è constatare che il consenso c´è stato: entusiastico e generalizzato, non diversamente da quello che c´era stato nel periodo del terrorismo».
In quegli anni la magistratura ha svolto un ruolo di supplenza.
«La magistratura aveva occupato lo spazio che i politici avevano lasciato - e tuttora lasciano - al libero fiorire della corruzione».
Torniamo da capo: bastava un avviso di garanzia per stroncare una carriera politica.
«Ma non è poi così mostruoso. Nei paesi civili del mondo accade che un ministro si dimetta solo perché corrono sospetti sulla sua morale sessuale. Non mi sembra così paradossale... in Paesi di più consolidata democrazia e onestà pubblica il sospetto è sufficiente a far dimettere chi ricopre una carica pubblica».
Adesso anche i condannati o quasi resistono al potere.
«È la riprova che il nostro non è un paese normale. Come del resto si va dicendo da tempo sui più autorevoli giornali stranieri».

INES TABUSSO