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TESTO
PROCURA DI ROMA E IMI SIR: NUOVE ACCUSE


14/9/2005
"la Procura di Roma, dalla risposta a rogatorie avviate anni fa da Milano
in Svizzera, ha trovato traccia di 11 pagamenti bancari "estero su estero"
dal conto cifrato svizzero di Pacifico («Pavoncella») al conto cifrato svizzero
di Musco («Pietralate»). Pagamenti che, però, la Procura di Roma è costretta
a trattare diversamente a seconda delle date di accredito.
Di 7 versamenti per un miliardo di lire, collocati tra il 14 aprile 1988
e il 16 gennaio 1990, prende atto che sono ormai coperti dall?intervenuta
prescrizione dei reati. Due, invece, non sono ancora fuori tempo massimo
per l?azione penale ... Per questi due versamenti al perito Musco, il pm
Marcello Cascini incrimina non soltanto Pacifico ma anche Previti, del quale
- ed è qui la clamorosa novità nell?atto d?accusa che la Procura di Roma
ha steso il 21 luglio - rintraccia altri due pagamenti al perito del Tribunale"


23/9/2004
"Musco aggiunge che, «nel caso di un regolare procedimento, avrebbe certamente
rinunciato alla prescrizione, nella consapevolezza di essere innocente».
Possibilità di cui potrà sempre avvalersi ora che, accogliendo un suo ricorso,
la Cassazione ha trasferito da Milano a Roma l?inchiesta che il pm Boccassini
aveva aperto sulla scorta proprio delle motivazioni della sentenza Imi-Sir


VEDI:

Corriere della Sera
14 settembre 2005
Gli inquirenti hanno trovato tracce di 11 pagamenti: sette sono coperti da
prescrizione. Avviso di conclusione delle indagini
Imi-Sir: un?altra accusa di corruzione per Previti
La Procura di Roma: tangenti da 2 miliardi di lire e da 800 mila dollari
a un perito del Tribunale. Spunta un conto svizzero

ROMA - Un nuovo conto svizzero legato a Cesare Previti: «Aconitum». Due nuove
tangenti ipotizzate: da 2 miliardi di lire e da 800 mila dollari nel maggio
1992 in piena Mani pulite. Come destinatario, un altro protagonista degli
uffici giudiziari di Roma: stavolta non più un giudice, ma un noto perito
del Tribunale civile, Pasquale Musco, fra l?altro già curatore del fallimento
Caltagirone o commissario giudiziale del crac Federconsorzi, nel 1988 relatore
di una «consulenza non conforme al vero al fine di favorire la parte Sir-Rovelli»
nella causa contro l?Imi [1]. E a pagarlo, un avvocato: Previti, per il quale
un «avviso di conclusione delle indagini» ora anticipa la richiesta di un
nuovo processo per «corruzione in atti giudiziari» dopo Imi-Sir e Sme, le
cui rispettive condanne (7 anni in appello e a 5 anni in primo grado a Previti
per corruzione dei giudici romani Metta e Squillante) sono sotto ipoteca
della legge Cirielli già approvata il 27 luglio dal Senato e in agenda il
26 settembre alla Camera, che le cancellerebbe accorciando la prescrizione.
Stavolta, però, la nuova incriminazione del parlamentare di Forza Italia
ed ex ministro della Difesa nel primo governo Berlusconi non arriva dalla
Procura di Milano, pluridenunciata da Previti e bersaglio del ministro Castelli,
bensì dalla Procura di Roma, alla quale la Procura generale della Corte di
Cassazione, su istanza di Musco, nel maggio 2004 aveva trasmesso per competenza
l?embrione di questa indagine, togliendola a Milano nel momento in cui indagato
era il solo Musco.
Nel motivare nel 2003 la condanna di Previti e Pacifico per la corruzione
del giudice Metta nel primo grado del processo milanese Imi-Sir, i giudici
Carfì-Consolandi-Balzarotti avevano «scoperto» nella montagna di atti una
prova sfuggita persino alla Procura: e cioè il fatto che nel 1996 all?avvocato
Pacifico, ritenuto con Previti dal Tribunale uno dei «difensori occulti»
dei Rovelli-Sir nella causa civile contro l?Imi, fossero state sequestrate
(senza che avesse titolo per averle) bozze «in fieri» sia della sentenza
romana d?appello del 1990 del giudice Metta (favorevole alla Sir-Rovelli),
sia della perizia di Musco che il 6 aprile 1988 aveva stimato il valore del
gruppo Sir, ponendo le basi per la quantificazione del maxirisarcimento giudiziario
ai Rovelli addebitato all?Imi e lievitato nel 1994 (tra rivalutazioni e interessi)
a 1000 miliardi di lire. Musco aveva reagito con una iniziativa senza precedenti:
aveva fatto causa ai tre giudici, tacciandoli di «abnorme e inescusabile
violazione di legge e della privacy», e chiedendo loro un risarcimento danni
di 2 milioni di euro (4 miliardi di lire).
Ora la Procura di Roma, dalla risposta a rogatorie avviate anni fa da Milano
in Svizzera, ha trovato traccia di 11 pagamenti bancari "estero su estero"
dal conto cifrato svizzero di Pacifico («Pavoncella») al conto cifrato svizzero
di Musco («Pietralate»). Pagamenti che, però, la Procura di Roma è costretta
a trattare diversamente a seconda delle date di accredito.
Di 7 versamenti per un miliardo di lire, collocati tra il 14 aprile 1988
e il 16 gennaio 1990, prende atto che sono ormai coperti dall?intervenuta
prescrizione dei reati [2]. Due, invece, non sono ancora fuori tempo massimo
per l?azione penale: 135mila dollari il 26 settembre 1990 e 45 milioni di
lire il 27 marzo 1991.
Per questi due versamenti al perito Musco, il pm Marcello Cascini incrimina
non soltanto Pacifico ma anche Previti, del quale - ed è qui la clamorosa
novità nell?atto d?accusa che la Procura di Roma ha steso il 21 luglio -
rintraccia altri due pagamenti al perito del Tribunale: 1 miliardo e 935
milioni l?11 maggio 1992 e 793.650 dollari due giorni dopo. Soldi che dal
conto svizzero «Mercier» di Previti andarono al conto svizzero «Pietralate»
di Musco «per il tramite del conto elvetico "Aconitum"» nella disponibilità
dell?operatore finanziario di turno, Franco Zampetti Spuri.
Convocati in Procura prima dell?estate, Musco e Pacifico hanno giustificato
i propri rapporti patrimoniali con debiti di gioco al casinò, mentre Previti
ha scelto di non rispondere alla Procura. Che, anche nella parte in cui per
7 degli 11 pagamenti chiede la parziale archiviazione per prescrizione dei
reati di corruzione e falsa perizia, rimarca: «Nonostante le articolate osservazioni
difensive, i pesanti elementi d?accusa (bozze e bonifici) non permettono
certo di ritenere dimostrata l?insussistenza dell?assunto accusatorio, dunque
impongono l?applicazione della prescrizione, e non di eventuale formula di
archiviazione più favorevole».
lferrarella@corriere.it
Luigi Ferrarella



[1]
Corriere della Sera
23 settembre 2004
INTERNI
Iniziativa senza precedenti del professionista che valutò 1.000 miliardi
di lire il rimborso
Imi-Sir, perito querela i giudici
Chiede 2 milioni di danni: «Diffamato dalla sentenza di condanna di Previti»

MILANO - Hanno «esternato»? No. Partecipato a raduni politici? Mai visti.
Dato interviste incendiare? Neppure. Però hanno fatto il loro lavoro di giudici.
Che è fare processi, come quello Imi-Sir. Prendere una decisione. E poi spiegarla
nelle motivazioni, illustrando le prove su cui hanno fondato la sentenza.
Ma ora anche scrivere le motivazioni diventa un «rischio»: i giudici di Imi-Sir,
il presidente Paolo Carfì e i colleghi Luisa Balzarotti ed Enrico Consolandi,
sono infatti bersaglio di una richiesta di risarcimento danni di due milioni
di euro (quattro miliardi di lire) da parte del perito del Tribunale di Roma
Pasquale Musco risentitosi per quanto scritto sul suo conto dai giudici proprio
nella motivazione della condanna di Cesare Previti. Come sempre in questi
casi (anche se in «questo» caso la circostanza diventa curiosa, essendo Silvio
Berlusconi coimputato di Previti a Milano nel processo Sme davanti ad altri
giudici) il cittadino Musco ha proposto la citazione contro la Presidenza
del Consiglio, che ora a Brescia si farà rappresentare dall?Avvocatura dello
Stato: nel caso Musco ottenesse il risarcimento, lo Stato si rivarrà poi
sugli stipendi dei propri giudici. Musco era uno dei tre periti d?ufficio
incaricati il 12 marzo 1987 dal Tribunale di Roma di stilare la consulenza
contabile nella controversia tra l?Imi e la Sir di Nino Rovelli. Il 29 aprile
2003 la quarta sezione penale del Tribunale di Milano (con i tre giudici
appunto ora nel mirino) aveva condannato gli avvocati Cesare Previti e Attilio
Pacifico quali «avvocati occulti» dei Rovelli (all?oscuro di quelli ufficiali
come Mario Are), intervenuti a corrompere il giudice Vittorio Metta, estensore
della sentenza che sulla base della perizia impose all?Imi di risarcire agli
eredi Rovelli 670 miliardi di lire, diventati mille con gli interessi.
E nelle 536 pagine di motivazione i giudici avevano «scoperto» tra gli atti
sterminati del dibattimento due cose sfuggite alla stessa Procura della Repubblica.
Non soltanto che esisteva una impressionante corrispondenza tra interi passi
della sentenza di Metta e alcune bozze sequestrate a Pacifico (vicenda sulla
quale proprio ieri a Milano si è svolto un incidente probatorio che coinvolge
anche la posizione dell?avvocato Are). Ma anche che Pacifico «era in possesso
di una bozza della consulenza contabile dei tre periti», tra i quali Musco
(rileva il Tribunale sulla base di un fax e di due telefonate) «era in rapporti
con Pacifico», ed «era certamente conosciuto anche da Previti e Acampora»
(pure condannato in un altro processo), «visto che era il curatore del fallimento
Caltagirone, causa in cui Previti e Acampora difendevano la controparte».

Musco, nella richiesta danni, obietta che «in ipotesi, non può considerarsi
sconvolgente che il perito d?ufficio possa recepire osservazioni e proposte
che provengano dalle parti»; sostiene che «nulla consente di affermare che
la pretesa bozza della perizia sia stata consegnata da lui all?avvocato Pacifico»;
e lamenta che «l?ovvia circostanza della conoscenza (faccio il perito a Roma
da 40 anni e quindi conosco decine di avvocati tra cui gli stessi Previti
e Acampora) non possa avere attinenza alcuna» con l?accusa di abuso d?ufficio
accreditata dal Tribunale, secondo il quale «è assolutamente ovvio che il
lavoro dei periti d?ufficio si svolse in stretta collaborazione con la parte
Rovelli». Ai tre giudici Musco contesta una «abnorme e inescusabile violazione
di legge e della privacy, e una macroscopica anomalia processuale consistente
nel fatto che un cittadino della Repubblica viene qualificato in una sentenza
come autore di un gravissimo reato senza che fosse a conoscenza di alcun
procedimento a suo carico». Il che avrebbe comportato «irreparabile e profonda
frustrazione nel suo ambiente professionale e familiare».
[2]
Musco aggiunge che, «nel caso di un regolare procedimento, avrebbe certamente
rinunciato alla prescrizione, nella consapevolezza di essere innocente».
Possibilità di cui potrà sempre avvalersi ora che, accogliendo un suo ricorso,
la Cassazione ha trasferito da Milano a Roma l?inchiesta che il pm Boccassini
aveva aperto sulla scorta proprio delle motivazioni della sentenza Imi-Sir.

Luigi Ferrarella lferrarella@corriere.it



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