Meucci e Franklin: il tempo è galantuomo ma non paga i conti

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martee1964
00lunedì 8 settembre 2008 20:30

TORINO
Le principali questioni in ballo sono, uno, i soldi, due l’orgoglio nazionale. Quando sono strettamente intrecciate ne nasce una storia da romanzo. L’esempio principe, almeno per noi italiani, è quello di Meucci. In questo caso l’orgoglio nazionale è stato solennemente ristabilito dal riconoscimento nientemeno del Congresso degli Stati Uniti, che, l’11 giugno 2002, ha restituito legalmente e storicamente a Meucci la paternità dell’invenzione del telefono. Di soldi, per gli eredi s’intende, neanche a parlarne.

Con spirito pratico anglosassone è probabile che Kane Kramer, s’ispirerà a un caso molto meno noto, quello del britannico come lui John North, che si è concluso però con un assegno di 17 milioni di sterline nelle tasche dell’inventore gabbato pure lui, ma capace di trovare un giudice a El Paso, Texas. A John North è stata riconosciuta l’invenzione di un aspiratore portatile poi brevettato dalla multinazionale svedese Electrolux e venduto in milioni di esemplari. North sostiene che il segreto del potente aspiratore che sfrutta la forza del sottovuoto spinto gli fu rubato in una serata di vacanze alle isole Cayman, quando aveva alzato un po’ il gomito e raccontato il suo colpo di genio a uno sconosciuto.

Comunque sia andata, alla fine l’azienda ha preferito evitare grane e ha acconsentito a un accordo prima che si aprisse il processo. Antonio Meucci, che aveva costruito il primo prototipo di telefono nel 1854 stette, lo aveva brevettato nel 1871 ma con scadenza annuale e se lo era visto copiare da Alexander Graham Bell nel 1876, stette in causa per una decina d’anni. Nel 1887 la causa si conclude con la vittoria di Bell, sulla base del fatto che secondo il giudice Meucci avrebbe «inventato il telefono meccanico e Bell quello elettrico», che era oggetto del brevetto, oltretutto non più rinnovato dal 1873, perché Meucci non aveva neppure i dieci dollari necessari.

Meucci era un povero immigrato italiano, più che povero in bancarotta, e all’epoca del processo doveva scegliere tra il pranzo e la cena. Nell’America sciovinista di fine Ottocento le sue chance erano ridotte la minimo. L’inglese Rosalind Franklin pagò invece il fatto di essere donna nella Gran Bretagna degli anni Cinquanta. Nella corsa al Dna, la Franklin, assieme a Reymond Gosling, fece il passo probabilmente decisivo, quando produsse una mappa ad alta risoluzione della molecola con la diffrazione a raggi X ottenuta dall’irraggiamento con sostanze radioattive. Rosalind alla fine ci rimise la vita, nel 1958, per un cancro dovuto alla continua esposizione alle radiazioni, ma il Nobel e la paternità della «scoperta del Dna» se lo presero nel 1962 James Watson e Francis Crick, ovviamente prodighi di riconoscimenti postumi al suo lavoro indispensabile per arrivare al loro successo.

Il tempo è galantuomo e soprattutto non presenta il conto. Leonardo potrebbe brevettare il deltaplano o la vite infinita (che sembra però abbia copiato dagli antichi romani) e non farà certo causa alla Nasa, o a von Braun, Conrad Haas, che nel 1555 spedì nel cielo un razzo con propulsione termica a tre stati, con tanto di navicella abitabile stile missioni Apollo. La verità è stata ristabilita dal professore romeno Doru Todericiu, che ha trovato la cronaca del lancio in un antico manoscritto nella biblioteca di Sibiu. Scavando, scavando uscirà fuori anche la prima discoteca portatile, con tanto di cuffiette.
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