UN MOMENTO DI LIBERAZIONE E UNA DECISIONE NON REVOCABILE

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INES TABUSSO
00giovedì 13 luglio 2006 19:17



"Ricordo ancora quella giornata solare del maggio del ’79. Una cella alle
Murate di Firenze: il letto, il materasso, un lenzuolo e una coperta. Su quella
branda ho potuto dormire per la prima volta dopo molti mesi il sonno più
tranquillo, quasi ristoratore. Ecco, l’arresto per me non è stato un trauma. E’
stato un momento di liberazione. Poi, è iniziata la riflessione sulla lotta
armata. L’ho fatto in una cella che diventava il mezzo di liberazione da una
fase della mia vita ormai intollerabile e insopportabile"
(Sergio D’Elia, gia' terrorista di Prima linea, attualmente deputato radicale,
Corriere della Sera, 13 luglio 2006)
[1]



"Dopo un'analisi lunga, sofferta e travagliata, ho assunto una decisione non
revocabile. Chiedo che la Giunta conceda l'autorizzazione all'esecuzione della
misura cautelare nei miei confronti. Spiegherò in aula le ragioni che mi hanno
spinto a tale scelta. Prendo atto che la giunta per le autorizzazioni a
procedere ha respinto all'unanimità la richiesta di arresti domiciliari" ma
"ribadisco l'irrevocabilità della mia decisione. Pertanto, la settimana
prossima, quando la questione che mi riguarda sarà all'ordine del giorno
dell'aula di Montecitorio, chiederò formalmente all'assemblea di concedere
l'autorizzazione all'esecuzione della misura cautelare personale nei miei
confronti".
(Raffaele Fitto, gia' governatore pugliese, attualmente deputato di Forza
Italia, Il Giornale, 13 luglio 2006)
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CORRIERE DELLA SERA
13 luglio 2006
L’INTERVISTA / «La mozione della Cdl contro di me? Un mare di fango. Eppure fui ricevuto da Berlusconi e Casini, Nania finanziò la nostra associazione»
«L’arresto mi liberò da una vita insopportabile»
D’Elia, il deputato ex terrorista: c’è chi ha usato il dolore dei parenti delle vittime

ROMA - «Ricordo ancora quella giornata solare del maggio del ’79. Una cella alle Murate di Firenze: il letto, il materasso, un lenzuolo e una coperta. Su quella branda ho potuto dormire per la prima volta dopo molti mesi il sonno più tranquillo, quasi ristoratore. Ecco, l’arresto per me non è stato un trauma. E’ stato un momento di liberazione. Poi, è iniziata la riflessione sulla lotta armata. L’ho fatto in una cella che diventava il mezzo di liberazione da una fase della mia vita ormai intollerabile e insopportabile». Il deputato radicale Sergio D’Elia parla lentamente, perché dal suo passato di terrorista di Prima linea, che ha pagato con 12 anni di carcere anche per il concorso nella tentata evasione dei suoi compagni dalle Murate e nell’uccisione del poliziotto Fausto Dionisi, emerge ancora il rimorso per aver contribuito a causare un’inutile scia di morti innocenti. D’Elia, 54 anni, entrato alla Camera con le liste della Rosa nel pugno e poi eletto segretario d’Aula, parla per la prima volta dopo che la Cdl ha tentato di sbarrargli la strada con una mozione ritirata solo all’ultimo minuto: «Hanno sollevato un mare di fango con un documento giustizialista che poi ha travolto loro stessi perchè è esplosa la rivolta nel centrodestra».
D’Elia, eppure c’è chi ha giustamente invocato un maggior rispetto da parte sua per le famiglie delle vittime del terrorismo.
«Rispetto il dolore di chi è stato colpito o privato del bene più caro, che sia stato io a provocarlo o i miei compagni con cui ho condiviso ideali giusti e idee sbagliate. E’ vivo in me il senso di responsabilità per quanto di irreversibile e irreparabile la mia attività politica ha determinato nella vita delle persone colpite e delle loro famiglie. E mi rendo conto che può essere umanamente impossibile accettare qualsiasi riparazione».
Di che segno è stata la campagna lanciata da «Libero» e raccolta dalla Cdl?
«Sono stato offeso e marchiato di infamia. Quello che non rispetto, anzi considero vergognoso, è il commercio abusivo del dolore altrui, quello vero, irrimediabile dei parenti delle vittime, che ne fanno alcuni professionisti della politica».
Ma voi di «Nessuno tocchi Caino» e la Cdl non eravate in buoni rapporti?
«I gruppi di An, con Nania al Senato, e Maceratini alla Camera, ogni anno ci hanno sostenuto finanziariamente diventando soci fondatori dell’associazione. Lo stesso vale per il gruppo di Forza Italia al Senato. Berlusconi mi ricevette nel ’94 a Palazzo Chigi. Casini, estraneo all'iniziativa di Giovanardi, presentò il nostro rapporto annuale. Fini mi ha ricevuto a Palazzo Chigi. Questi sono dei fatti politici che ora sono stati messi in discussione con quella mozione».
Torniamo agli Anni ’70. Come vi appariva Marco Pannella che poi alcuni di voi hanno seguito nell’avventura del Partito radicale?
«Pannella ci chiamava compagni assassini con un’espressione molto dura contro gli errori fatali dei nostri metodi ma anche carica di voglia di dialogo: noi rivoluzionari per odio, quindi violenti, loro rivoluzionari per amore del dialogo. Ci univa, però, la non rassegnazione. Quindi, anche per uno come me, l’alternativa è stata la non violenza gandhiana e pannelliana».
Un sindacato di polizia ha sollecitato le sue dimissioni. La vedova Dionisi ha chiesto ai politici che sono dalla sua parte di rinunciare alla scorta.
«Del mio mandato alla Camera risponderò con i miei atti parlamentari. Se mi è consentito e se non sarà percepito come ulteriore offesa, lo farò anche nei confronti di coloro che sono stati colpiti dal terrorismo. Credo che non sarà difficile per noi deputati della Rnp, se considero che già a metà Anni ’70 il Partito radicale aveva deciso di destinare una parte del suo finanziamento pubblico alle famiglie delle vittime della polizia».
Ha mai pensato a dimettersi?
«L’obiettivo non ero io. Puntavano la Rosa nel pugno, i radicali, la maggioranza. Si sono scatenati il 2 giugno perché in quei giorni arriva la grazia per Bompressi e Mastella parla di amnistia e indulto. Ecco, volevano legittimare un’operazione bassa e meschina usando le mie dimissioni».
E i suoi ex compagni, Corrado Marcetti e Nicola Solimano, ai quali è stato chiesto di dimettersi dalla fondazione Michelucci di Firenze?
«A loro hanno chiesto di dimettersi dalla vita sociale stessa. E questo dimostra la strumentalità di tutta l’operazione».
E lei come ne esce da questa battaglia?
«Non intendo rimanere ostaggio della memoria, del mio passato, per quello che ho fatto e per quello che non ho fatto. Non intendo subire la maledizione del mito di Sodoma. Quello di una condanna a volgere lo sguardo all’indietro, marchiato a fuoco sulla pelle con una frase indelebile: "Tu non cambierai mai"».
CHI È Sergio D’Elia è nato a Pontecorvo (Frosinone) il 5 gennaio del 1952. È parlamentare della Rosa nel pugno e dal 30 maggio scorso segretario d’Aula. E’ stato militante di Prima Linea
LA CONDANNA
Il 1° febbraio 1985 i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Firenze lo hanno condannato a 25 anni di reclusione per 31 capi d’imputazione, tra cui il concorso in omicidio dell’agente Fausto Dionisi
Dino Martirano




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IL GIORNALE
13 luglio 2006
Fitto vuole essere arrestato ma Montecitorio lo ferma
- di Redazione -
Pietro Balducci
da Milano

I magistrati lo vorrebbero in galera. Lui è disposto ad andarci, pur proclamandosi innocente. Il Parlamento nega l'autorizzazione all'arresto. Lui insiste a chiedere le manette. Quasi un dramma da teatro dell'assurdo.
Lui è Raffaele Fitto, ex governatore della Puglia e attuale parlamentare di Forza Italia. I magistrati sono quelli della Procura di Bari, che il 20 giugno scorso hanno chiesto l'autorizzazione agli arresti domiciliari di Fitto. Motivo: una presunta tangente da 500mila euro in cambio di un appalto da 198 milioni di euro nel settore della sanità pugliese. La richiesta di arresto viene inviata alla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, la quale riceve, poco prima di riunirsi, anche una lettera di Fitto in cui è scritto: «Dopo un'analisi lunga, sofferta e travagliata, ho assunto una decisione non revocabile. Chiedo che la Giunta conceda l'autorizzazione all'esecuzione della misura cautelare nei miei confronti. Spiegherò in aula le ragioni che mi hanno spinto a tale scelta».
Ieri mattina la giunta decide, all'unanimità, quindi anche con i voti dei membri del centrosinistra, la non autorizzazione a procedere: niente arresto. Fitto, coerente con le decisioni prese, ringrazia e torna alla carica. «Prendo atto che la giunta per le autorizzazioni a procedere ha respinto all'unanimità la richiesta di arresti domiciliari», ma «ribadisco l'irrevocabilità della mia decisione. Pertanto, la settimana prossima, quando la questione che mi riguarda sarà all'ordine del giorno dell'aula di Montecitorio, chiederò formalmente all'assemblea di concedere l'autorizzazione all'esecuzione della misura cautelare personale nei miei confronti».
Appuntamento alla settimana prossima, dunque, per vedere se la Camera dei deputati accontenterà Fitto e, con lui, la Procura di Bari. Ma sarà difficile, tenendo conto che la Camera in 61 anni ha concesso l'autorizzazione all'arresto solo quattro volte. «Apprezziamo la disponibilità dell'onorevole Fitto a rinunciare all'immunità, ma va detto che le decisioni della Giunta in materia, così come quelle dell'Aula, non sono legate alla volontà e ai desiderata del singolo parlamentare» ha spiegato Antonio Leone, vicepresidente vicario del gruppo di Forza Italia alla Camera e membro della giunta per le autorizzazioni a procedere. «Il gesto dell'onorevole Fitto ha un valore politico e morale che tutti, maggioranza e opposizione, hanno potuto verificare e apprezzare», hanno commentato Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto, coordinatore e vicecoordinatore di Forza Italia. E il centrosinistra concorda: «Come maggioranza abbiamo espresso un convinto diniego alla richiesta di arresto del deputato Fitto per l'evidente carenza dei presupposti» ha commentato Pierluigi Mantini, deputato della Margherita.
Fitto è stato accusato dalla Procura di Bari di falso, concorso in corruzione e finanziamento illecito ai partiti nell'ambito dell'inchiesta sull'affidamento al gruppo Tosinvest-San Raffaele di Roma di undici residenze sanitarie assistite. Secondo la Procura barese, il gruppo Tosinvest pagò una tangente da 500mila euro al movimento politico creato da Fitto in occasione delle regionali dell'aprile 2005 per ottenere l'appalto da 198 milioni di euro. Fitto ha sempre contestato le accuse della Procura, sostenendo che tutta la documentazione relativa al suo movimento politico, chiarisce che «non esiste un solo contributo che non sia stato speso per motivi esclusivamente elettorali, come risulta da decine di fatture».






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