LA FENICE

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Lucifero
00domenica 11 dicembre 2005 15:43




LA FENICE





I



Ho udito che molto lontano da qui, verso oriente,

si trova una terra fra tutte la più nobile, ed essa

è famosa fra gli uomini. Una terra

inaccessibile a molti di coloro che vivono nel mondo,

poiché per questa ragione Dio la pose ai limiti, lontana

dagli esseri malvagi. Stupenda è la pianura,

ricca d’ogni delizia, fragrante

dei più dolci profumi della terra; isola incomparabile;

il suo Creatore è nobile e superbo, possente,

Egli fondò quella terra, dove la porta del regno dei cieli

è sempre aperta all’anime felici,

alle quali si rende manifesta la sua gioiosa armonia.

Un’attraente pianura vi si stende, i boschi sono verdi,

spaziosi sotto il cielo; e non c’è neve né pioggia,

non soffiano gelidi venti, non divampa il fuoco,

non vi batte la grandine, la brina non la copre,

non arde il calore del sole né il freddo imperversa,

e non esistono aride stagioni, né mai

la tempesta invernale la danneggia: la pianura

resta serena e immutabile.

Su quella nobile terra sbocciano fiori sempre.

I monti e le colline non vi si ergono ripidi, come

in questo nostro paese, nè alti

si levono picchi di roccia; né forre né vallate,

né caverne montane né cime né giogaie,

nessuna cosa vi spicca rudemente. La nobile pianura

fiorisce sotto le nuvole, vi sboccia la bellezza.

Quella terra radiosa è cinque volte più alta

(come affermano i saggi in tutti i loro scritti

nati da studio profondo) di qualsiasi monte

che luminoso si erge oltre le nostre nebbie

sotto le stelle del cielo. Serena

quella gloriosa pianura; boschi assolati risplendono,

belle foreste vi crescono; i frutti non cadono mai,

né avvizziscono i fiori raggianti, gli alberi tutti rimangono

verdi perennemente come il Signore li volle.

D’estate e d’inverno la foresta è ricca

di frutti maturi, né mai le foglie scompariranno

sotto lo sguardo del cielo, né mai le fiamme la distruggeranno

nel corso di tutte le età, finché il mondo

non subirà mutamento. E quando un tempo la corsa delle acque,

la marea degli oceani coprì metà della terra,

la pianura rimase isolata dal mutamento improvviso, difesa

di fronte alla corrente impetuosa di quelle acque possenti,

felice e inviolata per grazia di Dio.

E resterà così nel suo fiorire fino all’arrivo del fuoco

del giudizio di Dio, allorché le dimore della morte,

le tenebrose camere degli uomini saranno spalancate.

In quella terra è ignota l’odiosa inimicizia,

non esistono segni di dolore, lamenti né vendette,

vecchiaia o povertà, misera morte o assenza della vita,

ogni male è lontano, con le contese e tutti

i peccati del mondo, non c’è tristezza d’esilio,

né la fatica della miseria, non poca è la ricchezza,

né il sonno né gli affanni o malattie crudeli,

né rigori invernali né la violenza delle bufere

dal cielo minaccioso, né il pungente freddo

morde le creature coi gelidi ghiaccioli turbinanti.

Né brinate né grandine discendono

su quella terra, né nuvole spinte dal vento,

né guidate dal vento vi cadono le pioggie, e piuttosto,

meraviglia infrequente, vi sgorgano sorgenti;

con piacevole e limpida musica le acque

nella foresta scorrendo vanno a irrigare il suolo;

zampillano fredde come il mare dalle zolle erbose

ogni mese attraversano il folto degli alberi, talvolta

con incredibile slancio. Per ordine di Dio

dodici volte il flusso delle acque su quella splendida terra

deve ogni anno con gioia avvicendarsi,

i boschi sono densi di bocci, fioriscono

meravigliosamente; mai sotto il cielo benedetto

l’ornamento dei boschi si dissecca e cade, né mai

divengono rosse le foglie, e la bellezza degli alberi

vive perennemente; anche i rami degli alberi

restano sempre giovani, meravigliosa saggezza,

nel corso dei secoli i frutti si rinnovano.

Su quell’erbosa pianura sempre visibile è il verde

che risplende vivissimo per ordine

di Nostro Signore, di Colui che è il più bello

di tutte le foreste. E le foreste, in tutta

la loro bellezza, non conoscono mai mutamento;

sacra su quella terra la loro fragranza è perenne,

non avrà mai fine, finché Colui che per primo la creò

non porrà fine alla Sua antica opera

da tanto tempo iniziata.





II



Un uccello di forte ala, splendidamente bello,

abita questi boschi; il suo nome è Fenice.

L’uccello solitario ha qui la sua dimora,

la sua orgogliosa esistenza; né mai la morte l’offende

sulla ridente pianura, mentre il mondo invecchia.

Dicono che l’uccello osserva il corso del sole

va a incontrare quella lieta gemma,

la fiaccola di Dio, e avidamente la fissa, finché

la più nobile stella, l’opera antica del Padre,

il segno radioso di Dio sorge sul grande mare ondoso

scintillando ad oriente in tutta la sua gloria.

Le stelle si nascondono, sommerse

dall’oceano a occidente, oscurate dall’alba,

oscuramente la notte si parte con le tenebre;

allora forte nel volo e superbo di piume l’uccello

fissa con desiderio il fiume in mezzo ai monti,

fissa le acque sotto il cielo immobile

finché la luce celeste si avvicina

scivolando da oriente sull’immenso mare.

Allora il nobile uccello si posa

vicino alla sorgente, in tutto il suo splendore,

trova rifugio fra i limpidi ruscelli,

e per dodici volte la creatura radiosa si bagna

nelle acque che scorrono, prima che giunga la luce

della fiaccola del cielo, e ad ogni bagno, freddo

come la schiuma dell’oceano, si diletta

delle gaie sorgenti dell’acqua zampillante.

E dopo i giochi d’acqua ecco si slancia

sulla cima frondosa di un immenso albero, da cui

più facilmente – superba – può osservare

l’avanzare del tempo dall’oriente,

quando la fiaccola del cielo, quel raggio di luce,

risplenderà serena sul corso delle acque.

La terra si adorna, più bello è fatto il mondo, appena

la gemma della gloria, la stella più nobile, illumina,

viaggiando sulle onde dell’oceano, metà della terra.

E quando il sole si leva sulle correnti salmastre

alto il radioso uccello gioiosamente si parte

dalle fronde dell’albero, e rapido di ali si solleva in volo,

canta e gorgheggia felice verso il cielo etereo.

Meraviglioso e superbo il volo dell’uccello,

esaltato il suo spirito, lieto e leggero;

variato il canto con le più limpide note,

le più belle che mai abbiano udito

dall’aria i figli dell’uomo, dal tempo

in cui il Signore Supremo, il Creatore,

pose la prima volta il mondo, col cielo e con la terra.

La musica della sua voce è più graziosa e dolce

di qualsiasi canto, e la sua melodia stupefacente;

né trombe né corni ne eguagliano il suono,

né il tocco dell’arpa né la voce dell’uomo,

di nessuno sulla terra, né la nota dell’organo le è pari,

né canzone armoniosa né piuma di cigno,

né alcuno dei suoni creati dal Signore

per la delizia degli uomini in questo triste mondo.

L’uccello canta e gorgheggia felice e radioso

finché nei cieli del sud il sole non si immerge nuovamente;

e quindi si fa silenzioso, si pone in ascolto, solleva

il suo capo orgoglioso, tre volte

scuote le piume e saggio si dispone al volo.

L’uccello ora tace. E così attende che passino le ore,

di giorno e di notte, com’è comandato, perché

l’abitatore delle foreste possa godere in letizia la pianura,

possa gustare la felicità, la vita e le sue gioie

le bellezze di tutta la terra,

finché il guardiano di quelle foreste

abbia vissuto ancora mille anni. Allora

con piume grigie l’uccello è divenuto vecchio, pesante,

distrutto dagli anni; la gloria di tutti gli uccelli

si leva dalla terra verdeggiante e dal suolo fiorito

cerca un tratto spazioso di terra non abitato dagli uomini,

lo elegge a sua dimora; e qui,

su tutti gli altri eccellendo in potenza, merita signoria

ed è esaltato da tutti gli uccelli.

Per un’intera stagione abita quel deserto, e poi,

forte nel volo e rapido di ali nuovamente parte

verso occidente, gli uccelli lo circondano, tutti

vorrebbero seguirlo, servi e ministri del glorioso capo,

finché non raggiunge la terra di Siria col numeroso seguito.

Qui l’uccello purissimo gli altri allontana da lui,

nell’ombra di un bosco frondoso si sceglie

un luogo solitario, appartato dagli uomini, e pone

la sua dimora nel bosco, su un albero altissimo

dalle profonde radici ben salde nella terra

sotto il tetto del cielo; a quell’albero gli uomini

han dato nome Fenice sulla terra, dal nome dell’uccello.

Il Re possente e glorioso, Signore degli uomini tutti,

ha decretato che l’albero, così come ho sentito,

fra gli alberi che crescono e lanciano alto ogni ramo

fiorisca più splendente di ogni altro, e nulla

crudelmente l’offenda, e protetto dal male

possa vivere sempre impareggiabile

mentre continua il mondo.





III



Quando immobile è il vento, serena la stagione,

quando la sacra gemma celeste riluce quietamente

le nuvole rade e tutti i corsi d’acqua

riposano in silenzio, e le tempeste tacciono lontane;

quando dal sud scintilla la fiaccola mite

della stagione e illumina le genti disperse sulla terra,

allora l’uccello incomincia a prepararsi il nido,

a costruirsi la casa fra i rami più alti.

Grande il suo desiderio, forte l’impulso della conoscenza,

mutare la vecchiaia, vivere ancora,

ottenere una nuova e fresca giovinezza.

Raccoglie da ogni luogo, vicino e lontano,

erbe graziose e fogliame del bosco per la sua dimora,

e la dolce fragranza delle erbe che il Signore, il Padre

di tutti gli inizi creò sulla terra, le più delicate

per la gioia di tutte le creature. E questo ricco tesoro

porta nel cavo dell’albero e fra i suoi alti rami,

dove l’uccello solitario in quella solitudine erige

comoda e bella la sua casa e tutto solo vive

nella sua camera piena di sole, e l’ombra delle foglie

circonda il suo corpo e le ali, e tutto attorno il profumo

della beatitudine, con i più nobili fiori della terra;

l’uccello, posato su un ramo, si prepara al volo.

Quando il gioiello del cielo, a metà dell’estate,

il sole splende più caldo, alto sull’ombra,

ed osservando il mondo segue il percorso che Dio gli ha comandato,

sotto il cielo sereno la casa dell’uccello si riscalda,

le erbe crescono tepide, la camera è fragrante

dei più dolci aromi e nel calore splendente,

nella morsa del fuoco uccello e nido sono arsi insieme.

Il rogo è acceso; e allora il fuoco avviluppa

la casa della triste creatura; con furia spietata

la fiamma gialla divora, e la Fenice

brucia con i suoi anni; il fuoco morde il suo fragile corpo;

dalla sua vita l’anima condannata si diparte;

la fiamma del rogo arde la carne e le ossa;

ma poi nel tempo dovuto una nuova vita vi torna

quando le ceneri iniziano ancora, finita

la forza della fiamma, a ricomporsi insieme,

come contratte in un pugno. Quando quel nido splendente,

la dimora dell’essere guerriero è divenuta pura,

polverizzata dal fuoco, e la sua spoglia ormai fredda,

il suo scheletro rotto, ecco la fiamma si estingue.

Nel rogo in mezzo alle ceneri si trova allora una mela,

e dalla mela ecco nascere un verme, e il verme cresce

meravigliosamente bello, come se fosse uscito da un uovo,

purissimo dal guscio. E si forma nell’ombra,

così che all’inizio assomiglia all’implume di un’acquila,

un piccolissimo uccello; e ancora cresce fino a diventare,

felicemente, come una vecchia aquila, e si arricchisce di piume,

radiosamente adornato com’era all’inizio; la sua carne

è tutta rinnovata, nata ancora, pura d’ogni peccato;

in modo non diverso gli uomini raccolgono

i frutti della terra, loro sostentamento, cibo gustoso,

al tempo del raccolto, quando è il momento della mietitura,

prima che giunga l’inverno e un rovescio di pioggia

cada precipitoso dalle nuvole a distruggerli;

e si rifugiano in casa a godere quel cibo delizioso

quando la neve e il gelo, con forza irresistibile,

ricoprono la terra con le funebri vesti dell’inverno.

Da quei frutti di nuovo fiorisce la ricchezza,

dalla natura del grano che è seminato prima

come semplice seme, e quindi il raggio del sole

all’avanzarsi della primavera risveglia tutti i segni della vita,

la grande ricchezza del mondo, così che i frutti,

ornamento della terra, siano attraverso se stessi

prodotti nuovamente. L’uccello,

ormai vecchio nel corso degli anni, diviene giovane ancora,

si veste di carne. Non tocca cibo alcuno sulla terra,

assaggia solo rugiada di miele

che a mezzanotte talvolta ricade sulla pianura e sui boschi;

così il nobile uccello continua la sua vita

e ricerca il suo luogo originario, la sua dimora antica.





IV



Quando l’uccello dal nobile piumaggio

è cresciuto fra l’erbe e la sua vita è nuova,

giovane e piena di grazia, allora dalla polvere

con le rapide membra raccoglie il suo corpo

divorato dal fuoco, ciò che è rimasto dal morso delle fiamme;

con arte raccoglie le ossa bruciate

dalla violenza del fuoco, e le ossa e le ceneri spoglie del rogo

ancora insieme unisce, le spoglie della morte

ricopre di erbe, le adorna riccamente. E quindi è spinto

alla ricerca della sua dimora. Con le zampe afferra,

con i suoi artigli prende ciò che è rimasto dal fuoco,

gioiosamente si spinge alla ricerca della sua dimora,

la casa splendente di sole, la sua felice terra nativa.

Tutto sarà rinnovato, la vita e le piume, com’era al principio

quando Dio pose la Fenice per la prima volta

su quella nobile pianura. Porta con sé le ossa che il fuoco

aveva arso con rabbia con la fiamma ardente

sul rogo funerario, e porta anche le ceneri. E le ossa e le ceneri

insieme seppellisce su quell’isola. Il segno del sole

è rinnovato del tutto, quando la luce del cielo,

la più felice di tutte le gemme, la stella più bella di tutte,

viaggiando sull’oceano risplende da oriente.

L’uccello ha colori stupendi a vedersi, brillanti

di sfumature diverse sul petto, mentre il capo è verde,

curiosamente variegato con striature rosse;

anche la coda è bella, divisa in due parti,

ed una parte è bruna e l’altra parte è rossa,

adornata con arte di pallide macchie; le ali

tutte bianche sul retro, e il collo è verde e il becco

risplende come gemma o come vetro; vicino alla bocca

ha piume luminose; forte la facoltà degli occhi

simili nell’aspetto ad una pietra, a un brillante gioiello

incastonato in un’anfora d’oro dall’artificio del fabbro.

Attorno al collo, come attorno alla sfera del sole,

il più lucente di tutti gli anelli, tessuto di piume;

meraviglioso il ventre, bello grazioso e splendido;

come uno scudo le piume del dorso riccamente adorne;

le zampe gialle sfumate di porpora. Davvero

l’aspetto dell’uccello è inconfondibile;

più elegante e più grande di un pavone, come molti dicono.

Non è lento né tardo, né pesante né pigro come tanti uccelli

che percorrono l’aria con le ali grevi,

ma è rapido e pronto, leggero,

colmo di grazie e bello, meravigliosamente adornato.

Eterno è il Sovrano che gli donò tante benedizioni.

E così si diparte e cerca le pianure,

l’antica dimora, da questo tratto di mondo;

e mentre vola è scorto dalle genti, da molti

uomini sulla terra che da sud a nord,

da oriente e da occidente si radunano;

in folti gruppi, in folle di popolo giungono

da ogni dove, vicino e lontano, perché scorgono

la grazia del Creatore rivelata

in quell’uccello, come se dall’inizio il vero Re

delle vittorie avesse solo a lui assegnato

una natura nobile, una bellezza maggiore di quella

che agli uccelli ha concesso. E per tutta la terra i mortali

la sua bellezza e le sue forme ammirano, come

si legge negli scritti, e con le loro mani lo effigiano

in statue di marmo, così da mostrare in ogni giorno e ora

lo splendore dell’uccello dal rapido volo.

Tutti gli uccelli si affollano,

giungono da ogni lato della terra,

discendono dai luoghi più lontani,

e in forti melodie cantano lode e gloria

alla creatura nobile; e il sacro uccello circondano

mentre vola nell’aria; la Fenice è al centro

di quel cerchio formato da immense moltitudini.

Il popolo osserva come con meraviglia si muovono,

come gli stormi volano devoti ad onorare quel selvaggio uccello,

come alto l’annunciano e lo proclamano re, amato condottiero,

e il loro nobile principe accompagnano

alla dimora lontana, finché l’uccello solitario

vola con rapide ali e gli stormi gioiosi

non possono seguirlo. Così la delizia dei popoli, lontano

da questo tratto di mondo, ricerca la terra nativa.





V



Così l’uccello benedetto, dopo il suo tempo di morte,

visita ancora la sua antica terra,

il fiorito giardino. Con animo mesto gli uccelli ritornano

ai loro paesi natali, lasciando il guerriero orgoglioso.

La nobile creatura, nuovamente giovane, giunge

alla sua casa. Dio solo conosce, il Re di tutta la Gloria,

qual’è il suo sesso, se femmina o maschio;

nessuno conosce fra gli uomini, soltanto il Creatore,

le condizioni, gli antichi decreti che riguardano

la nascita di questo uccello, che benedetto ora gode

la sua dimora, i fiumi trascorrenti, e nel fitto dei boschi

può vivere felice, sulla pianura, finché mille anni

non abbiano compiuto il loro corso; solo allora giunge

la fine della vita; il rogo lo afferra di nuovo

con il suo fuoco fiammante; eppure ancora torna

meravigliosamente alla vita, e stranamente si sveglia.

Perciò, per quanto debole, non teme affatto la morte,

non teme gli atroci tormenti dell’oscura morte,

perché sa che la vita si rinnova dopo il morso della fiamma,

che c’è una nuova esistenza dopo la distruzione,

quando dalle sue ceneri rapidamente è come ricreato,

nato di nuovo come uccello, e giovane di nuovo,

sotto il rifugio del cielo. In sé è tutto e ogni cosa,

è figlio e tenero padre, e quando viene il tempo anche l’erede dell’antica stirpe.

L’Onnipotente, Creatore dell’Umanità, ha deciso

che torni sempre ad essere la stessa cosa che era,

rivestito di piume anche se lo consuma il fuoco.

E così è stato deciso che a lui venga concessa

la vita eterna dopo i più tristi affanni;

e che oltre la morte tenebrosa egli possa godere,

dopo i suoi giorni d’un tempo, i doni del Signore,

e l’eterna letizia, e in questo mondo possa sempre vivere

in ricompensa di tutte le sue opere.

La natura di questo animale non è diversa in nulla

dalla natura stessa dei beati, dei servi di Cristo;

essa preannuncia agli uomini come attraverso l’aiuto del Padre

possano giungere a una gioia altissima

anche in questi momenti di pericolo, in questo

tempo in cui noi viviamo, ed ottenere

nella casa celeste la beatitudine.

Abbiamo appreso che Dio creò l’uomo e la Donna con la sua

meravigliosa potenza, e li pose per grazia

nella regione più bella della terra, che gli uomini

chiamano Paradiso; e non vi fu per loro altro che gioia

finché osservarono il verbo dell’Eterno, il decreto

di Dio Nostro Signore nel loro stato felice.

In questo luogo l’odio, l’invidia del vecchio nemico,

li indusse al peccato, perché offrì loro per cibo

il frutto dell’albero, così che entrambi gustarono la mela

senza pensiero alcuno; contro la volontà di Dio

mangiarono il frutto proibito. E dopo

ne ebbero affanni, le pene più dure, essi ed i loro figli;

per i figli e le figlie fu un pasto doloroso;

e i loro denti golosi furono il loro veleno;

vennero ripagati secondo il loro peccato.

Ebbero su di sé la punizione di Dio,

miseria amara e profonda, e i loro figli da allora

hanno sempre pagato, perché mangiarono il frutto

contro il divieto del Signore Eterno.

Da allora, condannati, con l’animo triste,

a abbandonare la terra della gioia, per colpa

della malizia del vecchio serpente,

che astutamente trasse in inganno i nostri genitori,

in quei lontani giorni, con spirito colpevole,

così che essi da allora in questa valle di morte

trovarono un asilo, una triste dimora.

Da allora la vita migliore è per loro nascosta nelle tenebre,

per la malizia del nostro nemico la sacra pianura

per molti inverni fu chiusa, finché il Re della Gloria,

la Gioia dell’umanità, il Conforto dei deboli,

la nostra sola speranza, non la spalanchi di nuovo

per il suo sacro Avvento.





VI



Similmente trascorre la vita, uguale è la vicenda (per quello

che i saggi a noi dichiarano in parole, e per quello

che gli scritti rivelano) di questo uccello quando

abbandona la terra e la dimora ormai fattosi vecchio.

Con lo spirito affranto, pesante di anni si parte

verso l’alto rifugio degli alberi, dove

con erbe e ramoscelli, con nobili piante si crea

una nuova dimora, un nuovo nido nel fitto del bosco.

Grande è il suo desiderio di ricevere

anche se arso da fiamma giovinezza nuova,

la vita oltre la morte, il desiderio

d’esser giovane ancora, e di trovare ancora

il paese natale, l’antica pianura, le sue

abitazioni splendenti di sole dopo il suo bagno di fuoco.

Così coloro che vennero prima di noi, i nostri antichi avi,

lasciarono dietro di sé quella bella pianura, quel seggio di gloria,

l’abbandonarono alla sua bellezza e intrapresero un lungo viaggio,

abbandonati al potere del male, verso il luogo in cui

tutti i loro nemici, i mostri spaventosi li feriscono.

Eppure molti di essi obbedirono al loro Creatore

sotto la volta del cielo con sacri riti e con gloriose azioni,

e verso di loro il Signore, il Grande Re dei Cieli,

graziosamente fu buono. E questo l’albero eccelso

dove ora dimorano i beati, dove ora vivono;

nessuno dei loro nemici può ora colpirli,

nessuno degli antichi nemici potrà più ferirli

con la malizia o il veleno in questi tempi oscuri.

Qui il campione di Nostro Signore, per nobili imprese,

contro tutti i nemici si costruisce un nido

da dove porta elemosina ai poveri, a coloro

che stanno vuoti d’ogni benedizione, e da qui invoca il Signore

invoca il Padre che venga in suo aiuto, chiede liberazione

da questa fragile vita, cancella ogni macchia

di trasgressione e purifica

da tutte le malvage e tenebrose azioni, sostiene

superbamente in petto la legge del Signore, sollecita preghiere

con la più pura delle meditazioni, s’inginocchia

devotamente, e allontana ogni cosa maligna

l’orrido peccato con il timore di Dio,

si propone di portare a termine il numero più alto

di azioni benefiche e sante; il Sovrano, il Re della vittoria,

Colui che conduce gli eserciti è il suo forte scudo,

in qualsiasi stagione. Sono queste le piante

i fiori e la frutta matura che il selvaggio uccello

raccoglie in ogni dove sotto il cielo per il luogo in cui,

meravigliosamente sicuro contro i suoi nemici,

si costruisce il nido. Così i campioni del Signore eseguono

tutta la sua volontà con la mente e il cuore,

nelle loro case vivono praticando la virtù;

per questo l’Eterno Signore li ricompenserà benedicente.

Da quelle piante una casa per loro verrà costruita

nella città della gloria, per compensarne l’opera,

perché il santo consiglio con fervore tennero

chiuso nei loro cuori, con animo ardente,

continuamente e di giorno e di notte; essi amano Dio

con fede sempre accesa, e preferiscono Dio

alle ricchezze del mondo; nessuna gioia traggono

dalla speranza che a lungo sia loro mantenuta

questa vita transitoria. Possa il felice mortale

apprendere in pieno coraggio che la gioia è eterna

e condividere insieme all’Alto Re la dimora celeste

finché giunga la fine di tutti i suoi giorni, la morte,

guerriero assetato di sangue, che armata di armi invincibili

rapisce la vita di ognuno, invia rapidamente

tutti i fragili corpi nel grembo della terra, privati dell’anima;

e qui resteranno coperti di terra finché non giunga il fuoco.

Allora molti del genere umano verranno a riunirsi

dove il Padre degli Angeli, il Re della vittoria e Signore del mondo

terrà un’assemblea, e secondo giustizia saranno giudicati.

E allora tutti gli uomini, su questa terra, risorgeranno quando

il Re Possente, il Principe degli Angeli, il Salvatore d’anime

lo vorrà proclamare per l’ampio deserto

con la voce squillante delle trombe. Per volontà del Sovrano

la morte oscura avrà fine per tutti i beati; nobilmente andranno;

si muoveranno in folla quando per i peccati

il mondo brucerà con ignominia e sarà consumato

dall’esplosione ardente della fiamma.

Allora ognuno proverà terrore quando il forte fuoco

distruggerà le fragili ricchezze della terra, e la fiamma

divorerà i tesori del mondo, e l’oro a forma di mela

afferrerà avidamente, con cupidigia inghiottendo

ogni ricchezza del suolo. In quel tempo in cui tutto sarà rivelato

anche il significato di questo uccello felice diverrà scoperto,

alla luce del sole, quando il Potere Supremo

farà risorgere gli uomini dai loro oscuri sepolcri,

le ossa radunate, le membra e il corpo riuniti, lo spirito vitale

ospite un tempo della fiamma, inginocchiati

davanti a Cristo Signore; e nella sua Maestà,

dal Suo altissimo trono il Re risplenderà sui beati ora salvi,

il luminoso Gioiello dei cieli. Felice colui

che nel tempo peggiore piacque sempre a Dio.





VII



Allora tutta la carne, purificata dai tristi peccati

proseguirà felice il suo viaggio, e di nuovo le anime

ritorneranno ai corpi che le sostenevano

mentre la fiamma salirà alta nei cieli. E la fiamma

sarà per molti crudele quando ogni mortale,

sia giusto o peccatore, anima e corpo,

dalla tomba di terra dovrà affrontare il giudizio di Dio,

percosso dal terrore, e il fuoco avanzerà verso di lui

brucerà il peccato. E qui i saggi saranno circondati

dall’opere compiute e dalle loro imprese, dopo il tempo

della terrena sofferenza. Sono questi gli arbusti

pieni di grazia e nobili con cui l’uccello selvaggio

circonda il proprio nido, così che subito arde con il fuoco

sotto il sole splende, e anche l’uccello è in fiamme,

dalla fiamma riceve nuova vita.

Così i mortali, di nuovo vestiti di carne,

saranno belli e giovani, chiunque abbia adempiuto

con la sua volontà le opere richieste, e l’Altissimo Re della gloria

sarà misericordioso con lui in quell’incontro

quando gli spiriti santi grideranno alto

le anime giuste leveranno un canto, e i puri

e gli eletti loderanno la Maestà dell’Altissimo;

voce con voce voleranno ai cieli

con la dolce fragranza delle loro imprese.

Le anime degli uomini saranno allora provate

rese splendide e pure dall’ardore del fuoco.

Nessuno pensi che io componga il mio canto

scriva versi con false parole. Ascoltate

la saggezza dei canti di Giobbe. Con il dono

della sua anima ispirata, con onore e gloria,

egli orgogliosamente parlò, disse queste parole:

"Con i pensieri del cuore non mi dolgo affatto

di dover scegliere il letto di morte nel mio stesso nido,

d’esser spinto, oppresso dalla morte, a intraprendere il lungo viaggio,

coperto d’argilla, serrato nell’abbraccio della polvere,

piangendo le mie imprese ormai compiute;

che io possa, per grazia del Signore,

dopo la morte e la resurrezione, simili alla Fenice

avere nuova vita, e le gioie di Dio, dove le schiere

dei beati lo lodano, Colui che più di tutti è amato.

Né mai possa vedere la fine, nell’eternità del tempo,

di questa vita, con le sue luci di felicità.

Sebbene la mia carne si corrompa nella sua casa terrena

sia preda dei vermi, il Signore degli Angeli

dopo l’ora della morte redimerà la mia anima,

la risveglierà nella gloria; questa speranza

non fuggirà dal mio petto, poiché fermamente ho deciso

che la mia gioia abbia sempre dimora con il Principe".

Così quel saggio, Profeta di Dio,

cantò nei tempi antichi la sua resurrezione

nella vita eterna, e noi più chiaramente comprendiamo

il preziosissimo dono che la Fenice offre agli uomini

quando è arsa dal fuoco risplendente.

Raccoglie le sue ossa sbriciolate, le ceneri e la polvere

dopo il fiammante fuoco, e l’uccello le porta

fra le sue zampe alla corte del Signore, dove il sole splende;

qui molti anni dimorano, in forma nuova,

rese ancora giovani; e in quel regno

mai più nessuno le potrà offendere.

Così ora, dopo la morte, per la potenza di Dio,

tutte le anime andranno con i loro corpi

riccamente adornati, come il sacro uccello,

nella beatitudine, fra la più dolce fragranza,

là dove il vero sole, il sole unico e eterno,

risplende bello sulle moltitudini nella città della gloria.





VIII



Allora sull’anime giuste, alto sopra la volta dei cieli,

Cristo Nostro Signore risplende: gli uccelli

colmi di luce lo seguono, esultano

fatti radiosi e nuovi nella dimora felice,

spiriti scelti per l’eternità; e qui il nemico folle

non li può offendere con la malizia e la malvagità,

qui sempre essi vivranno vestiti di luce

come il sacro uccello, stupendi e gloriosi,

nella pace del Signore. Le opere di ognuno

risplenderanno chiare nella dimora felice

di fronte a Dio Eterno, per sempre benedetti, come il sole.

Qui la corona luminosa di tutti i beati

meravigliosamente incastonata di pietre preziose

su quelle fronti torreggia, e le fronti

risplendono maestose; il Diadema di Dio

gli uomini giusti gloriosamente adorna

di luce chiara in questa vita dove

la gioia imperitura, eterna e sempre giovane,

non sarà mai negata; essi dimorano nella bellezza, vestiti

di ricchi e stupendi ornamenti, col Padre degli Angeli.

In quelle case laggiù non c’è nulla che possa arrecare dolore

né affanni né delitti, né giorni di contesa,

né terribile fame né sete crudele,

né la miseria né la vecchia età; il più nobile

di tutti i Re dona a loro ogni bene. Le schiere degli spiriti

lodano il Salvatore, celebrano il potere

del Re dei cieli, cantano lode al Creatore;

e dolcemente risuona l’inno dei beati

con melodia serena vicina al trono di Dio;

felicemente i beati, insieme agli Angeli,

benedicono il Principe Sovrano ad una sola voce:

"Sia la pace con Te, Dio veritiero, e la potenza

della saggezza, e siano a Te rese grazie,

a Te che siedi nella maestà, per tutti

i tuoi doni recenti, e per la Tua bontà.

Grande e incommensurabile è la Tua potenza,

santa e altissima; i cieli traboccano

della Tua gloria stupenda, o Signore,

Maestà delle maestà, fra gli angeli e fra gli uomini.

O Creatore di tutte le cause, proteggici.

Tu Padre Onnipotente, Signore del regno dei cieli".

In questo modo parlano coloro che compiono il giusto,

puri contro il peccato, nella città gloriosa; la compagnia dei beati proclama

la Sua Maestà Regale, canta nei cieli la lode

del proprio Sovrano, poiché solo per Lui è l’onore,

e senza fine per sempre. Egli non ebbe origine,

né vi fu inizio alla bontà di Lui, anche se nello stato

di un bimbo nacque su questa terra.

Eppure la grandezza della sua potenza

rimase santa nei cieli, inviolata la gloria,

per quanto condannato a subire l’affronto della morte

fin dall’inizio Egli fosse e la tribolazione più cruda

sul legno della croce. Al terzo giorno, dopo

la sconfitta del corpo, Egli di nuovo ebbe vita

con l’aiuto del Padre. Così la Fenice,

giovane nella casa dove abita, preannuncia

la potenza del Fanciullo Divino

quando si leva dalle proprie ceneri

nella vita della vita, con le sue membra tutte ricomposte.

Così il Salvatore porta a noi soccorso,

la vita senza fine, con la morte del Suo Corpo.

Come l’uccello pesa le sue ali

con erbe dolci e gradevoli, i frutti della terra,

quando è sospinto al volo, così sono questi

i detti e le parole degli uomini beati

(come dice la Scrittura), il cui cuore è sospinto

a raggiungere il cielo, verso il Signore benigno,

la gioia della gioia; e là al Signore di tutte le cose

donano la fragranza delle loro parole e delle loro opere

nella creazione ammirevole, in quella vita raggiante.

Lode sia a Lui per sempre e per i secoli tutti,

e la pienezza della gloria, sovranità ed onore,

nel luminoso regno dei cieli. Egli è l’Altissimo Re

della terra e del cielo, avvolto dalla gloria

della città meravigliosa.

A noi tutti permise, lucis auctor,

che in completa giustizia merueri

con le buone azioni gaudia in celo

là dove maxima regna

potremo ricercare, ed in sedibus altis

sedere e vivere con lucis et pacis,

godere beati alma letitiae

i nostri giorni trascorrere, e blandem et mitem

vedere Iddio trionfante sine fine

a Lui cantare laude perenne

in mezzo agli angeli santi. Alleluia.
Mefisto3
00martedì 13 dicembre 2005 10:21

a Lui cantare laude perenne

in mezzo agli angeli santi. Alleluia.




Cosa c'entra la Fenice, Divinità sacra anche ai Fenici con il dio abramico?


Mefisto
Lucifero
00martedì 13 dicembre 2005 13:30
Re:

Scritto da: Mefisto3 13/12/2005 10.21

a Lui cantare laude perenne

in mezzo agli angeli santi. Alleluia.




Cosa c'entra la Fenice, Divinità sacra anche ai Fenici con il dio abramico?


Mefisto



Mefisto.. Mefisto...E' sempre la solità divinità.Allora non mi credi quando cito il Joker della luce ? Egli si è preso e si prende tutt'ora beffa degli esseri umani:
www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=59308&idd=816
Il bagatto burlone esalta la scienza e favorisce la riservatezza e la segretezza di gruppi di ricercatori che studiano le vie matematiche, biochimiche, fisiche per parcellizzare all’infinito la natura

La fenice è il simbolo della rinascita,rinasce dalle proprie ceneri,la vera realizzazione della grande opera alchemica [SM=g27823]

Ciao
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