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Atreja ed io eravamo tutto, amiche, sorelle, gemelle, volutamente indistinguibili, eppure talmente diverse da far sì che l’una completasse l’altra raggiungendo un complessivo cosmo perfetto; neppure le continue baruffe che riempivano la quotidianità riuscivano a separarci, ma anzi, ci univano sempre di più, specialmente in quello che era il nostro lavoro, dove eravamo riuscite a raggiungere un meraviglioso affiatamento che aveva fatto di noi, due ottime Guaritrici.
Dall’età di quattordici anni combattevamo fianco a fianco, sostenendoci a vicenda, il dolore e le sofferenze che la vita, secondo un suo scivoloso disegno, era solita far calare sull’umanità, non sempre colpendo i meritevoli; era proprio per questo cinismo dell’esistenza che per noi non esistevano differenze di sorta fra bene e male: di fronte alla morte, nessuno è talmente basso o abile da evitare la lama della sua falce. Il nostro compito era semplicemente quello di tenerla lontano, da
tutti, buoni e cattivi, affinché i cattivi avessero la possibilità di diventar buoni e i buoni di rimanere tali.
A Terim, la nostra città, la gente si fidava di noi, dopo solo un anno di apprendistato, Guldar, il nostro precettore, ci assegnò la guida di un intero reparto, con la missione di salvare chi già sembrava portare il segno dell’Oscura Signora.
Tre anni di lotta e fatiche e tante vite strappate alla morte, che fecero viaggiare i nostri nomi per molte leghe di Garanthia, finanche ad Argentea; Atreja e Kaisa, le fiamme più nere della morte…

Poi arrivò la notizia, che avrebbe stravolto l’equilibrio di una vita: l’esercito di Argentea chiedeva Guaritori per la conquista di Elela, l’annuncio giunse purtroppo anche a Terim.
- Non puoi voler partire veramente!- non riuscivo a crederci, Atreja era tornata a casa, dopo un pomeriggio di risate con gli amici, annunciando alla famiglia che avrebbe lasciato la città per seguire l’esercito dei Violatori; nostro padre e nostra madre non erano preoccupati quanto me e ciò mi fece sentire immancabilmente in minoranza.
- Cosa ti dà questa certezza?- mi rispose lei con uno strano scintillio negli occhi, che mai le avevo visto prima d’allora- non sto partendo per bighellonare, sto andando dove le mie conoscenze non potranno che essere utili-
- Lo sono anche qui- mi affrettai a replicare stringendo le mani sullo schienale di una sedia della cucina, ma Atreja non parve dello stesso avviso.
- Qui ci resterai tu… sei in grado di lavorare anche senza il mio aiuto… e comunque non preoccuparti, tornerò per le feste invernali e allora…-
- Tu non capisci niente!!- strillai in un attacco improvviso d’isterismo, con un gesto brusco del braccio scaraventai a terra la brocca d’acqua, che s’infranse bagnando il pavimento in pietra chiara- Parti per vedere morire la gente e rischiare di rimanerci a tua volta! Dopo cinque anni passati a combattere quella che tu ora andrai ad incitare… la morte!- Lo sapevo benissimo che erano soltanto delle scuse... c'era dell'altro... c'era la disperazione di veder partire la persona a cui volevo più bene al mondo... avrei dovuto dirglielo?
- Sei tu la cieca- replicò Atreja, nostra madre s’era chinata per pulire il disastro da me combinato, mentre nostro padre aveva preferito non prender parte alla discussione e ora guardava pensieroso, col viso solcato da rughe senili, le cime delle vele che si piegavano al vento- Non riesci a vedere che è proprio seguendo la morte che io potrò sconfiggerla strappandole esseri umani… la nostra gente a bisogno di Guaritori… ha bisogno di vita… ed io non gliela negherò… dovessi rimanere uccisa- si chinò ed aiutò Miranda a gettar via i cocci della brocca; per qualche istante regnò il silenzio, fissai con intensità la superficie liscia e lucida del tavolo di legno… non poteva accadere una cosa del genere… non doveva… anche se Atreja aveva sempre detto che prima o poi avrebbe messo al servizio di Argentea la sua abilità con la spada… e avrebbe ucciso per guarire la sua gente… un odio profondo stava invadendo le mie membra, non c’era rassegnazione che potesse vincerlo… Atreja voleva salvare delle vite, ma non si rendeva conto che stava uccidendo me... maledetta bastarda...
- Dimmi… non sarà che ti stai unendo all’esercito soltanto per seguire quel… come si chiama…-
- Non oserai insinuare…!- scattò su Atreja, gli occhi sottili, i denti scoperti, risi maligna e non la seguii mentre usciva spedita dalla cucina, sentii sbattere la porta della sua camera… rimasi immobile, con quel sorriso ignobile sul volto.

Non potei nulla, Atreja partì quindici giorni dopo lasciandomi sulle spalle il peso dell’intero reparto; Guldar mi affiancò un nuovo ragazzo, Fil, onorato di lavorare con me e sempre pronto ad obbedire ad ogni mio ordine… nei primi tempi sfogai tutta la mia rabbia su di lui e non mancai di mostrarmi meschina come nessuno della mia famiglia aveva mai fatto.
Una volta al mese giungevano notizie dal fronte, informavano delle imprese, delle conquiste, delle perdite subite… una volta arrivò la nave carica di cadaveri… quelli che Atreja e chiunque altro la affiancasse, non erano riusciti a salvare.
Lei scrisse un paio di volte, assicurando che tutto procedeva per il meglio, che quando non scriveva era perché c’era troppo da fare, troppe vite da accudire… e poi la notizia che nessun membro dell’esercito sarebbe tornato a casa per l’inverno… la tristezza che regnò nel mio cuore fu grande… volevo rivedere mia sorella, riabbracciarla, sentire il suo respiro mentre dormiva, sentire la sua dolce che mi diceva "ehi! Di che ti preoccupi?"... dovevo dirle quello che non ero riuscita a tirar fuori il giorno della sua partenza... per puro e stupido orgoglio... glielo dovevo… costasse ciò che costasse… e tradendo ogni mia convinzione, contro i principi in cui sin da piccola aveva creduto, entrai nella stanza deserta di mia sorella e prelevai dalla custodia una delle tre spade che aveva comprato durante l’ultima fiera.
- Insegnami ad usare questo maledetto arnese!- avevo costretto Goran, nostro cugino, a seguirmi nel piccolo faggeto di proprietà delle nostre famiglie e con rabbia animalesca lo incitavo- Avanti! Ti sei divertito ad inculcare nella testa di mia sorella l’amore per le spade! Ora fallo anche con me!!-
- Kaisa… tua sorella amava combattere… io sono solo stato il suo avversario preferito…-
- Non mi importa quello che tu credi di essere stato per lei! Insegnami a tenere in mano questa lama!!-
Goran non avrebbe voluto, ma la pazzia che sembrava essersi impossessata di me fece sì che accettasse, da allora divenne il mio maestro, ci incontravamo almeno tre ore al giorno, sotto la pioggia o sotto il sole… mi insegnò come rimanere in guardia, come il braccio avrebbe sempre dovuto anticipare il movimento della gamba…
- L’avversario è solito agire in corrispondenza dei tuoi piedi- non si stancava di ripetermi- se vuoi davvero andare a segno, dovrai pensare alle braccia e alle gambe come due cose separate-
Io mi impegnavo sempre con costanza, sentivo di progredire, ma non sapevo se sarei mai riuscita ad eguagliare Atreja… l’importante era imparare a difendermi… al ritorno dell’esercito, io mi sarei unita a loro.

E finalmente i Violatori tornarono in patria, Argentea fu un bagliore di festeggiamenti, ma Atreja non vi partecipò, tornò a casa per riabbracciare i suoi cari.
Non era cambiata per niente, apparte i muscoli ingrossati e qualche cicatrice sulle braccia… sempre lo stesso sorriso… la stessa gioia… e la stessa voglia di vivere.
Rimase perplessa quando esposi alla famiglia le mie intenzioni di ripartire con lei, nostro padre espresse per primo i suoi pensieri.
- Credi davvero che quella sia la strada giusta per te, Kaisa?-
- Non posso saperlo… sarà la vita a decidere- risposi secca, mi infastidiva che mio padre guardasse alle mie scelte come qualcosa di sicuramente sbagliato… mentre Atreja era stata un’eroina… ma non era mia intenzione essere gelosa di mia sorella!
- Dovrai rinunciare al tuo titolo nobiliare, lo sai questo, vero?- aggiunse Atreja, alzai le spalle con un sorriso balordo.
- E allora? Nessuno che mi chiami baronessa non esclude che lo sia...-

Così divenni l’altro io di Atreja, i soldati dell’esercito facevano fatica a distinguerci e spesso ci scambiavano i nomi… non mi dava fastidio, era spesso accaduto anche a Terim… la nostra somiglianza mirava proprio a questo: a renderci indistinguibili.
Nei primi giorni a Elea non ci fu guerra, speravo di provare subito questa nuova avventura, ma mi sbagliavo… avrei dovuto attendere un po’… ma quando poi giunse il momento… dio solo sa quanto sarei voluta tornare a Terim!
Credevo di aver imparato tutto sull’uso della spada, credevo di poter rimanere in vita anche di fronte ad un gigante… mi sbagliavo… la morte non mi era mai stata così vicina… la vedevo ad ogni angolo del mondo, intorno a me… aleggiava sugli altri… su ragazzi con cui avevo stretto amicizia, con cui parlavo… e un attimo dopo non c’erano più… oppure mi imploravano affinché il loro dolore potesse venir sedato.
Era questa dunque la guerra? Non avevo mai sbagliato… era orribile… come poteva piacere ad Atreja una cosa così violenta?! Eppure stava lì in mezzo, ad incitare i soldati e tirar via le persone che rischiavano di morire, noncurante dei gemiti, delle urla, del sangue…Poi arrivarono i popolani in cerca di libertà… incredibile come la fede in qualcosa di irraggiungibile possa fomentare gli animi rendendoli crudeli e animaleschi!
Un uomo della seconda linea, il reparto che mi era stato assegnato, mi mostrò un braccio squartato dalla spada dentata di un tower avversario.
- Non preoccuparti, ti salverai- gli intimai muovendo frettolosamente le mani in cerca di bende ed erbe curative all’interno della sacca, poco più in là Atreja medicava un profondo solco al petto di un picchiere… sanguinava copiosamente, in più le intimava di fare presto… ingrato…
Strinsi le bende sul braccio del mio ferito, lanciando occhiate a mia sorella, sollevai lo sguardo… oltre le spalle del picchiere… un volto coperto da un elmo… scintillava sotto i raggi del sole… mi colpì facendomi sbattere le palpebre e… il mondo si sfocò, divenne bianco e nero, le mani mollarono il braccio, lasciando che le bende si srotolassero a terra impigliandosi nei cespugli di rovi…
Il nostro picchiere grondava sangue dalla bocca… e la punta argentata di una seconda picca… trapassava la schiena di Atreja.
Caddero assieme, uno sull’altro, bagnando di rosso il terriccio polveroso, che si sollevò in una nube confondente.
- Cosa stai…?- Chi osava rivolgermi la parola in un attimo così disperato?! Atreja era riversa su un fianco, immobile… morta.
E non avrebbe saputo mai... che io... io...
Non esisteva altro intorno a me, se non la sua figura, camminai verso di lei, o forse corsi… in ogni caso non lo seppi mai… piangevo? Non lo so… soffrivo? Sì, tremendamente… ma c’era dell’altro… dell’altro che non riuscivo a domare… un sano, impellente, infuocato, desiderio di uccidere… per un amore perduto...
Popolani... maledetti popolani...
E i picchieri avrebbero pagato... avrebbero pagato caro, come era già successo...
- Kaisa, vieni qui, c'è bisogno di te!-
La voce quasi mi stordì, riportandomi bruscamente alla realtà, ruotai il collo, verso l'uomo che aveva osato interrompere il mio momento di disperazione, sentivo di avere gli occhi ridotti a due fessure, intuii di averlo spiazzato...
- Io non sono Kaisa- sussurrai con voce malevola- ... Sono Atreja-