Traduzione o parafrasi

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barnabino
00lunedì 4 febbraio 2008 15:16
Prendo spunto dalle osservazioni di un forum ostile ai testimoni di Geova che dice:


i TdG non sapendo nulla di teoria della traduzione scambiano il commento con la grammatica



Quando una traduzione cessa di essere tale e diventa commento?

Poichè una stessa parola greca può avvere molteplici significati in italiano, scegliere tra questi quello che viene considerato dai lessici come più vicino al significati di quel contesto significa fare un commento oppure fare una traduzione il più letterale possibile?

Ad esempio la preposizione "en" [in] oppure la parola "pneuma" [spirito] possiedono un ampio spettro di significati, che difficolmente possono essere resi dall'italiano "in" o "spirito". Tradurlicon una equivalenza dinamica che ne esprima il significato significa tradurre o fare un commento? E' sempre vero che l'equivalenza formale è più precisa nel trasmettere il senso di una parola?

A voi la parola, traduttori.



(SimonLeBon)
00lunedì 4 febbraio 2008 22:33
Re:
Cito da un'appendice della "Parola del Signore" - Elle Ci Di/UBS '85, pag. 476:

"Ogni traduzione si propone: a) di essere fedele ai testi originali; b) di essere comprensibile per nuovi lettori in una seconda lingua.
Tuttavia le lingue sono anche profondamente diverse tra loro. Non soltanto nel senso che usano parole differenti, ma anche per il fatto che esprimono i significati utilizzando varie strutture semantiche, non "sovrapponibili". Per questo l'idea di una traduzione letterale (o parola per parola) risulta un'ideale utopico, scientificamente non sostenibile. Spesso è del tutto impossibile da realizzare; a volte è realizzabile solo in parte, ma con frequenti distorsioni del significato o della naturalezza linguistica.
Non ha senso dire o pensare che il meglio sarebbe comunque costituito da una traduzione governata da principi di questo genere: rendere ogni parola del testo originale mediante una parola fissa della seconda lingua e riprodurre anche numericamente le parole del testo originale, ricalcandone la sequenza e la struttura formale. Quando si fa cosi', il risultato è piu' volte grottesco, insopportabile; lo sanno bene i traduttori esperti, in ogni settore."

Simon
barnabino
00mercoledì 6 febbraio 2008 17:45
Quando, secondo la teoria della traduzione invocata da questo anonimo forumista, la traduzione diventa parafrasi, cioè finisce per diventare una "spiegazione" o "interpretazione" del testo e non una traduzione vera e propria? Perchè di questo viene accusata la TNM: di travalicare l'equivalenza dinamica per cadere nella mera parafrasi. Oppure equivalenza dinamica e parafrasi si identificano?

Mi spiego con due esempi: quando la CEI rende nefesh con "gola" invece che "anima" (quando in effetti in ebraico esiste un termine specifico per "gola") è parafrasi oppure traduzione? Quando la TNM rende charis, che ha molteplici significati, con "immeritata benignità" piuttosto che il tradizionale "grazia" fa una parafrasi o una traduzione?

Lo chiedo sia ai nostri critici, visto che questo genere di obiezioni sono molto comuni, che ad eventuali esperti di teoria della traduzione che possano illuminarci.

Shalom

EgoEros
00venerdì 22 febbraio 2008 23:14
Ciao Barnabino,
Scusami se ritardo nel risponderti,
ma sono appena stato informato da mio cugino "Asgardiano" che potevo iniziare ad interagire all'interno di questo forum.

Innanzitutto tengo a precisare che non sono un traduttore,
ma tra le opzioni possibili nel profilo di questo sito, quella del traduttore era quella più vicina a ciò di cui mi occupo: "sono uno studente di lingue e letterature straniere, corso di laurea in scienze per le comunicazioni internazionali", e tra le varie cose ho anche avuto modo di approfondire l'argomento: "traduzione", argomento che tra l'altro mi affascina molto.

(provvederò a fare una mia presentazione, nella sezione dedicata alle presentazioni, subito dopo averti risposto [SM=x75] )

Quando una traduzione cessa di essere tale e diventa commento?

In base a quel che ho studiato, una traduzione cessa di essere tale
quando il traduttore mette qualcosa di suo, peccando di fedeltà al testo che intende tradurre...

Rischiando quindi di interpretare e successivamente di dare delle proprie impressioni implicite, le quali possono trasparire anche attraverso l'uso spropositato e non richiesto (dal testo originale) di marcatori e/o altri elementi come per esempio: purtroppo, sfortunatamente, fortunatamente, finalmente, ma, però, nonostante... ecc... (E non solo).

(Ma gli ostacoli che bisogna superare affinchè si possa dire di aver fatto una giusta traduzione, non sono solo questi -purtroppo, ihihi-).

C'è da dire anche che durante una traduzione avvengono degli inevitabili processi di negoziazione, il che significa che spesso
si è costretti a dover rinunciare alla possibilità di tradurre perfettamente una determinata frase, poichè magari nella lingua di destinazione non renderebbe tanto quanto nel testo originale, quindi in questo caso si punta al SENSO/SIGNIFICATO (per esempio questo avviene puntualmente con la traduzione di frasi idiomatiche -ma non solo-).

Lo scopo di un bravo traduttore è quello di riuscire a trasmettere (nella lingua di destinazione) lo stesso messaggio nello stesso modo in cui viene trasmesso ai lettori del testo originale.

Poichè una stessa parola greca può avere molteplici significati in italiano, scegliere tra questi quello che viene considerato dai lessici come più vicino al significato di quel contesto significa fare un commento oppure fare una traduzione il più letterale possibile?
Secondo me, non significa nè fare un commento nè fare una traduzione letterale, poichè in questo caso non viene fatto altro che puntare al senso nel modo più coerente possibile al contesto.
L'importante è che la scelta non sia determinata dalle interpretazioni
del traduttore. (Nel caso in cui le diverse parole possono avere diverse influenze). In questo caso è comunque consigliabile (ed oserei dire opportuno) inserire delle note a piè di pagina che rendano il lettore partecipe, affinchè anch'egli possa improvvisarsi ricercatore in modo da poter individualmente capire il senso completo di quelle determinate parole pluritraducibili affinchè possa successivamente associare mentalmente il determinato e pieno significato di quella determinata parola nel modo più opportuno e coerente per quel determinato contesto.
(Anche per evitare che la sua scelta venga rimproverata come "commento").

E' sempre vero che l'equivalenza formale è più precisa nel trasmettere il senso di una parola?
Hmmmmm, non sempre, poichè molte volte, il voler mantenere la formalità rischia di compromettere il senso del messaggio e molto spesso anche la sua comprensione.

(Ci tengo a precisare nuovamente che non sono un traduttore).
Comunque sono contento di avere avuto la possibilità di poter
iniziare questo mio "viaggio" all'interno di questo forum,
trattando quest'argomento che tanto mi sta a cuore.

Spero di leggervi presto...
Approfitto per salutare SimonLebon che ringrazio per avermi dato la possibilità di poter leggere la citazione riguardo la traduzione: "PAROLA DEL SIGNORE"!
E contemporaneamente esprimo il mio stupore nei confronti dei parafrasisti che non fanno altro che compromettere la comprensione
di testi a noi pervenuti, contribuendo ad alimentare quella che è ormai diventata pura confusione ideologica.

Alla prox!

SalvoGiò.
dom@
00sabato 23 febbraio 2008 01:41
"Quando una traduzione cessa di essere tale e diventa commento? "

"In base a quel che ho studiato, una traduzione cessa di essere tale"
quando il traduttore mette qualcosa di suo, peccando di fedeltà al testo che intende tradurre...

*****
Traduttope, Traditore [SM=x67]
EgoEros
00sabato 23 febbraio 2008 02:26
CORREZIONE


Grazie Dom@,
con il tuo quote ho fatto caso ad un errore...
volevo dire: "...peccando d'infedeltà al testo che intende tradurre".

Sorry.

SalvoGiò.



(SimonLeBon)
00sabato 23 febbraio 2008 09:55
Re:
EgoEros, 2/22/2008 11:14 PM:


...
Secondo me, non significa nè fare un commento nè fare una traduzione letterale, poichè in questo caso non viene fatto altro che puntare al senso nel modo più coerente possibile al contesto.
...
(Ci tengo a precisare nuovamente che non sono un traduttore).
Comunque sono contento di avere avuto la possibilità di poter
iniziare questo mio "viaggio" all'interno di questo forum,
trattando quest'argomento che tanto mi sta a cuore.

Spero di leggervi presto...
Approfitto per salutare SimonLebon che ringrazio per avermi dato la possibilità di poter leggere la citazione riguardo la traduzione: "PAROLA DEL SIGNORE"!
E contemporaneamente esprimo il mio stupore nei confronti dei parafrasisti che non fanno altro che compromettere la comprensione
di testi a noi pervenuti, contribuendo ad alimentare quella che è ormai diventata pura confusione ideologica.

Alla prox!

SalvoGiò.



Benvenuto in anticipo e grazie dei ringraziamenti.
Generalmente si possono distinguere almeno tre livelli di "contesto" nelle traduzioni bibliche:

a. quello immediato della frase e del discorso in cui è posta l'espressione.

b. quello allargato all'opinione dello scrittore, resa manifesta in altri scritti di cui è autore (supponendo che resti sempre della stessa idea nell'arco di un periodo di tempo)

c. quello allargato all'intero messaggio biblico (di volta in volta distinguendo il solo AT o NT o tutt'e due)

Se resti nel forum ti garantisco che ne vedrai delle belle... [SM=g8422]

Simon
barnabino
00sabato 23 febbraio 2008 13:24
Caro Salvo,

Grazie per la risposta. Che ne dici degli esempi specifici? Spesso si accusano i traduttori della TNM di non tradurre ma di interpretare il testo.

Un esempio classico è la parola greca charis, che viene resa dalla TNM con "grazia" nei passi dove ha il senso italiano di "leggiadria" o simili, e con l'equivalenza dinamica "immeritata benignità" dove ha un significato teologico più specifico, laddove altri rendono anche in quel caso con l'equivalenza formale "grazia".

Secondo te la TNM si è presa una indebita libertà? Nel senso che quale delle due traduzioni trasmette meglio il senso della parola greca ad un pubblico di lettori non specialista in teologia, come si presuppone sia quello della Bibbia, diffuso a livello mondiale?

Shalom



sandraN
00venerdì 28 marzo 2008 22:04
A mia volta faccio una domanda a Barnabino, diciamo che è più che altro semplice curiosità.

Come mai un unico termine greco e cioè charis può significare cose così completamente diverse come 'leggiadria' e ' immeritata benignità'?

In effetti tale pluralità di significati la ritroviamo anche nella lingua italiana dove la parola grazia significa sia 'leggiadria' sia 'immeritata benignità'

Infatti quando viene concessa la grazia ad un ergastolano - tanto per fare un esempio- non si conferisce, ovviamente, 'leggiadria' ma si concede ' immeritata benignità' in quanto secondo sentenza giudiziaria avrebbe dovuto scontare la sua pena per intero.

Non pensi che sia il termine charis in greco sia il termine grazia
in italiano siano piuttosto imprecisi o quantomeno con un ventaglio
troppo ampio di possibili significati?

Sandra.
barnabino
00venerdì 28 marzo 2008 22:47
Cara Sandra,

Datti una letta a Perspicacia vol.1 alla voce "benignità" che io trovo molto interessante.

In termini molto generali benchè "charis" abbia diversi significati a seconda del contesto "viene rispettata l’idea centrale di chàris: ciò che è gradito (1Pt 2:19, 20) e avvincente. (Lu 4:22) Inoltre, in alcuni casi chàris si riferisce a un benigno dono (1Co 16:3; 2Co 8:19) o alla benignità nel farlo. (2Co 8:4, 6) Altre volte si riferisce al merito, alla gratitudine o riconoscenza che derivano da un atto particolarmente benigno".

Tra l'altro dice: "Quando il termine greco chàris ha questo significato, in riferimento alla benignità accordata a chi non la merita, come è vero della benignità mostrata da Geova, “immeritata benignità” è un ottimo equivalente in italiano".

Shalom



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