Atti, Documenti, Concili e Sinodi nel Pontificato di Benedetto XVI

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00martedì 4 ottobre 2005 02:03
Relazione del Cardinal Angelo Scola ad introduzione del dibattito sinodale


CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 3 ottobre 2005 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la “Relatio Ante Disceptationem” pronunciata questo lunedì mattina dal Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia e Relatore Generale al Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, nel corso della Prima Congregazione Generale del Sinodo.


INTRODUZIONE

Eucaristia: la libertà di Dio viene incontro alla libertà dell’uomo

I. Stupore eucaristico

Quando celebrano l’Eucaristia, “i fedeli possono rivivere in qualche modo l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24, 31) [1]. Per questo Giovanni Paolo II afferma che l’azione eucaristica suscita stupore [2]. Lo stupore è la risposta immediata dell’uomo alla realtà che lo interpella. Esprime il riconoscimento che la realtà gli è amica, è un positivo che incontra le sue attese costitutive. San Paolo, scrivendo ai Romani, ne spiega la ragione: la realtà custodisce il disegno buono del Creatore. A tal punto che l’Apostolo ha potuto dire degli uomini “che soffocano la verità nell’ingiustizia” che sono “inescusabili” perché “pur conoscendo Dio” - dal momento che “dalla creazione del mondo in poi le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute” - “non gli hanno reso gloria né gli hanno reso grazie come a Dio” (cfr. Rm 1, 19-21). Incertezza e timore, invece, possono subentrare in un secondo tempo nell’esperienza dell’uomo, quando, a causa della finitudine e del male, in lui si fa strada la paura che la positività della realtà non permanga.

Così, da una parte, l’azione eucaristica, come del resto l’intero cristianesimo in quanto sorgente di stupore [3], si inscrive nell’esperienza umana come tale. Tuttavia, dall’altra, Essa si manifesta come un avvenimento inatteso e del tutto gratuito. Nell’Eucaristia si rivela che quello di Dio è un disegno di amore. In Essa il Deus Trinitas, che in Se stesso è amore (cfr. 1Gv 4, 7-8), si abbassa nel Corpo donato e nel Sangue versato da Cristo Gesù, fino a farsi cibo e bevanda che alimentano la vita dell’uomo (cfr. Lc 22, 14-20; 1Cor 11, 23-26).

Come i due di Emmaus, rigenerati dallo stupore eucaristico, ripresero il proprio cammino (cfr. Lc 24, 32-33) così, il popolo di Dio, abbandonandosi alla forza del sacramento, è sospinto a condividere la storia di tutti gli uomini.

Giovanni Paolo II con grande lungimiranza, subito fatta propria da Benedetto XVI, volle prolungare i benefici frutti del Grande Giubileo nello speciale Anno Eucaristico [4], stabilendo che questa XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi fosse dedicata a L’Eucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. La solenne celebrazione eucaristica con cui ieri l’abbiamo iniziata nella Basilica di San Pietro, ci ha oggettivamente aperti a quell’atteggiamento di stupore che, se opportunamente assecondato durante i nostri lavori, contribuirà a far riscoprire la centralità e la bellezza dell’Eucaristia alla Chiesa sparsa in tutto il mondo.

Perché l’Eucaristia è l’affascinante cuore della vita del popolo di Dio destinato alla salvezza dell’umanità intera? Perché essa svela e rende presente nell’oggi della storia Gesù Cristo come senso compiuto dell’umana esistenza in tutte le sue dimensioni personali e comunitarie [5]. E lo documenta a livello antropologico, cosmologico e sociale.

“Nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” [6]: nell’Eucaristia questa centrale affermazione conciliare rivela tutto il suo realismo. Nel pane e nel vino, frutti della terra e del lavoro, è ricapitolata l’offerta totale che l’uomo, uno di anima e di corpo [7], fa di sé, dei suoi affetti e del suo operare; è espresso il suo rapporto di permanente interazione col cosmo e, nello stesso tempo, si documenta la sua originaria solidarietà con tutti i fratelli uomini, a partire dalla famiglia e dalle comunità più prossime per giungere fino agli estremi confini della terra.

Nel dono eucaristico è consentito al credente l’accesso alla Verità vivente e personale che fa “liberi davvero” (cfr. Gv 8, 36). Nell’Eucaristia l’invito di Gesù “se vuoi essere perfetto” (Mt 19, 21) assume tutta la sua pregnanza. L’uomo è provocato ad uscire da se stesso verso gli altri e la realtà tutta, perché sia soddisfatto il desiderio inestirpabile di felicità che porta nel proprio cuore [8]. Nell’Eucaristia Gesù diviene concretamente Via a quella Verità che dà la Vita (cfr. Gv 14, 6) [9].
In Essa, la Chiesa, realtà nello stesso tempo personale e sociale, diviene concretamente un popolo di popoli, quella mirabile entità etnica sui generis di cui parlava Paolo VI [10].

Fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa “è l’intero Triduum Paschale, ma questo è come raccolto, anticipato e ‘concentrato’ per sempre nel dono eucaristico” in quanto attua “una misteriosa ‘contemporaneità’ tra quel Triduum e lo scorrere dei secoli” [11]. Per questo, da duemila anni il popolo santo di Dio, a qualunque generazione, ceto, razza o cultura appartenga, conviene ogni domenica nell’ecclesia eucaristica, confessando pubblicamente la propria fede. L’Eucaristia, infatti, in se stessa e nella sua connessione con il settenario sacramentale, svela tutta la portata del mistero della fede [12]. Ciò spiega concretamente la ragione per cui anche nei tempi e nei luoghi di maggior travaglio la Chiesa, sostenuta dallo Spirito, non è mai venuta meno. Ad impedirlo ha contribuito proprio la prassi bimillenaria [13] di porre al centro l’azione eucaristica domenicale.

Sono questi, in estrema sintesi, i motivi che possono suscitare lo stupore eucaristico in uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. La presente Relatio ante disceptationem intende illustrarli un poco. Nel quadro preparatorio tracciato dai Lineamenta prima e dall’Instrumentum laboris poi, senza pretesa di completezza, ma senza evitare i principali problemi, essa ha il solo scopo di aprire il dialogo tra i Padri Sinodali.

Per comodità ne anticipo le articolazioni. Dopo aver fatto riferimento allo stupore eucaristico, l’Introduzione (Eucaristia: la libertà di Dio viene incontro alla libertà dell’uomo) evidenzia il nesso dell’Eucaristia con l’evangelizzazione e con la ratio sacramentalis propria della Rivelazione. Nel Primo Capitolo (Il novum del culto cristiano) cercherò di mettere in luce la novità del culto cristiano. Il Secondo Capitolo (L’azione eucaristica) tratterà dell’azione eucaristica nei suoi elementi distintivi e nel necessario nesso tra ars celebrandi e actuosa participatio. Un Terzo Capitolo (Dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia) vuole mostrare come l’Eucaristia possieda intrinsecamente una dimensione antropologica, una dimensione cosmologica e una dimensione sociale. La Conclusione (L’esistenza eucaristica nel travaglio contemporaneo) offrirà una ripresa sintetica della materia svolta per terminare con un breve auspicio circa i nostri lavori.

II. L’Eucaristia implica evangelizzazione

I dati raccolti dall’Instrumentum laboris preparato in vista di quest’Assemblea Sinodale mostrano che la pratica eucaristica è assai varia nelle grandi aree del globo. Questo ha certamente a che fare con le loro significative differenze culturali, che si esprimono in maniera evidente anche nella qualità della partecipazione all’Eucaristia che, a sua volta, è connessa all’autenticità dell’ars celebrandi.

Un rilievo generale, tuttavia, si impone. Lo spegnersi dello stupore eucaristico dipende, in ultima analisi, dalla finitudine e dal peccato del soggetto. Spesso però questo trova un terreno di coltura nel fatto che la comunità cristiana che celebra l’Eucaristia è distante dalla realtà. Vive astrattamente. Non parla più all’uomo concreto, ai suoi affetti, al suo lavoro, al suo riposo, alle sue esigenze di unità, di verità, di bontà, di bellezza. E così l’azione eucaristica, separata dall’esistenza quotidiana, non accompagna più il credente nel processo di maturazione del proprio io e nel suo rapporto con il cosmo e con la società.
L’Assemblea Sinodale dovrà indagare attentamente questo stato di cose e suggerire i rimedi possibili. Non potrà limitarsi a ribadire la centralità dell’Eucaristia e del dies Domini.

Oggettivamente essa è fuori discussione, ma la difficoltà sta nel come ridestare lo stupore, generato dall’Eucaristia, nei tanti battezzati non praticanti (in taluni paesi europei possono superare l’80%). “Prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia - non dobbiamo dimenticarlo -, è necessario che siano chiamati alla fede e alla conversione” [14]. Sono quindi indispensabili l’annuncio e la testimonianza personale e comunitaria di Gesù Cristo a tutti gli uomini ai fini di suscitare comunità cristiane vitali ed aperte. Inoltre la vita di tali comunità domanda una sistematica formazione al “pensiero di Cristo” (1Cor 2, 16) (catechesi - in modo del tutto particolare quella riguardante l’iniziazione cristiana dei bambini e degli adulti -, cultura). Passa attraverso l’educazione al gratuito (carità, impegno di condivisione sociale). Chiede una comunicazione universale della vita nuova in Cristo (missione). In una parola i fattori costitutivi dell’evangelizzazione e della nuova evangelizzazione sono essenziali implicazioni dell’azione eucaristica.

III. L’Eucaristia e la ratio sacramentalis della Rivelazione

Il Concilio Vaticano II, soprattutto nella Costituzione Dogmatica Dei Verbum, ha messo in evidenza il carattere di avvenimento proprio della Rivelazione. Ha così offerto una solida base dottrinale al realismo eucaristico che solo garantisce la contemporaneità tra il Triduum salvifico della Pasqua e l’uomo di ogni tempo. La Costituzione approfondisce l’insegnamento del Vaticano I in chiave cristocentrica. La Rivelazione si compie e completa nella Persona e nella storia di Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, crocifisso, morto e risorto per noi uomini e per la nostra salvezza [15]. Nella Sua opera di redenzione Egli rivela il volto misericordioso del Padre che, mediante la potenza dello Spirito del Risorto, ci rende figli nel Figlio (cfr. Ef 1, 5). “Nomen Trinitatis publicando” [16] Gesù Cristo, attraverso il dono totale della Sua vita innocente, scioglie l’enigma dell’uomo e, in tal modo, valorizza la sua libertà abilitandolo a decidere su di sé. Gesù Cristo, infatti, domanda alla libertà di ogni uomo di accogliere, mediante l’obbedienza della fede, questo Suo dono in ogni atto della propria esistenza (cfr. Ap 3, 20). Tale accoglienza implica a sua volta, da parte dell’uomo, il dono totale di sé (cfr. Mt 19, 21). Ne consegue l’esclusione di ogni concezione magica del sacramento in generale e dell’Eucaristia in particolare.

L’evento unico e irrepetibile del Triduum Paschale è stato da Cristo stesso anticipato nella Cena con i Suoi, che Egli ha fortemente voluto (cfr. Lc 22, 15). Sedendo a mensa con gli apostoli nel cenacolo, Gesù ha istituito l’Eucaristia. Attraverso il dono dello Spirito Santo che rende possibile attuare efficacemente il comando “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19; 1Cor 11, 25), Egli apre al credente di ogni tempo la possibilità di aver parte alla salvezza.

Nell’azione eucaristica, pertanto, la libertà di Dio incontra effettivamente la libertà dell’uomo. A partire da questo incontro di libertà il cristiano, segnato dal riconoscimento del dono di Dio e della comunione con Lui e con i fratelli, è sospinto a dare a tutta la sua vita una forma eucaristica [17]. E questo perché nell’Eucaristia si esprime in modo eminente quella che Fides et ratio chiama la “ratio sacramentalis della rivelazione” [18]. Essa consente al fedele di scoprire che, attraverso tutte le circostanze e tutti i rapporti di cui è obiettivamente costituita l’esistenza umana, l’evento di Gesù Cristo chiama la sua libertà ad un progressivo coinvolgimento con la vita della Trinità.

Ad accompagnarlo in questa esperienza è Gesù stesso: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Per questo Egli assicura alla comunità cristiana la Sua amorevole presenza: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Così ha vissuto dall’inizio la comunità primitiva: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42). E sulla vita di questo popolo di Dio che attraversa la storia getta una luce sfolgorante la prospettiva escatologica in cui Gesù ha collocato, fin dalla sua istituzione, l’azione eucaristica: “Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Mt 26, 29; Mc 14, 25; Lc 22, 18).

La ratio sacramentalis implicata nel mistero della incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, mostra che la vita di ogni uomo è obiettivamente vocazione. Ogni stato di vita [19] - matrimonio, sacerdozio ministeriale, verginità consacrata - riceve dal mistero eucaristico la radice ultima della propria forma. Pertanto, nella convocazione eucaristica, ogni credente trova l’origine ed il senso della propria vocazione che imprime alla sua esistenza una forma eucaristica.

CAPITOLO PRIMO
Il novum del culto cristiano


Il dato imponente della prassi bimillennaria della celebrazione eucaristica domenicale, decisivo per la genesi e la crescita delle comunità cristiane di ogni tempo e luogo, non è casuale. Questo primato dell’Eucaristia come azione si spiega esaurientemente a partire dalla ratio sacramentalis della rivelazione da cui sgorga la forma eucaristica dell’esistenza cristiana. Per questo occorre mettere con decisione al centro dei nostri lavori sull’Eucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, l’approfondimento dell’azione eucaristica stessa. Questa scelta consente di superare ogni falsa opposizione tra teologia e liturgia.

I. La “logike latreía” (Rm 12, 1)

Pur riconoscendo con gli studiosi una certa differenziata continuità antropologica con i riti propri delle svariate forme religiose, in modo particolare con i riti sacrificali dell’Antico Vicino Oriente, con le cene ellenistiche ed in specie con i pasti sacri del giudaismo di epoca ellenistica, è oggi da tutti riconosciuto che l’Eucaristia di Gesù nell’Ultima Cena ha dato vita ad un novum.
L’istituzione dell’Eucaristia si inserisce in una cena rituale, il cui contesto pasquale è ormai accertato (cfr. Mt 26, 19-20; Mc 16-18; Lc 22, 13-14; Gv 13, 1-2) [20], come quella singolare azione mediante la quale Gesù associa i Suoi alla Sua ora e missione anticipando il sacrificio della Sua Pasqua, strada definitiva per l’instaurarsi del Regno. Mangiando il Suo Corpo e bevendo il Suo Sangue, i discepoli sono incorporati a Cristo: in tal modo si attua quella comunione che costituisce la Chiesa.

Nell’Ultima Cena Gesù Cristo, “parlando ai discepoli anche con parole che contengono la somma della Legge e dei Profeti” [21], offre Se stesso come unica vittima proporzionata al Padre (cfr. Mt 26, 26-28; Mc 14, 22-24; Lc 22, 19-20; 1Cor 11, 23ss). In questo atto Egli coinvolge però anche i Suoi, non per un formale e triste ricordo della Sua persona e della Sua azione, ma per la permanente ed attiva partecipazione alla Sua offerta dei discepoli fino alla fine dei tempi: “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19).

Emerge così il vincolo indissolubile che lega l’Eucaristia alla Chiesa e la Chiesa all’Eucaristia. Non a caso ecclesia è il termine tecnico che, fin dall’inizio, indica l’azione del riunirsi eucaristico dei cristiani (cfr. 1Cor 11, 18; 14, 4-5.19.28). “La Chiesa vive dell’Eucaristia fin dalle sue origini. In essa trova la ragione della sua esistenza, la fonte inesauribile della sua santità, la forza dell’unità e il vincolo della comunione, l’impulso della sua vitalità evangelica, il principio della sua azione di evangelizzazione, la sorgente della carità e lo slancio della promozione umana, l’anticipo della sua gloria nel banchetto eterno delle Nozze dell’Agnello (cfr. Ap 19, 7-9)” [22].

Da quanto detto l’azione eucaristica emerge in tutta la sua forza di fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale del cristiano, perché esprime, nello stesso tempo, sia la genesi che il compimento del nuovo e definitivo culto, la logike latreía: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (tçn logiken latreían)” (Rm 12, 1). In questa visione paolina del nuovo culto come offerta totale della propria persona - “Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito” [23] -, è definitivamente superata ogni separazione tra sacro e profano.

Il culto cristiano non è una parentesi all’interno di un’esistenza vissuta in un orizzonte profano. Non è neppure un puro atto sacrificale e riparatorio delle offese o delle prese di distanza dallo sguardo di Dio. Il nuovo culto cristiano diventa espressione di tutta l’esistenza rinnovata: “sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1Cor 10, 31). Ogni atto di libertà del cristiano è chiamato così ad essere atto di culto. Da qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della spiritualità cristiana.

In quanto assume l’umano in tutta la sua densità storica l’Eucaristia, vertice del settenario sacramentale [24], rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell’uomo predestinato e chiamato per grazia ad essere ad immagine del Figlio stesso (cfr. Ef 1, 4-5). Si pensi alla straordinaria efficacia del Battesimo: scopriamo che i figli, incorporati a Cristo nella Chiesa, sono nostri perché sono figli del Padre nostro che è nei cieli. La Confermazione svela ai cresimandi, chiamati alla testimonianza, che gli affetti ed il lavoro ricevono la loro verità dal dono dello Spirito di Gesù Cristo morto e risorto. Attraverso il sacramento l’esperienza determinante della vita affettiva, il Matrimonio, viene affidata dalla Chiesa al Signore. Lui solo è in grado di realizzare il “per sempre” dell’amore che ogni sposa e ogni sposo, quando ama veramente, ha nel cuore. E non è forse la più umana e delicata attenzione alla libertà - spesso ferita dal peccato - quella che la Chiesa ci offre invitandoci alla riconciliazione con Dio e con i fratelli nel sacramento della Penitenza?

Quando poi l’uomo viene ferito nella propria carne dalla inevitabile prova della malattia, l’Unzione degli infermi esprime la vicinanza speciale di Gesù che tanto ha patito ed è morto e risorto per noi. Una vicinanza del tutto particolare se accompagnata dalla regolare possibilità offerta agli ammalati di ricevere la Comunione e, quando è necessario, il Santo Viatico. E questo perché noi possiamo prontamente guarire e, in ogni caso, non perdiamo la speranza di risorgere con Lui e così di reincontrarLo e di reincontrarci nel nostro vero corpo. Taluni, poi, non per i loro meriti ma per iniziativa dello Spirito di Gesù, sono presi a servizio del popolo di Dio come ministri ordinati (sacramento dell’Ordine).

In tal modo la vita liturgica delle nostre comunità non fa altro che testimoniare come nel concreto snodarsi dell’umana esistenza - nascita, rapporti, amore, dolore, morte, vita dopo la morte - Gesù si faccia presente a tutti gli uomini ogni giorno, in ogni situazione [25]. Nel quadro tracciato emerge qui nuovamente la forza della ratio sacramentalis propria del genio cattolico.

II. Il valore del rito eucaristico

In questa visione inaugurata dall’Eucaristia cristiana non solo il culto ma anche il rito viene ad assumere una fisionomia radicalmente nuova. Quella cioè dell’azione di Cristo stesso che, col dono del Suo Spirito, ammette i Suoi alla presenza del Padre per “compiere il servizio sacerdotale” [26].
Per la sua natura di sorgente della logike latreía l’azione rituale eucaristica viene ad essere oggettivamente anche la più essenziale e decisiva di tutte le azioni umane. Nel rito eucaristico infatti fa irruzione, in un preciso istante del tempo, il significato compiuto della storia, e quindi la sua verità. In questo modo il rito eucaristico opera una discontinuità nel succedersi delle vicende quotidiane dell’uomo, ma è proprio nello spazio aperto da tale discontinuità che l’uomo impara a decidersi per la verità obiettivamente a lui donata nel rito stesso. Questa scelta avviene nella fede: si può rapportarsi alla verità donata solo nell’affidamento totale di sé. Pertanto l’azione eucaristica è fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale cristiana proprio in forza della celebrazione stessa del rito che, in tutta la sua sostanziale pienezza, esprime adeguatamente la fede vissuta del popolo cristiano.
Inserita temporalmente e spazialmente nella trama dell’esistenza quotidiana, ma nello stesso tempo proveniente “dall’alto” in quanto sacramento, cioè segno e strumento efficace della grazia divina, l’azione rituale eucaristica diventa paradigma dell’intera esistenza dell’uomo [27].

Il rito eucaristico non è accidentale rispetto all’esistenza personale e sociale, né estrinseco all’inevitabile essere dell’uomo per il mondo, ma è centro della vita reale della nuova creatura (cfr. 2Cor 5, 17; Gal 6, 15). La sua esistenza è compiutamente umana perciò storica, ma nello stesso tempo, in forza della memoria eucaristica del Corpo donato e del Sangue versato del Crocifisso Risorto, essa già vive nella prospettiva eterna della risurrezione (cfr. 1Cor 15, 19-22) [28]. Nell’azione eucaristica la liturgia terrestre è intimamente unita con quella celeste [29]. Lo scambio di comunione tra i vivi e i morti di cui le Messe di suffragio per i defunti sono importante espressione, costituisce una testimonianza permanente della fede della Chiesa nel nesso inscindibile tra vita terrena e vita eterna [30].

Questa visione unitaria dell’azione eucaristica come cuore di tutta l’esistenza cristiana è sempre stata presente nella coscienza ecclesiale. Dall’immedesimazione con l’azione compiuta da Gesù così come ci è conservata dal canone biblico, alla traditio che nel suo incessante ritmo di trasmissione e di recezione la assicura lungo il tempo e lo spazio; dalle variegate forme liturgiche dei primi secoli, che ancora splendono nei riti liturgici delle antiche Chiese di Oriente, fino alla predominante fissazione del rito romano; dalle precise indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di Pio V fino alla riforma liturgica del Vaticano II: Ogni tappa della vita della Chiesa conferma che l’azione eucaristica, fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale cristiana, coincide con il rito sacramentale che genera e compie il culto nuovo e definitivo (logike latreía).

La considerazione del rito in tutta la sua pienezza consente di evitare ogni frammentazione e giustapposizione tra l’azione eucaristica e le esigenze della nuova evangelizzazione, che vanno dall’annuncio testimoniale in ogni ambiente dell’umana esistenza fino alle necessarie implicazioni antropologiche, cosmologiche e sociali che l’Eucaristia obiettivamente mette in campo. Permette inoltre alla comunità cristiana di perseguire simultaneamente un’accurata fedeltà alle rubriche liturgiche ed un’attenta duttilità alle istanze di inculturazione. III. La celebrazione eucaristica fa la Chiesa

Lo stupore eucaristico dei due discepoli di Emmaus riverbera nella meraviglia dell’azione liturgica della celebrazione eucaristica. Essa è l’atto di culto chiamato ad esprimere in modo eminente l’unico evento pasquale.

Nell’Ultima Cena Gesù manifesta chiaramente coi Suoi gesti e con le Sue parole il legame intrinseco tra l’avvento del regno del Padre e il Suo destino personale (cfr. Mt 26, 29; Mc 14, 25, Lc 22, 15-16; Gv 12, 23-24). Nell’identificazione trasformatrice del pane e del vino con il Corpo e il Sangue di Cristo (presenza reale [31]), l’Ultima Cena anticipa sacramentalmente il sacrificio della nuova pasqua come la forma mediante la quale il Padre compie, nel Figlio e con l’opera dello Spirito Santo, il Suo disegno redentivo di salvezza: “Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi"” (Lc 22, 19-20). A nessuno sfugge la difficoltà che il linguaggio sacrificale, impiegato dalla Scrittura e dalla tradizione della Chiesa [32], incontra nella cultura odierna [33]. Tuttavia, se si vuol rispettare tutta la pregnanza del dono incondizionato che Gesù Cristo fa di Se stesso, appare oggi urgente riscoprire l’Eucaristia come sacrificio. Gesù Cristo chiama i Suoi a quella forma integrale di culto (logike latreía) che è l’offerta di tutta la propria vita, in cui il cristiano viene plasmato progressivamente proprio mediante la piena, consapevole ed attiva partecipazione alla celebrazione eucaristica [34].

L’invito a mangiare il Suo Corpo e a bere il Suo Sangue (comunione) costituisce la via sicura alla salvezza (cfr. Gv 6, 47-58) [35]. Il memoriale pertanto, in continuità con la pasqua ebraica (cfr. Dt 16, 1ss), possiede la fisica concretezza dell’assunzione delle specie eucaristiche, al riparo da ogni riduzione intellettualistica della fede. Il frutto di quest’azione è la comunione sacramentale con Cristo (cfr. 1Cor 10, 16), resa possibile dall’amore con cui lo Spirito glorifica la carne del Risorto. Lo stesso Spirito che mosse Cristo al dono totale di Sé muove i Suoi ad accoglierLo nell’obbedienza della fede, li muove a permanere in Lui ed a ricevere così la vita come Egli la riceve dal Padre (cfr. Gv 14, 26; 16, 13).

Questo sacramento è dato per la comunione degli uomini in Cristo. Per Paolo la koinonia è il frutto dell’Eucaristia mediante la quale i cristiani, incorporati a Cristo, diventano un solo corpo e partecipano di un solo Spirito (cfr. 1Cor 10, 16-17) [36]. Essi costituiscono il nuovo popolo di Dio che, guidato dai successori degli apostoli cum et sub il successore di Pietro, attraversa la storia con la speranza certa che Gesù Risorto costituisce la caparra della loro personale risurrezione (cfr. 1Cor 15, 17-20).

Al di fuori di questa comunione eucaristica e sacramentale la Chiesa non è pienamente costituita [37]: l’Eucaristia fa la Chiesa. Il nuovo popolo di Dio (corpo ecclesiale) si configura a partire dal Corpo eucaristico di Cristo che rende sacramentalmente presente il Corpo di Gesù nato dalla Santissima Vergine Maria [38]. Il corpo ecclesiale viene così ad essere realmente plasmato come corpo di Cristo presente nel tempo e nella storia, in forza del vincolo che lo lega inscindibilmente con il Corpo eucaristico di Cristo [39]. Proprio nella celebrazione rituale dell’eucaristia la Chiesa realizza la forma stessa della sua identità di popolo radunato dall’amore di Dio.

1. Una prima conferma: il Vescovo, liturgo per eccellenza

Ciò diventa ancora più chiaro se si guarda alla venerabile tradizione che ha sempre riconosciuto nel Vescovo il liturgo per eccellenza e l’amministratore dei sacramenti [40]. Il Vescovo non presiede l'eucaristia, in forza di una ragione meramente giuridica, perché è il “capo” della chiesa locale, ma per fedeltà al comando stesso del Signore che ha affidato il memoriale della sua Pasqua a Pietro e agli apostoli. Li ha costituiti fedeli dispensatori dei Suoi misteri e, in forza di questo, primi responsabili dell’annuncio evangelico nel mondo intero. Per questa ragione “il Vescovo diocesano è la guida, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica. Nelle celebrazioni che si compiono sotto la sua presidenza, soprattutto in quella eucaristica, celebrata con la partecipazione del presbiterio, dei diaconi e del popolo, si manifesta il mistero della Chiesa” [41]. Questo è particolarmente evidente nell’ordinata concelebrazione eucaristica “che manifesta in modo appropriato l'unità del sacerdozio” [42]. La comunione con il Vescovo è la condizione perché sia legittima la celebrazione eucaristica in favore del popolo di Dio.

Viene ancora una volta alla luce la fecondità della ratio sacramentalis della rivelazione: il soggetto ecclesiale (personale e comunitario) non partecipa compiutamente alla redenzione se non accoglie la modalità sacramentale che costituisce la forma che Gesù ha scelto per permanere all’interno delle vicende umane.

2. Una seconda conferma: la natura del tempio cristiano

Una seconda conferma di come in concreto la celebrazione eucaristica fa la Chiesa è la radicale diversità tra il tempio cristiano e quello pagano o lo stesso tempio giudaico. Mentre il tempio pagano e quello giudaico erano caratterizzati dalla presenza della divinità e per tale presenza erano considerati sacri e sacralizzanti, il “luogo” di culto cristiano consiste in un certo senso nella stessa azione della celebrazione del mistero. Il vocabolo ecclesia indica l’azione del riunirsi dei cristiani. Solo come conseguenza è passato ad indicare il luogo stesso in cui, in tale riunione, si realizza la presenza divina.

Inoltre mentre nel tempio pagano e, in un certo senso, anche in quello giudaico, l’incontro dei fedeli è in qualche modo casuale, nel luogo di culto cristiano esso è costitutivo del tempio stesso. I singoli fedeli sono le pietre vive del tempio (cfr. 1Pt 2, 5). Lo Spirito è il cemento che li unifica (cfr. Ef 2, 22).

Questo spiega la cura con cui la Chiesa non cessa di offrire indicazioni in merito all’architettura e all’arte sacra [43]. I templi, infatti, vanno modellati sull’assemblea liturgica in actu celebrationis, come “epifania” della communio hierarchica che è la Chiesa.



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00martedì 4 ottobre 2005 02:07
(continua)
3. Una terza conferma: “Intercomunione?”

Un problema pastorale assai delicato, legato all’ambito ecumenico, consente un’ulteriore verifica del fatto che, all’interno dell’inscindibile nesso tra Eucaristia e Chiesa, la causalità dell’Eucaristia sulla Chiesa (l’Eucaristia fa la Chiesa) è essenziale e prioritaria rispetto a quella della Chiesa sull’Eucaristia (la Chiesa fa l’Eucaristia) [44]. Questo dato conduce a sottolineare il peso decisivo dell’Eucaristia nella prassi ecumenica.

Sono noti gli ormai numerosi sviluppi in materia [45]. Essi sono, ad un tempo, conseguenza e causa dell’intenso lavoro ecumenico del XX secolo. Anzitutto va rilevata la sostanziale comunione di fede tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse in tema di Eucaristia e sacerdozio [46], comunione che, attraverso un maggiore reciproco approfondimento della Celebrazione Eucaristica e della Divina Liturgia, è destinata a crescere [47]. Si deve inoltre salutare positivamente il nuovo clima a proposito dell’Eucaristia nelle comunità ecclesiali nate a partire dalla Riforma. Secondo gradi diversi e con qualche eccezione anche tali comunità sottolineano sempre di più la decisività dell’Eucaristia come elemento chiave nel dialogo e nella prassi ecumenica.

Sulla base di questi ed altri dati si può capire che, anche dopo i pronunciamenti del Magistero in proposito [48], non cessi di porsi la seguente questione: l’”intercomunione” di fedeli appartenenti a diverse Chiese e comunità ecclesiali può costituire uno strumento adeguato per favorire il cammino verso l’unità dei cristiani?

La risposta dipende da una attenta considerazione della natura dell’azione eucaristica in tutta la sua pienezza di mysterium fidei [49]. La celebrazione eucaristica, infatti, è per sua natura professione di fede integrale della Chiesa. Incastonando il sacrificio del Golgota nell’Ultima Cena il Signore realizza la comunione della Sua Persona con i Suoi discepoli e la rende possibile a tutti i fedeli di tutti i tempi e luoghi. La partecipazione a tale comunione supera la capacità dell’amore umano e delle sue pur nobili intenzioni. Mediante l’ascolto della Parola che si realizza pienamente nell’accogliere l’offerta del Corpo e del Sangue di Cristo, l’azione eucaristica esprime la pienezza della fede e l’unità visibile dei fedeli al cui servizio Gesù invia gli apostoli come sacerdoti e pastori.

Solo in quanto attua la piena professione di fede apostolica in questo mistero l’Eucaristia fa la Chiesa. Se è l’Eucaristia ad assicurare la vera unità della Chiesa, una celebrazione o una partecipazione all’Eucaristia che non implichi il rispetto di tutti i fattori che concorrono alla sua pienezza finirebbe, al di là di ogni buona intenzione, per dividere ulteriormente e all’origine la comunione ecclesiale. L’intercomunione, pertanto, non appare come un mezzo adeguato per raggiungere l’unità dei cristiani [50].

Questa affermazione circa l’intercomunione non esclude che, in circostanze del tutto speciali e nel rispetto di condizioni oggettive [51], si possano ammettere alla comunione eucaristica, in quanto panis viatorum, singole persone appartenenti a Chiese o comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso il necessario rigore esige che si parli di ospitalità eucaristica. Siamo in presenza della sollecitudine pastorale (storico-salvifica) della Chiesa che viene incontro ad una particolare circostanza di bisogno di un fedele battezzato [52]. In questi casi la Chiesa cattolica ammette alla comunione eucaristica un fedele non cattolico se egli lo richiede spontaneamente, manifesta adesione alla fede cattolica circa il sacramento eucaristico ed è spiritualmente ben disposto.

Le problematiche sottostanti alla inadeguata categoria di “intercomunione” e la prassi dell’ospitalità eucaristica urgono un’ulteriore riflessione, a partire dall’intrinseco nesso tra Eucaristia e Chiesa, sul rapporto tra comunione eucaristica e comunione ecclesiale. In questo senso potrà essere utile che l’Assemblea Sinodale ritorni su questo argomento.

Nel rispondere all’improcrastinabile urgenza del cammino ecumenico non si deve tuttavia trascurare la via maestra. Il non poter accedere alla concelebrazione eucaristica e alla comunione eucaristica da parte di cristiani di diverse Chiese e comunità ecclesiali e l’eccezionalità dell’ospitalità eucaristica, non possono essere solo causa di dolore; piuttosto debbono rappresentare un pungolo permanente per il continuo e comune approfondimento del mysterium fidei che esige da tutti i cristiani l’unità nell’integrale professione di fede.

CAPITOLO SECONDO
L’azione eucaristica


Dopo aver suggerito taluni elementi di carattere metodologico per spiegare il novum del culto e del rito cristiano, è ora opportuno considerare da vicino l’azione eucaristica in se stessa. Anzitutto verranno presi in esame i principali elementi distintivi della celebrazione eucaristica. In una seconda parte saranno proposte talune riflessioni sull’ars celebrandi e l’actuosa participatio.

I. Elementi distintivi della celebrazione eucaristica

Uno sguardo sintetico agli elementi distintivi della celebrazione dell’Eucaristia rivela la forza dell’armoniosa ed articolata unità del rito eucaristico. In questa sede non si intende ripercorrere in modo completo la scansione dei diversi momenti della celebrazione eucaristica, ma limitarsi ad identificarne il nucleo essenziale: l’indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica. A partire da quanto esposto fino ad ora la considereremo nella sua natura essenziale di dono. Di conseguenza però si dovrà porre in rilievo come, di fronte alla presenza eucaristicamente elargita di Gesù, i fedeli siano chiamati all’adorazione, e come, davanti a un così grande mistero, debbano confessare i propri peccati invocando il perdono. Né si mancherà di far cenno al compito (ite missa est) che per sua natura un simile dono genera.

1. Indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica

Nell’evoluzione storica che va dall’Ultima Cena di Gesù Cristo all’Eucaristia di cui ancora oggi la Chiesa vive, il nucleo costitutivo e permanente dell’azione rituale è dato dalla stretta unità tra liturgia della parola e liturgia eucaristica [53].
In quest’unità “eulogia” ed “eucaristia” propongono alla fede dei seguaci di Cristo il mistero pasquale attraverso l’ascolto e la spiegazione delle Scritture (omelia [54]), indisgiungibile dalla ripresentazione del sacrificio (preghiera eucaristica) che culmina nella comunione con il pane ed il vino trasformati nel Corpo e nel Sangue di Cristo [55]. Lo si vede nella struttura comparata dei racconti di istituzione, lo si può cogliere nell’azione di Emmaus, se ne riceve conferma nella descrizione della vita comune dei primi cristiani che Atti 2, 42 ci offre. Così come, senza soluzione di continuità, ne dà testimonianza tutta la storia della celebrazione eucaristica fino a quella delineata nell’attuale Messale.

Da questa indisgiungibile unità emergono alcuni elementi costitutivi dell’unica Eucaristia di Gesù Cristo che attua la fede dei cristiani. Innanzitutto il dato che il protagonista dell’azione liturgica è Gesù Cristo. Egli, concentrando la Sua Persona e la Sua storia nell’evento della Pasqua, si rivela nello stesso tempo come sacerdote, vittima ed altare.

In quanto sacerdote Gesù Cristo, per la potenza dello Spirito, diviene il pontefice tra Dio Padre ed il popolo (cfr. Eb 5, 5-10) [56]. Come testimoniano i racconti della Cena, Egli stesso interpreta la Sua missione sacerdotale oggettivamente nell’eulogia scritturistica e nell’offerta sacrificale. Ma Gesù è, nello stesso tempo, vittima di propiziazione (cfr. 1Gv 2, 2; 4, 10) e in tal modo il Suo sacerdozio implica il dono totale di Sé che si manifesta nell’offerta del pane e del vino trasformati nel Suo Corpo donato e nel Suo Sangue versato (sacrificio [57]), cui il popolo fisicamente prende parte (comunione [58]). Questo sacerdote, che è anche vittima, offre il Suo sacrificio sulla croce [59]. Inchiodato sulla croce abbassa il cielo sulla terra, riconciliando (redenzione) l’uomo con Dio (cfr. Ef 2, 14-16; Col 1, 19-20). La croce conficcata nel Golgota finisce per esprimere l’intero cosmo e Cristo, sacerdote e vittima, diventa una sola cosa con la croce cui è inchiodato. Si fa così anche altare cosmico.

La consapevolezza di questo dovrebbe impedire il progressivo affievolirsi del senso del mistero cui oggi sono esposte non poche comunità cristiane soprattutto nella celebrazione eucaristica. Per non cadere in una visione ‘sacrale’ certamente non cristiana, si rischia, per così dire, di fare della liturgia una mera espressione della dimensione “orizzontale” della comunità, dimenticando quella “verticale”.

Gesù Cristo, unico ed irripetibile protagonista del rito eucaristico, convoca nello Spirito l’assemblea dei cristiani, chiamata a prendere parte nella fede (Credo), in modo articolato ed ordinato, ai santi misteri celebrati in suo favore (Messe pro populo). Nel silenzio, nel dialogo, nel canto, nei gesti corporei si snoda l’azione eucaristica attraverso la quale all’assemblea dei fedeli è comunicata la salvezza [60]. A proposito di quanto detto si avverte l’esigenza di un approfondimento della formazione liturgica indirizzata a tutto il popolo di Dio - la nostra catechesi dovrebbe ricuperare la fondamentale dimensione mistagogica dei primi secoli - e, in particolare, a tutti coloro che sono chiamati a svolgere ministeri o uffici durante la celebrazione (presbiteri, diaconi, lettori, accoliti, ministranti, schola cantorum).

Nell’articolarsi degli uffici della celebrazione, che si svolge all’interno del tempio cristiano orientato all’altare, cui sono coordinati l’ambone e la sede, il sacerdote compie il suo singolare ministero con la particolare assistenza del diacono. Nel momento decisivo della celebrazione egli agisce in persona Christi capitis [61] assicurando, in forza del sacramento dell’ordine, non a caso incastonato da Cristo stesso all’interno dell’istituzione eucaristica dell’Ultima Cena, ciò che la comune Tradizione dell’oriente e dell’occidente chiama l’economia sacramentale [62]. Essa è opera dello Spirito Santo invocato durante l’Eucaristia attraverso l’epiclesi perché attui la conversione sostanziale del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo [63] e perché generi la res eucaristica che è l’unità della Chiesa [64].
Si capisce allora come l’indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica sfoci nella comunione sacramentale [65], alla quale i fedeli sono ammessi, con significativo realismo, attraverso l’atto fisico della processione. Mediante l’assimilazione delle sacre specie, in realtà, come ha sempre professato la Chiesa, i fedeli sono assimilati a Cristo, a Lui incorporati, per la loro salvezza [66] e per la salvezza del mondo [67]. Tempo e spazio, insopprimibili coordinate della vita dell’uomo, sono assunti e trasformati dall’azione eucaristica in vista di questa salvezza. Se la configurazione del tempio manifesta questa trasformazione dello spazio, la bellezza e l’articolazione dell’Anno Liturgico a partire dal Triduo pasquale passando per il dies Domini e i tempi liturgici, esprimono eucaristicamente la redenzione del tempo: esso non è più una successione di istanti destinati a svanire, ma diventa sacramento dell’eterno.

a. Il dono eucaristico: né diritto né possesso

Il carattere di dono proprio dell’azione eucaristica, che implica il comunicarsi della libertà del Deus Trinitas, in Gesù Cristo, alla libertà degli uomini domanda che la sua gratuità non sia mai misconosciuta. Anche se provoca grande sofferenza, la sua mancanza non conferisce al fedele e al popolo di Dio alcun diritto all’Eucaristia.

Per la stessa ragione il dono dell’Eucaristia non può mai essere idolatricamente “posseduto” da parte dell’uomo, non sopporta un’attitudine quasi gnostica di preteso dominio. Né l’adorazione eucaristica può risolversi in uno sguardo che pretenda di “comprendere” la latens deitas, anche se Gesù Cristo, in atto di estremo abbassamento, si lega alla permanenza delle specie.

a1. Assemblee domenicali in attesa di sacerdote

Il problema della scarsità di presbiteri va affrontato con coraggio nell’orizzonte dell’Eucaristia come dono. Questo stato di cose ha dato luogo ad un incremento considerevole delle Assemblee domenicali in attesa di sacerdote” (liturgie della Parola con o senza distribuzione della Comunione, celebrazioni della Liturgia delle Ore o di devozioni popolari) [68].

In proposito è importante innanzitutto ribadire l’appartenenza di ogni comunità, soprattutto parrocchiale, ad una diocesi [69]. L’Eucaristia non è mai fatta mancare alla Chiesa particolare. Per questa ragione è buona prassi pastorale incoraggiare al massimo la partecipazione all’Eucaristia in una delle comunità della diocesi, anche quando ciò richieda un certo sacrificio. In secondo luogo è utile sottolineare chiaramente per i fedeli il carattere propedeutico all’Eucaristia di ogni celebrazione domenicale in attesa di sacerdote. Là dove una certa mobilità non fosse agevole, la convenienza di queste assemblee si vedrà proprio dalla loro capacità di accentuare nel popolo l’ardente desiderio dell’Eucaristia.

I sacrifici e fino all’eroismo compiuti da non pochi cristiani perseguitati per vivere l’Eucaristia mostrano come la sua assenza non possa mai essere colmata da altre pur significative forme di culto. Vogliamo in proposito rendere omaggio alla straordinaria esperienza eucaristica del compianto Cardinale Van Thuan durante la sua prigionia.

a2. Viri probati?

Per sopperire alla scarsità di sacerdoti, taluni, guidati dal principio salus animarum suprema lex, avanzano la richiesta di ordinare fedeli sposati, di provata fede e virtù, i cosiddetti viri probati. La richiesta è spesso accompagnata dal positivo riconoscimento della bontà della secolare disciplina del celibato sacerdotale. Essi però affermano che questa legge non dovrebbe impedire di dotare la Chiesa di un numero adeguato di ministri ordinati, quando la penuria di candidati al sacerdozio celibatario assumesse proporzioni estremamente gravi.

È superfluo ribadire, in questa sede, i profondi motivi teologici che hanno condotto la Chiesa latina ad unire il conferimento del sacerdozio ministeriale al carisma del celibato. Si impone piuttosto la domanda: questa scelta e questa prassi sono pastoralmente valide anche in casi estremi come quelli cui si è fatto cenno?

Sembra ragionevole rispondere in senso positivo. Essendo intimamente correlato all’Eucaristia, il sacerdozio ordinato partecipa della sua natura di dono e non può essere oggetto di un diritto. Se è un dono il sacerdozio ordinato chiede di essere incessantemente domandato (cfr. Mt 9, 37-38). E diventa assai difficile stabilire il numero ideale di sacerdoti nella Chiesa, dal momento che essa non è una “azienda” che si debba dotare di una determinata quota di “quadri dirigenti”!

Sul piano pratico l’improcrastinabile urgenza della salus animarum spinge a ribadire con forza, soprattutto in questa sede, la responsabilità che ogni Chiesa particolare ha nei confronti della Chiesa universale e pertanto di tutte le altre Chiese particolari. Saranno, perciò, di grande utilità le proposte che in questa Assemblea Sinodale verranno fatte per individuare i criteri di una più adeguata distribuzione del clero nel mondo. In proposito la strada da percorrere appare ancora lunga.

Conviene forse anche ricordare che, lungo la storia, la Provvidenza ha sostenuto il valore profetico ed educativo del celibato anche domandando una speciale disponibilità per il ministero sacerdotale a realtà di vita consacrata, nel rispetto del loro carisma e della loro storia. Si può qui citare la prassi dell’ordinazione dei monaci nelle Chiese orientali o all’interno della tradizione benedettina [70].

2. Adorazione
Il carattere di dono proprio dell’Eucaristia permette di superare, proprio a partire da una attenta considerazione del rito della Messa nella sua natura di azione liturgica, una impropria contrapposizione, creatasi a volte a partire dall’epoca moderna, tra l’Eucaristia come cibo che deve essere mangiato (convito) e come presenza divina da adorare.

Se è vero che nel primo millennio l’adorazione eucaristica non si esprimeva nelle forme da noi oggi conosciute, tuttavia si deve affermare che, fin dall’origine, essa è stata ben presente alla coscienza del popolo di Dio. Il secondo millennio ne ha ulteriormente esplicitato il valore, non senza trarre beneficio dalla controversia sulla presenza reale nel medioevo e da quelle sulla permanenza di Cristo nelle specie eucaristiche con la Riforma.

Durante l’Ultima Cena, nei commensali la coscienza della concreta presenza di Cristo, che si identifica con il pane ed il vino consacrati (cfr. Mc 14, 22-24; Mt 26, 26-28; 1Cor 11, 24-25; Lc 22, 19-20) domandando adorazione, è imponente. È innegabile quindi che la pratica dell’adorazione eucaristica, così come si attua oggi nella Chiesa latina, ha reso più evidente un dato che appartiene all’essenza della fede nel mistero eucaristico [71].

Porre in alternativa il mangiare e l’adorare significa non tener conto dell’integralità e dell’articolata unità del mistero eucaristico [72]. La Cena eucaristica non è unicamente un pasto in comune, ma è il dono che Cristo fa di Sé. Partecipare a questo dono mangiando il Suo Corpo implica già un essersi prostrato con fede in adorazione [73]. Pertanto l’adorazione del Santissimo Sacramento è tutt’uno con la celebrazione da cui proviene e a cui rinvia [74]: “Nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione” [75]. Questa piena coscienza del valore dell’adorazione deve esprimersi fin nella rilevanza artistico-architettonica che è dovuto alla custodia della Santissima Eucaristia nelle nostre chiese [76].

Ovviamente però occorre ribadire con decisione che, come la manducazione, così anche l’adorazione eucaristica è sempre un’azione ecclesiale [77]. Non può essere concepita come una pratica di pietà individualistica. Adorare Cristo durante la consacrazione e la comunione ed adorarLo presente nel tabernacolo, significa riconoscersi e comportarsi come membro del Suo Corpo ecclesiale. Così quello eucaristico non è un incontro che si esaurisce nell’atto della manducazione, ma è un incontro permanente, come è permanente, in forza della presenza eucaristica, la continua venuta del Signore nella Sua Chiesa [78].

Alla luce della natura ecclesiale dell’adorazione si comprende meglio perché la pietà cristiana abbia unito all’adorazione eucaristica anche la ‘riparazione’ per i peccati del mondo: dinanzi al Signore noi tutti membra del Suo Corpo siamo responsabili gli uni degli altri [79].

3. Atteggiamento di confessione e penitenza

Ricevere, nella celebrazione eucaristica, il dono del Corpo e del Sangue del Signore Gesù è l’espressione culminante della sequela di chi si riconosce discepolo e si lascia introdurre alla comunione con Lui.

La differenza radicale tra Colui che si dona e colui che riceve il dono, ben documentata dalla sproporzione tra l’incommensurabile ricchezza dell’evento pasquale e l’estrema povertà delle specie del pane e del vino, apre il fedele alla coscienza del mysterium tremendum dell’Eucaristia. Non ci si può accostare ad Essa senza percepire tutta la propria indegnità e senza prepararvisi invocando il perdono dei peccati [80].

Emerge così non solo il significato dell’atto penitenziale dei riti di introduzione, reso solenne in casi particolari dall’aspersione con l’acqua benedetta che richiama il battesimo, ma soprattutto l’intrinseco rapporto tra l’Eucaristia e il sacramento della riconciliazione [81].

Quando i fedeli, incorporati a Cristo per il battesimo, commettono un peccato mortale si separano dalla comunione con Lui e con la Sua Chiesa, la cui espressione piena è la comunione sacramentale [82]. Tuttavia il Padre misericordioso non li abbandona, ma attraverso la medicina voluta da Gesù stesso [83], li invita alla libera, personale, umile confessione delle colpe per riaccoglierli con un più intenso abbraccio - attraverso la contrizione, la confessione dei peccati, l’assoluzione da parte del ministro, che anche qui agisce in persona Christi capitis, e la penitenza [84] - nella comunione con Lui che si dilata a tutti i fratelli. Per questa ragione un’adeguata catechesi eucaristica non può mai essere disgiunta dalla proposta di un cammino penitenziale (cfr. 1Cor 11, 27-29) [85].

Nell’atteggiamento di confessione affonda le proprie radici anche la venerabile pratica del digiuno eucaristico, alla quale, in quest’Assemblea, sarà utile dedicare qualche riflessione.

a. I divorziati risposati e la comunione eucaristica

In quest’ottica merita particolare attenzione la singolare modalità con cui i divorziati risposati sono chiamati a vivere la comunione ecclesiale. A nessuno sfugge la diffusa tendenza alla comunione eucaristica dei divorziati risposati, al di là di quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa.
Bisogna constatare che alla base di questa tendenza non vi è solo superficialità. Al di là delle considerevoli diversità di situazioni nei vari continenti, si deve riconoscere che - soprattutto in paesi di lunga tradizione cristiana - non pochi battezzati si sono uniti in matrimonio sacramentale per meccanica adesione alla tradizione. Parecchi di questi divorziano e si risposano. Praticando la vita cristiana taluni manifestano grave disagio e talora notevole dolore di fronte al fatto che l’unione seguita al matrimonio impedisce loro la piena partecipazione alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica. Preziose indicazioni dottrinali e pastorali sono state offerte da Familiaris consortio e da altri documenti [86]. Occorre che tutta la comunità cristiana sostenga i divorziati risposati nella consapevolezza di non essere esclusi dalla comunione ecclesiale. La loro partecipazione alla celebrazione eucaristica consente, in ogni caso, quella comunione spirituale che, se ben vissuta, fa eco al sacrificio stesso di Gesù Cristo.

D’altra parte l’insegnamento del Magistero in proposito non è solo teso ad evitare il dilagare di una mentalità contraria all’indissolubilità del matrimonio e lo scandalo del popolo di Dio. Ci pone, invece, di fronte al riconoscimento del nesso oggettivo che unisce il sacramento dell’Eucaristia a tutta la vita del cristiano e, in particolare, al sacramento del matrimonio [87].

Infatti l’unità della Chiesa, che è sempre dono del Suo Sposo, scaturisce permanentemente dall’Eucaristia (cfr. 1Cor 10, 17). Perciò nel matrimonio cristiano, in forza del dono sacramentale dello Spirito, il vincolo coniugale, nella sua natura pubblica, fedele, indissolubile e feconda, è intrinsecamente connesso all’unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa (cfr. Ef 5, 31-32) [88]. In tal modo il reciproco consenso che marito e moglie si scambiano in Cristo e che li costituisce in comunità di vita e di amore coniugale ha, per così dire, una forma eucaristica.
Nella presente Assemblea saranno tuttavia da approfondire ulteriormente e prestando grande attenzione ai complessi e assai differenziati casi, le modalità oggettive per verificare l’ipotesi di nullità del matrimonio canonico. Verifica che per rispettare la natura pubblica, ecclesiale e sociale del consenso matrimoniale non potrà non avere a sua volta un carattere pubblico, ecclesiale e sociale [89]. Quindi il riconoscimento della nullità del matrimonio deve implicare una istanza oggettiva che non può ridursi alla singola coscienza dei coniugi, neppure se sostenuta dal parere di una illuminata guida spirituale.

Proprio per questo tuttavia è indispensabile proseguire nell’opera di ripensamento della natura e dell’azione dei tribunali ecclesiastici perché siano sempre più un’espressione della normale vita pastorale della Chiesa locale [90]. Oltre alla continua vigilanza sui tempi e sui costi, si potrà pensare a figure e procedure giuridiche semplificate e più efficacemente rispondenti alla cura pastorale. Non mancano significative esperienze in proposito in varie diocesi. I Padri sinodali, in questa stessa Assemblea, avranno occasione di farne conoscere altre.

Resta in ogni caso decisiva l’azione pastorale ordinaria di preparazione remota, prossima e immediata dei fidanzati al matrimonio cristiano, nonché l’accompagnamento quotidiano alla vita delle famiglie all’interno della grande dimora ecclesiale. Infine riveste particolare importanza la cura e la valorizzazione delle molte iniziative tese ad accompagnare i divorziati risposati a vivere, nel seno della comunità cristiana, con serenità il sacrificio obiettivamente richiesto dalla loro condizione.

4. Ite missa est

L’Eucaristia è cibo viatorum per i fedeli in cammino nella storia verso la vita eterna. Si tratta di una verità che, in particolare, la tradizione liturgica delle Chiese Ortodosse non ha cessato di riproporre [91]. L’azione di lode e di grazia che si attua nella celebrazione eucaristica, memoriale sacramentale della Pasqua di Cristo, riempie il fedele di una singolare gratitudine. Essa non si manifesta solo nel “ringraziamento” devoto dopo la comunione, che la prassi ecclesiale raccomanda attraverso il silenzio e che può essere accompagnato dal canto meditativo, ma si esprime pienamente nel mandato a dilatare questa comunione a tutti i fratelli uomini. Questo esito missionario della partecipazione eucaristica non ha anzitutto il carattere di un “dovere”, ma quello della testimonianza gratuita della progressiva trasformazione di tutta la propria esistenza resa possibile dal dono sacramentale, accolto dall’umana libertà, a favore di tutti [92].

La testimonianza viene allora a coincidere con quella logike latreía mediante la quale la comunione con Cristo investe tutte le circostanze e tutti i rapporti che si instaurano negli ambiti dell’umana esistenza. Nella vita passata e presente della Chiesa, figura emblematica di una tale testimonianza è il martire. Come Cristo stesso egli, per pura grazia, fa della consegna eucaristica della propria vita un’offerta gradita al Padre.

In tal modo e con naturalezza l’Eucaristia attraversa e trasforma la storia personale, comunitaria e sociale. In questo consiste primariamente la missione evangelizzatrice della Chiesa [93].
Ratzigirl
00martedì 4 ottobre 2005 02:08
(continua -3)
II. Ars celebrandi e actuosa participatio

Da questa visione centrata sull’Eucaristia come azione ecclesiale che si esprime nell’unità del rito eucaristico - il cui cuore è la liturgia della parola intrinsecamente ordinata a quella eucaristica [94], dono accolto in spirito adorante, che domanda un atteggiamento di confessione ed urge alla missione -, emerge un dato che merita di essere rimarcato con decisione.

Affermare che l’Eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa significa anzitutto riconoscere la necessaria obbedienza della Chiesa stessa nei confronti del sacramento eucaristico. Vi si esprime il primato della traditio sulla receptio: nell’Ultima Cena l’iniziativa è di Gesù che si consegna ai Suoi; nel passaggio dalla Cena alla liturgia ecclesiale Paolo ci attesta che egli tramanda ciò che ha ricevuto (cfr. 1Cor 11, 23); nel differenziarsi dei riti e nel susseguirsi delle riforme liturgiche il criterio guida è sempre quello del primato della traditio [95]. Pertanto in ogni celebrazione eucaristica la comunità vive l’esperienza che fu già degli apostoli nel cenacolo: i fedeli sono chiamati a ricevere Colui che si dona.

Questo elemento costitutivo dell’azione eucaristica conduce ad una conseguenza pastorale decisiva: la necessità di superare ogni dualismo tra l’ars celebrandi e l’actuosa participatio. La partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa del popolo di Dio [96] - soprattutto in occasione del precetto domenicale - coincide infatti con l’adeguata celebrazione dei santi misteri. Ancora una volta viene in primo piano il carattere di dono proprio dell’Eucaristia. Se si cura e quando si cura oggettivamente l’arte della celebrazione la partecipazione può diventare veramente plena, conscia ed actuosa [97]. Si tratta di obbedire al rito eucaristico nella sua straordinaria completezza, riconoscendone la forza canonica e costitutiva dal momento che, non a caso, da duemila anni assicura l’esistenza della Santa Chiesa di Dio.

Questo criterio deve orientare, nel rispetto delle svariate sensibilità culturali, le modalità con cui sollecitare la partecipazione di tutti i fedeli al rito stesso. Per non ridursi a mera ripetizione di formule e di gesti, essa domanda la consapevole offerta di sé da parte di ogni fedele che attua in tal modo il sacerdozio battesimale del popolo di Dio. In questo contesto si comprende anche la preziosa utilità delle norme liturgiche che la Santa Sede, le Conferenze Episcopali e gli Ordinari mettono a disposizione delle Chiese.

Nel quadro tracciato vanno intesi e vissuti anche tutti i ministeri e gli uffici connessi al rito liturgico. La loro funzione non è quella di gratificare chi li svolge come suggerisce un’impropria idea di partecipazione attiva dei fedeli, invero assai esteriore. La loro azione essenziale ha come scopo di assicurare a tutta l’assemblea la bellezza e la dignità oggettiva della celebrazione [98].
Senza poter entrare negli importanti problemi specifici, in questa relazione sarà utile richiamare che anche l’arte posta a servizio dell’azione eucaristica - soprattutto per quanto riguarda gli arredi sacri [99] -, così come i canti e la musica, ricevono a loro volta piena luce dall’ars celebrandi. Concorrono all’actuosa participatio se rispettano questa oggettiva ars celebrandi [100].

CAPITOLO TERZO
Dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia


I. Due premesse

La considerazione del rito eucaristico come azione sacramentale che sola è in grado di rendere ragione dell’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, non sarebbe completa se non si mostrasse la sua forza di trasformazione della vita personale e comunitaria dei fedeli e, attraverso di essa, la sua fecondità nei confronti di tutta la famiglia degli uomini e dei popoli. In altre parole l’Eucaristia, conferendo all’esistenza cristiana forma eucaristica, influenza non solo le persone e le comunità ecclesiali, ma attraverso di esse anche le società, le culture, così come determina l’interazione dell’uomo con il cosmo.

1. Eucaristia ed evangelizzazione

L’unicità dell’evento pasquale, che dà origine all’intrinseca unità di Eucaristia e Chiesa documentata in quell’unitario atto di culto che è il rito eucaristico, genera anche la profonda unità tra la vita e la missione del cristiano e quella della Chiesa tutta. La testimonianza comune del gratuito e soddisfacente incontro con Cristo sfocia nell’annuncio e nell’invito a tutti i fratelli uomini, nessuno escluso, a prendere parte alla vita della comunità cristiana. Perseguendo nella comunità l’educazione alla gratuità, al pensiero di Cristo e all’universalità, i cristiani sono spinti ad impegnarsi con tutti gli uomini a livello culturale, ecologico e sociale.

Così concepita la vita quotidiana del soggetto cristiano (spiritualità eucaristica), sempre personale e comunitario, attua in concreto l’evangelizzazione e la nuova evangelizzazione in cui è sempre implicata la promozione umana. 2. Eucaristia, interculturalità e inculturazione

L’evangelizzazione, per la natura dell’uomo e in forza del dinamismo dell’Incarnazione, è sempre storicamente situata ed è chiamata ad interagire con le più diverse culture. Si capisce bene pertanto la cura che, dopo il Concilio Vaticano II, è stata posta dalle varie Chiese al processo di inculturazione dei riti liturgici. Tale urgenza è stata ribadita dal Magistero molte volte negli ultimi decenni [101]. Vale la pena ricordare che la condizione decisiva per il necessario sviluppo di questo importante processo che, per sua natura, richiede di essere sottoposto a continua verifica, è il riconoscimento previo della originaria interculturalità dell’evento celebrato.

La celebrazione eucaristica ripresenta l’evento pasquale che pone, per se stesso, le condizioni della sua comunicabilità a tutte le culture umane. Essa è resa possibile dalla universale singolarità della Persona e della storia di Gesù Cristo che proprio attraverso l’incarnazione assume l’intera condizione umana. Per esprimere la dimensione interculturale dell’Eucaristia è prezioso - soprattutto in occasione di grandi celebrazioni internazionali o nelle Chiese dove sia rilevante l’afflusso di visitatori stranieri - l’impiego della lingua latina.

Nel rispetto di questa prospettiva, l’uso delle lingue vernacole ed il ponderato ricorso a forme espressive peculiari nel rito, nei templi, negli arredi e nei canti per celebrare l’azione eucaristica, che deve rimanere in ogni caso sempre ed a qualunque latitudine l’unica Eucaristia istituita da Cristo [102], possono diventare feconda e paradigmatica espressione della necessità dell’inculturazione per l’evangelizzazione [103].


Se condizione per l’inculturazione è il riconoscimento dell’interculturalità del mistero celebrato, allora per sua natura ogni inculturazione implica una continua evangelizzazione della cultura stessa. Questa non sarà priva di un’inevitabile istanza “critica” nei confronti della cultura in cui una determinata comunità cristiana si trova a vivere e a celebrare.

Nell’equilibrato nesso tra evangelizzazione e inculturazione assicurato dalla natura interculturale dell’Eucaristia, trova spazio anche il dialogo interreligioso [104]. Si tratta di un momento intrinseco alla fede della comunità cristiana decisivo in contesto missionario e soprattutto nel popolato continente asiatico. In questo ambito conviene guardare con attenzione alle Chiese di Oriente per trarre profitto dalla loro esperienza.

II. Dimensione antropologica dell’Eucaristia

Se l’Eucaristia è il dono dell’incontro sacramentale tra l’uomo e il Dio di Gesù Cristo che rende “liberi davvero” (Gv 8, 36), allora tale evento possiede per sua natura una fondamentale dimensione antropologica.

La trasformazione dell’esistenza ad opera dell’azione eucaristica si documenta anzitutto nella tensione dei cristiani alla sequela di Cristo. Più volte san Paolo afferma che l’esistenza della nuova creatura si svolge tutta in Cristo (cfr. Rm 6, 11; Gal 2, 20) [105]. Nella comunione al Corpo e al Sangue di Cristo il Deus Trinitas viene incontro all’uomo. La Sua irruzione nel quotidiano offre all’uomo la possibilità di non farsi richiudere nella propria finitudine e nel proprio peccato.
Questo dono personale si espande con naturalezza nella comunione tra i cristiani: l’unità della Chiesa è, come abbiamo già ricordato, la res del sacramento. Come documentano le narrazioni neotestamentarie circa la comunità primitiva, la genesi sacramentale assicura l’oggettività della comunione che tende a permeare tutti gli aspetti spirituali e materiali dell’esistenza dei cristiani (cfr. At 2, 42-44; 4, 32-33)[106].

Dottrina, morale, ascesi e spiritualità non sono espressioni di una generica religiosità, ma in forza della loro radice eucaristica, diventano articolazioni unitarie del compiersi del disegno di Dio su ogni persona e su tutta la storia: “fare di Cristo il cuore del mondo” [107]. In tal modo tutta la vita è concepita come vocazione e questo consente quell’imitatio Christi testimoniata lungo i secoli dai santi nei diversi stati di vita. L’esistenza cristiana trascorre sulle orme di quella del Maestro, tesa all’eternità eppure responsabilmente e costruttivamente attenta ad ogni risvolto della storia [108].
Annuncio e testimonianza, catechesi, educazione cristiana personale e comunitaria, condivisione con l’uomo e le sue espressioni fatte di affetti, di lavoro e di riposo, fino ad affrontare delle scottanti questioni antropologiche che oggi scuotono l’humanum (amore, matrimonio, famiglia, vita, malattia e morte), sono per il cristiano aspetti obiettivamente implicati nella celebrazione eucaristica domenicale.

III. Dimensione cosmologica dell’Eucaristia

Nell’azione eucaristica, che in ultima istanza poggia sull’unità in Cristo Gesù di sacerdote, vittima ed altare, la nuova creatura è condotta a rinnovare continuamente il suo rapporto con la materia e col cosmo [109]. San Paolo mette in evidenza la relazione tra il fecondo travaglio della nuova creatura e quello della nuova creazione (cfr. Rm 8, 19-23; 2Cor 5, 17). Travaglio antropologico e travaglio cosmologico sono uniti nella sempre incombente prospettiva escatologica. È importante evidenziare la dimensione cosmologica dell’Eucaristia, come documenta fin dall’antichità l’orientamento stesso del tempio cristiano.

La forma eucaristica dell’esistenza consente di evitare alla radice, almeno in linea di principio, due gravi rischi che comprometterebbero pesantemente il rapporto uomo-cosmo. Da un lato quello di un antropocentrismo esasperato che fa dell’uomo il padrone assoluto del creato. Nella presentazione dei doni (i frutti della terra e del lavoro umano: il pane e il vino a cui si unisce l’acqua) si esprime esplicitamente che i protagonisti del rapporto uomo-creato non sono semplicemente due, la comunità degli uomini ed il cosmo, ma tre. Confermando quanto già contenuto nel secondo racconto della creazione (cfr. Gn 2, 4b-25) vi è un Terzo che mette in relazione uomo e creato: Dio che, fin dall’inizio, pose l’uomo nel “giardino” perché lo coltivasse e lo custodisse. Uomo e cosmo sono uniti nell’unica historia salutis guidata da Dio. Nella redenzione, Cristo apre la prospettiva della glorificazione finale all’uomo e al cosmo, ridimensionando definitivamente ogni pretesa antropocentristica.

Dall’altro lato l’equilibrato rapporto tra Dio, uomo e cosmo - esplicitato dall’Eucaristia - esclude ogni biocentrismo o ecocentrismo che conduca ad eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi [110].

La dimensione cosmologica dell’Eucaristia trova un emblema assai significativo nella vita di san Francesco d’Assisi. Il famoso Cantico di frate sole appare come una documentazione potente, poeticamente efficace, della posizione dell’uomo che vive una esistenza determinata eucaristicamente e che, per questo, sa riconoscere ogni creatura nel suo nesso con Dio: “Laudato sii mi’ Signore cum tucte le tue creature”. La coscienza di san Francesco esprime l’atteggiamento di gratitudine a Dio per e con tutte le cose. Gratitudine che egli impara proprio nel mistero eucaristico, di cui nel suo tempo non a caso fu mirabile cantore e difensore, in obbedienza ai decreti del Concilio Laterano IV [111].

La dimensione comunitaria dell’azione eucaristica consente inoltre ai cristiani di non dimenticare che il creato-cosmo è un bene comune ed universale e che l’impegno verso di esso si estende non solo alle esigenze del presente, ma anche a quelle del futuro. Pertanto la responsabilità verso il creato prende la fisionomia di una cura verso questa nostra dimora che in un certo senso prolunga il corpo, e deve trovare adeguate traduzioni a livello educativo, sociale e giuridico che ne rispettino il valore simultaneamente di dimora e di risorsa [112].

Anche il tempio cristiano ed in esso la cappella o l’ambito riservato alla custodia e all’adorazione con il tabernacolo, esprimendo la cura per la dimora del Corpo eucaristico ed ecclesiale di Gesù Cristo, possono diventare preziose risorse educative dell’assemblea ecclesiale ad un corretto rapporto tra l’uomo ed il creato.

IV. Dimensione sociale dell’Eucaristia

Il dono totale di Sé, assicurato eucaristicamente da Cristo all’uomo di ogni tempo, è per la salvezza di tutti. In questo senso l’Eucaristia è per il mondo. I Vangeli sinottici ricordano nella decisiva parabola del buon grano e della zizzania che l’impegno del seguace di Cristo ha come campo il mondo (cfr. Mt 13 38). Balza così agli occhi come l’Eucaristia possieda un’intrinseca dimensione sociale inseparabile da quella cosmologica ed antropologica.

La storia della Chiesa, ricca di opere di carità e fermento creativo di istituzioni di rilevanza civile e politica, lo documenta con dovizia di elementi. Né mancherà, nei lavori di questi giorni, l’occasione per averne ulteriore conferma dalle Chiese particolari qui rappresentate.

La carità è essenzialmente eucaristica [113], così come l’Eucaristia è carità [114]. L’elemosina che i fedeli compiono in occasione della celebrazione domenicale indica con chiarezza l’importanza di questo nesso. Tra le innumerevoli testimonianze di santità legate alla carità vogliamo ricordare quella della Beata Teresa di Calcutta. Il suo carisma, profondamente marcato dal rapporto con il sacramento eucaristico, seppe riconoscere l’amore di Cristo come sorgente inestinguibile di condivisione nei confronti dei moribondi più miseri ed abbandonati.

Nel frangente attuale, contrassegnato dalla violenta transizione dalla modernità ad una nuova configurazione culturale e geopolitica (post-modernità?), le urgenze sociali, cui il cristiano che vive la propria esistenza in forma eucaristica deve far fronte, appaiono particolarmente acute e differenziate. La globalizzazione, la società delle reti, i nuovi orizzonti aperti dalle bio-tecnologie e il processo di inevitabile mescolanza tra popoli e culture, purtroppo accompagnato da guerre, terrorismo e violenze disumane, rendono improrogabile l’urgenza di giustizia sociale e di pace.

La situazione di povertà e, non di rado, di endemica miseria, cui un’ampia fetta della popolazione del globo, soprattutto in Africa, è condannata, costituisce una ferita che inesorabilmente giudica l’autenticità con cui i cristiani di ogni latitudine vivono l’Eucaristia. Riunirsi ogni domenica, in qualunque luogo della terra, per aver parte allo stesso Corpo e allo stesso Sangue di Cristo, impone il dovere di una lotta tenace a tutte le forme di emarginazione e di ingiustizia economica, sociale e politica cui sono sottoposti i nostri fratelli e sorelle, soprattutto i bambini e le donne. Le forme di questa lotta esigono criteri adeguati derivanti dal proporzionato rapporto tra carità e giustizia che fin dai tempi apostolici l’Eucaristia ha reclamato come necessario per la vita associata (cfr. 1Cor 11, 17-22; Gc 2, 1-6). La comunità cristiana, cosciente della sua singolare natura, deve continuare, con appropriate analisi e operando le debite distinzioni, a cercare i mezzi adeguati per far fronte ad un male che oggi ha assunto dimensioni planetarie e più che mai grida vendetta al cospetto di Dio (cfr. Gen 4, 10).

Appare evidente che l’affronto di una questione così rilevante, come quella della giustizia sociale, non può essere disgiunto dall’instancabile dovere di perseguire la pace. Del resto il rapporto pace-Eucaristia, ben espresso nel rito latino dall’abbraccio fraterno che precede la comunione, si fonda sull’incrollabile convinzione che “Cristo stesso è la nostra pace” (Ef 2, 14). La radice eucaristica dell’azione del cristiano per la pace lo porrà al riparo da due gravi insidie in proposito. Quella del pacifismo utopico, da una parte, e quella di una sorta di Realpolitik che considera inevitabile la guerra, dall’altra. La pace invece è un compito difficile e gravoso che ci sta sempre davanti e va pazientemente perseguito ogni giorno nella propria persona e in tutti i rapporti, cominciando da quelli familiari, per passare dalle comunità intermedie, fino a giungere a quelle internazionali.

Queste decisive implicazioni sociali dell’azione eucaristica richiedono il contributo dei cristiani per l’edificazione di una società civile, nelle diverse aree culturali dell’umanità. Basandosi sui principi di solidarietà e di sussidiarietà, costitutivi dell’insegnamento sociale della Chiesa, i cristiani promuovono una società civile che poggi sulla dignità e sui diritti della persona, anzitutto sul diritto alla libertà religiosa, e su quelli di tutti i corpi intermedi, in particolare della famiglia.

Nella stessa direzione i cristiani contribuiscono, con tutti gli uomini di buona volontà e nel rispetto della natura oggi per lo più plurale delle società, alla promozione di istituzioni statali e internazionali che favoriscano un buon governo. Oltre a promuovere e regolare una vita buona a livello delle singole nazioni, queste debbono concorrere all’ormai improrogabile necessità di costruire un nuovo ordine mondiale basato su regole condivise e vincolanti che garantiscano a tutti i popoli la possibilità di uno sviluppo equilibrato ed integrale delle risorse naturali e umane.

CONCLUSIONE
L’esistenza eucaristica nel travaglio contemporaneo


I. Ripresa sintetica

Nell’incontro di libertà che l’azione liturgica propizia, da duemila anni nel rito eucaristico per l’uomo si rinnova, con particolare intensità, l’esperienza dello stupore. Proprio nell’attuarsi del rito, per l’abbassamento del Figlio morto in croce e risorto e attraverso il dono dello Spirito, il Padre si mostra, si dona e si dice all’uomo. Nell’eulogia e nell’eucaristia, nell’ascolto della parola e nella consumazione del sacrificio, il fedele adoratore del Dio vero, dopo il confiteor, è ammesso a comunicare al Corpo che redime in forza dell’irrepetibile avvenimento della Pasqua di Gesù, ed è inviato a testimoniare la redenzione al mondo intero.

L’Eucaristia diviene simultaneamente fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa nell’azione stessa in cui viene celebrata. Evento pasquale, Eucaristia e Chiesa realizzano in tal modo la forma concreta mediante la quale, lungo la storia, la Trinità viene incontro agli uomini per salvarli.

Le meraviglie della grazia divina sono racchiuse nelle sacre specie del pane e del vino convertite nel Corpo e nel Sangue di Cristo. In esse il Figlio di Dio, umanato, “passo” e risorto, resta volontariamente consegnato in attesa del libero coinvolgimento dell’uomo. La Chiesa celebra questi misteri, si alimenta a questo cibo celeste e lo adora riconoscendo in Gesù sacramentato la Via alla Verità e alla Vita.

L’uomo che per grazia accoglie questo dono fa ogni volta una singolare esperienza. La misericordia amorevole della Trinità irrompe nel susseguirsi meccanico degli instanti del suo tempo, vi opera una benefica discontinuità che lo provoca ad una decisione. Accorgendosi allora dell’abissale differenza tra l’infinita libertà di Dio che si dona eucaristicamente e la pochezza dell’umana libertà il fedele si abbandona a Cristo, trasforma la sua esistenza in offerta vivente.

Questa assume una vera e propria forma eucaristica a livello personale e a livello sociale. La fisionomia del cristiano e della comunità dei fedeli vive di questa forma eucaristica che progressivamente trasfigura i ritmi dell’esistenza personale, mentre contribuisce all’edificazione di una vita buona anche a livello sociale. Il nascere, il crescere, l’educare, l’amare, il soffrire e il morire sono segnati dalla potenza eucaristica che si articola in tutto il settenario sacramentale e, in forza dell’Eucaristia, la vita dei cristiani e delle comunità trae benefico influsso dall’accoglienza dei doni dello Spirito, dall’incremento delle virtù, dalla scoperta che i comandamenti di Dio, autenticamente obbediti, sono il compimento dell’amore. Si rinnova in profondità il rapporto dell’uomo redento con il cosmo, mentre con energia sempre risorgente i cristiani sono sospinti ad un radicale impegno per la giustizia sociale e per l’edificazione della pace.

Soprattutto in questo tempo di singolare travaglio in cui versano tutte le aree culturali del mondo, il cristiano che vive la propria esistenza comunitaria in forma eucaristica, si fa instancabile annunciatore e testimone di Gesù Cristo e del Suo Vangelo in tutti gli ambienti dell’umana esistenza: dal quartiere alla scuola, al lavoro, al mondo della cultura, dell’economia, della politica, delle comunicazioni sociali ecc.

Le comunità cristiane, fondate eucaristicamente, diventano luoghi in cui ogni uomo può fare esperienza che la sequela di Cristo apre alla vita eterna offrendo, già dall’interno della storia, il centuplo (cfr. Mt 19, 29). Donne ed uomini di ogni ceto, etnia e cultura possono, in ogni momento della loro vita, incontrare altri uomini e donne, i cristiani, che in forza dell’esistenza eucaristica, si propongono loro come compagni discreti di un cammino di libertà.

II. Un auspicio finale

Questa forma eucaristica della personalità e della comunità cristiana non è un’utopia. Già vive pienamente in Maria, donna eucaristica. Per il suo fiat Maria è l’emblema del dono eucaristico di sé e della Chiesa immacolata. I Padri e il Magistero della Chiesa hanno sempre sottolineato l’indisgiungibile rapporto tra Maria e la Chiesa [115]. Giovanni Paolo II, definendola donna eucaristica [116], ha chiamato per nome la forma di questo rapporto. Esso fiorisce infatti sulla partecipazione del tutto singolare della Madre all’offerta compiuta di Sé fatta dal Figlio.
Chiediamo alla Vergine Immacolata e a tutti i Santi che i lavori di quest’Assemblea Sinodale possano svolgersi nell’orizzonte benefico di questa forma eucaristica.
Ratzigirl
00mercoledì 5 ottobre 2005 13:07
La Comunione in mano, tema discusso nel Sinodo
I Padri sinodali preoccupati per l’arte della celebrazione dell’Eucaristia



CITTA’ DEL VATICANO martedì, 4 ottobre 2005 (ZENIT.org).


L’“arte della celebrazione” (“ars celebrandi”) dell’Eucaristia e i suoi aspetti concreti, come quello della Comunione in mano, sono temi che stanno suscitando l’interesse dei partecipanti al Sinodo.

La questione della Comunione in mano è stata posta da un Vescovo della Lituania, che si è dichiarato contrario, chiedendo che venga sempre ricevuta in bocca.

In seguito la questione è stata affrontata dal Cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che ha spiegato le argomentazioni a favore e contro questa pratica.

Il porporato nigeriano ha menzionato le difficoltà che possono sorgere dall’amministrazione della Comunione in mano, che permette che una persona possa portare via la Comunione senza comunicarsi.

Isidro Catela, addetto stampa per la lingua spagnola del Sinodo dei Vescovi, ha spiegato ai giornalisti che c’è stato il caso di una persona che ha conservato un’ostia consacrata da Giovanni Paolo II e l’ha venduta ad una nota casa d’aste su Internet.

A volte le ostie sono state utilizzate anche per riti satanici.

Per questo motivo, il Cardinale Arinze ha chiesto ai sacerdoti che, nel dare la Comunione in mano, prestino particolare attenzione affinché chi si comunica non possa perseguire altri fini.

Il porporato ha infine spiegato che è una decisione che dipende dalle Conferenze Episcopali di ogni Paese.

Catela ha reso noto che i Padri Sinodali vogliono sottolineare la necessaria nobilitazione del rito eucaristico e alcuni hanno constatato che l’assenza di fedeli in alcune Messe domenicali è dovuta alla “negligenza nell’‘ars celebrandi’”.

Dei Padri sinodali hanno chiesto nei seminari se si sta dando un’“adeguata formazione” in oratoria, estetica e comprensione del significato del rito eucaristico.

Circa i mezzi di comunicazione e la trasmissione delle celebrazioni eucaristiche in TV, due Padri Sinodali e l’Arcivescovo John P. Foley, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, hanno osservato che è opportuno che si tratti di “trasmissioni che siano un modello e non un motivo di maggiore preoccupazione o di disorientamento per il credente”.

Ratzigirl
00mercoledì 5 ottobre 2005 23:40
Martedì mattina : sintesi degli interventi dei padri sinodali
1. Una realtà dolorosa: la secolarizzazione, una cultura che disumanizza
- Deterioramento sociale:
La secolarizzazione come processo culturale è penetrata nei nostri ambienti. Sta minando il patrimonio culturale del nostro popolo e alcuni segni sono già evidenti nella realtà che viviamo: esiste una piaga sociale che disumanizza l’ambiente e lo rende immorale a causa dell’allontanamento da Dio e del rifiuto dei principi cristiani. L’alcolismo e il divorzio si sono insinuati sottilmente nella società come qualcosa di normale e la tossicodipendenza, la pornografia, gli omicidi, la violenza, ecc. sono mali sociali che ci tormentano.
- Crisi morale:
La Chiesa è stata attaccata, non c’è rispetto per i suoi rappresentanti che vengono sottoposti costantemente a critiche pungenti e caricature sarcastiche.
Inoltre la crisi morale svilisce la dignità della persona. Siamo invasi dalla propaganda asfissiante del consumismo che contrasta con la nostra realtà offuscata e si impongono a noi l’idolatria del denaro e del piacere.
- Attacchi alla nostra cultura:
Questa ideologia distruttrice sta minando la famiglia mentre favorisce il piacere erotico, sfrenato, una cultura egoista che introduce a poco a poco costumi alieni alla nostra tradizione, come, per esempio, l’impulso dato a spettacoli che screditano la dignità della donna e spingono al consumo smisurato di alcol. Questa situazione è tanto più dolorosa per la Chiesa, in quanto queste celebrazioni, che si potrebbero chiamare carnevali, stravolgono il senso delle celebrazioni religiose strumentalizzandole ideologicamente e creando ancora più confusione e assenza di Dio.
- Impegno ecclesiale:
I danni causati dalla diffusione del secolarismo di questi ambienti, sottolineano l’urgenza di una coraggiosa evangelizzazione in tutti gli ambienti sociali, capace di trasformare e umanizzare tali strutture in modo che esse tornino alla loro vera unità in Cristo (cf. Ef. 1,10; Chiesa in America 67)
2. Un’ora provvida: la celebrazione di questo anno eucaristico
- L’ Eucaristia: alimento che dà forza per il cammino
Nell’Eucaristia, come la definisce il Concilio Vaticano II, noi cristiani incontriamo la fonte e il culmine di tutto ciò che siamo. In quest’ora provvida, il Signore ci invita a contemplare la nostra realtà e a volgere lo sguardo verso l’alto per ritrovare la speranza e il coraggio di lottare contro tutto ciò che ci allontana da Dio.
Il Signore ci esorta come il Profeta Elia: Alzati e mangia, “perché è troppo lungo per te il cammino” (1 Re 19,7). Nel sacramento dell’Eucaristia troviamo l’alimento che ci dà la forza di lottare contro il peccato e lo scoraggiamento, l’indifferenza e la mancanza di speranza.
Il cammino è ancora troppo lungo e senza questo alimento non potremmo sopportare le prove, le difficoltà e la sofferenza che ci si presentano nella vita quotidiana. - Comunione:
L’Anno dell’Eucaristia ci ha invitato costantemente a un rinnovamento dello spirito di comunione, nella riconciliazione e nell’amore fraterno, nella solidarietà e nello spirito missionario. Ciò va ben oltre un semplice evento, un incontro celebrativo. Esige un approfondimento nel più intimo della nostra vita interiore ed ecclesiale. Dunque la celebrazione di questo Anno eucaristico è per noi un forte richiamo all’unità e alla comunione di tutta la Chiesa in Nicaragua, a un ritorno alle radici della fede cristiana che ha reso feconde le nostre comunità.

- S.E.R. Mons. Paul-André DUROCHER, Vescovo di Alexandria-Cornwall (CANADA)

La croce di Cristo, formata da un tronco e da una trave, ricorda le due dimensione della morte salvifica del Cristo: verticale, la glorificazione del Padre; orizzontale, la salvezza dell’umanità.
La croce invita la comunità cristiana a unirsi al Cristo secondo queste due dimensioni - la lode al Padre e la preghiera per il mondo - trasformando allo stesso tempo l’Eucaristia in un’azione liturgica dossologica e missionaria. Nel nostro mondo contemporaneo, cerchiamo prima di tutto la realizzazione personale e le soddisfazioni immediate. In un tale contesto culturale, si rischia di ridurre l’Eucaristia alla mera dimensione dei propri bisogni e desideri. Occorre quindi sviluppare queste dimensioni dossologica e missionaria coltivando l’arte di officiare, ponendo particolare attenzione alle possibilità di lode e di apertura sul mondo già presenti nel cuore della liturgia, con la libertà di sviluppare nuove formule di preghiera, nuovi prefazi o un nuovo rito di congedo. Tutto questo con l’intento di mettere in atto nella celebrazione quello che già la croce astile simbolizza.

- S.Em.R. Card. Javier LOZANO BARRAGÁN, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (CITTÀ DEL VATICANO)

L’Eucaristia assunta come Viatico ci mette nella contemporaneità dell’avvenimento salvifico al momento della morte. Ha quindi il significato di vita, comunione ed eternità. In quanto vita, la nostra morte si unisce nel Viatico alla morte e risurrezione di Cristo. Così completiamo nel nostro corpo quello che manca alla passione di Cristo ed entriamo nella sua gloriosa risurrezione. La nostra vita diventa merito per i meriti di Cristo, grazie allo Spirito Santo che conferisce merito alla virtù e ci introduce alla gioia eterna. In quanto comunione, con il Viatico la morte cessa di essere solitudine e diventa la più grande compagnia: ci trasmette la trasparenza di noi stessi, ci unisce a Cristo centro dell’universo e con tutto l’universo ci apre alla compagnia di tutta la Chiesa attraverso la comunione dei santi, ci unisce alla Santissima Vergine Maria, a tutti i santi, a tutti i membri della Chiesa. Con il Viatico giungiamo al momento della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Vinciamo la solitudine. La solitudine della morte è inversamente proporzionale alla fede nel Viatico. In quanto eternità, con il Viatico superiamo la mobilità del desiderio nella pienezza dell’amore trinitario a cui partecipiamo avendo in Cristo la gioia perenne di giungere alla pienezza della vita divina.


- S.E.R. Mons. Geraldo LYRIO ROCHA, Arcivescovo di Vitória da Conquista (BRASILE)

Ci sono celebrazioni della Santa Messa trasmesse dalla televisione che, in alcune parti sollevano serie e gravi preoccupazioni. Sarebbe della massima convenienza che, circa queste questioni, fosse ricordato che nella liturgia celebriamo il Mistero Pasquale. Ci sia, da parte di tutti, rispetto e fedeltà a quanto stabilisce il Magistero della Chiesa circa la celebrazione della Santa Messa e il Culto Eucaristico, affinché si evitino deviazioni ed abusi, soprattutto nelle trasmissioni televisive. Quelli che assistono alla Messa in TV siano stimolati a partecipare dalla celebrazione nell’assemblea liturgica. Ogni celebrazione abbia sempre un tono orante affinché traspaia la dimensione di sacralità del mistero celebrato. Sia dato il dovuto valore ai simboli liturgici, si curi l’espressione artistica dello spazio celebrativo, degli oggetti, delle vesti liturgiche. Il canto e la musica siano in accordo con l’indole propria della celebrazione, il tempo liturgico e i momenti celebrativi.

[Testo originale: italiano]

- S.E.R. Mons. Pedro Ricardo BARRETO JIMENO, S.I., Arcivescovo di Huancayo (PERÙ)

C’è preoccupazione e scontento nel mondo odierno di fronte al fallimento delle speranze dell’uomo riguardo all’ambiente e alla povertà estrema perché “Dio è stato estromesso dalla vita pubblica”, per questo “la crisi ecologica, non costituisce solamente un problema scientifico e tecnico esso è - anche e principalmente - un problema etico e morale”. E’ opinione della Chiesa che“La tecnologia che inquina può anche decontaminare; la produzione che accumula può anche distribuire equamente, a condizione che prevalga l’etica del rispetto per la vita , per la dignità dell’uomo e i diritti delle generazioni umane, presenti e future”.
Il cambiamento climatico rappresenta una seria minaccia per la pace del mondo.E’ un autentico “segno dei tempi” che esige da noi una conversione ecologica. La Chiesa ha una grande responsabilità in questo campo spirituale. Infatti “l’Eucaristia, essendo il culmine al quale tende tutto il creato, è la risposta alla preoccupazione del mondo contemporaneo anche per l’equilibrio ecologico”.
Come “frutto della terra”, il pane e il vino rappresentano la creazione che ci è stata affidata dal Creatore. Per questo, l’Eucaristia è in relazione diretta con la vita e la speranza dell’umanità e deve essere la preoccupazione costante della Chiesa e segno di autenticità Eucaristica. “Non solo l’uomo ma anche l’intera creazione attende i nuovi cieli e la nuova terra (cf. 2 Pt 3,13) e la ricapitolazione di tutte le cose, anche quelle della terra in Cristo (cf. Ef 1,10)”.
Come frutto del lavoro dell’uomo, in molte parti del mondo, come accade nel territorio della Archidiocesi di Huancayo (Perù), l’aria, la terra e la conca del fiume Mantaro sono seriamente compromessi dall’inquinamento. L’Eucaristia ci impegna a fare sì che il pane e il vino siano frutto “della terra fertile, pura e incontaminata”. Perciò è necessario rendere sempre più visibile la “comunione” nel Collegio Episcopale, unito sotto il Vicario di Cristo e “la collegialità affettiva e effettiva, da cui deriva la preoccupazione di noi Vescovi per le altre Chiese particolari e per la Chiesa universale...” promuovendo la partecipazione dei laici.
La fede nel Cristo risorto fa sì che la Chiesa sia “un progetto di solidarietà” per condividere i beni con i più poveri e vivere nella Chiesa la spiritualità eucaristica.

[Testo originale: spagnolo]

– S.Em.R. Card. Jorge Arturo MEDINA ESTÉVEZ, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (CITTÀ DEL VATICANO)

I tre aspetti dell’Eucaristia, Sacrificio, presenza reale e Comunione sacramentale non sono realtà giustapposte, ma si articolano in modo che la realtà centrale sia quella sacrificale. La presenza reale dà la sua piena dimensione al Sacrificio eucaristico e la Santa Comunione è partecipazione al sacrificio. Nessuna di queste realtà può essere separata dalle altre due e insieme fanno sì che tutta la vita cristiana sia consacrata alla gloria di Dio.
Intimamente unita alla natura sacrificale è la dimensione propiziatoria della celebrazione eucaristica, a favore sia dei vivi sia dei morti. La liturgia esequiale guarda anzitutto al suffragio per l’anima del defunto ed è un abuso trasformare l’omelia esequiale in un elogio della persona deceduta.

[Testo originale: spagnolo]

- S.Em.R. Card. Cormac MURPHY-O'CONNOR, Arcivescovo di Westminster, Presidente della Conferenza Episcopale (GRAN BRETAGNA (INGHILTERRA E GALLES)

Nutro la sincera speranza che il nostro dibattito si concentri sulle implicazioni dell’Eucaristia per la comunità ecclesiale e per la sua missione nel mondo. La Relazione Finale del Sinodo del 1985 scelse come titolo: Ecclesia sub Verbo Dei celebrans mysteria Christi pro salute mundi. In questo titolo troviamo, legate insieme, le quattro componenti fondamentali del Concilio Vaticano II.
Nel fare riferimento al Sinodo Straordinario del 1985 indico molto esplicitamente uno dei maggiori risultati ottenuti grazie a esso, vale a dire il concentrarsi su koinonia/comunione - Ecclesiologia communionis.
Sono convinto che un recupero della teologia e dell’ecclesiologia di koinonia nei suoi vari aspetti sia davvero un frutto della presenza dello Spirito del Cristo Risorto nella sua Chiesa e che ciò costituisca un tema di immenso valore ecumenico.
È essenziale che la relazione profonda tra comunione/koinonia e l’Eucaristia diventi una caratteristica centrale delle nostre discussioni e di ogni documento che verrà fuori da questa assemblea. Non possiamo ridurre le nostre riflessioni durante questo Sinodo alla limitata discussione di norme pratiche o di indicazioni catechetiche, per quanto importanti esse siano.
Questo Sinodo sull’Eucaristia ci porta al cuore di tutto ciò che il Concilio Vaticano II ha cercato di dire sulla Chiesa, sul mondo e sul destino di tutta la storia umana nel mistero della Santissima Trinità.

[Testo originale: inglese]

- S.E.R. Mons. Gerald William WIESNER, O.M.I., Vescovo di Prince George (CANADA)

Nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte, Papa Giovanni Paolo II indica la celebrazione dell’Anno Santo del 2000 come un’opportunità, per la Chiesa, di analizzare fino a che punto si è rinnovata alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II.
Il Concilio, in modo chiaro e ripetuto, chiede la piena, consapevole e attiva partecipazione dei fedeli alla celebrazione della liturgia. Questa qualità di partecipazione è richiesta sia per la natura stessa della liturgia, sia in virtù del battesimo.
Il sacerdozio regale, conferito ai fedeli attraverso il sacramento del battesimo, esige da loro e li abilita a offrire la Vittima divina al Padre e a offrire se stessi insieme con la Vittima divina.
Come indicato nell’Instrumentum laboris, molti non hanno una corretta comprensione dell’Eucaristia e pertanto non riescono a partecipare adeguatamente. Questo breve intervento vuole essere uno sforzo per sottolineare e affrontare tale questione.

[Testo originale: inglese]

- S.Em.R. Card. Justin Francis RIGALI, Arcivescovo di Philadelphia (STATI UNITI D'AMERICA)

Parlare dell’“Eucaristia Mistero della Fede” (n. 28) significa anche parlare dell’“Eucaristia Mistero dell’Amore Trinitario”. Lo stesso vale quando si parla del Sacrificio di Gesù (n. 37).
Nel trattare il rapporto di Gesù con Suo Padre nella comunione della Santissima Trinità troviamo la spiegazione più profonda dell’Eucaristia, specialmente come sacrificio, un sacrificio rinnovato nell’Eucaristia.
L’amore di Cristo per noi e l’amore del Padre che ha mandato Suo Figlio nel mondo per salvarci spiegano in larga misura l’Eucaristia. Altri due aspetti dell’amore di Dio sono, comunque, ancora più fondamentali per una comprensione dell’Eucaristia e di tutta la sofferenza che Cristo ha sopportato per noi sul Calvario. L’Eucaristia scaturisce direttamente dall’amore del Figlio di Dio per il Padre come risposta all’eterno amore con cui Egli è amato dal Padre nello Spirito Santo.
La più grande proclamazione di Gesù è stata l’amore che il Padre nutre per Lui e l’amore che Lui nutre per il Padre. Gesù dice: “Il padre ama il Figlio” (Gv 3,35; 5,20). “Il Padre mi ama” (Gv 10,17). “Io amo il Padre” (Gv 14,31).
Il Sacrificio di Gesù è motivato dal Suo amore per il Padre e dalla Sua obbedienza al Padre. Il Calvario e l’Eucaristia, che rappresenta nuovamente e rinnova il Calvario, esprimono lo scambio d’amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. La Risurrezione è la risposta d’amore del Padre al Sacrificio di Cristo e la più grande proclamazione del suo eterno amore per Suo Figlio. Come mistero della fede l’Eucaristia è, soprattutto, il mistero dell’Amore Trinitario.

- S.E.R. Mons. Clément FECTEAU, Vescovo di Sainte-Anne-de-la-Pocatière (CANADA)

A giusto titolo il documento che è stato sottoposto allo studio di questa assemblea sinodale raccomanda di affermare con insistenza che Gesù Cristo è realmente presente nel Sacramento dell’Eucaristia.
L’Instrumentum Laboris, al numero 38, sollecita nuovamente la presente assemblea sinodale ad affermare che “la presenza permanente e sostanziale del Signore nel sacramento non è tipologica o metaforica.”.
A questo proposito è giusto che si chieda “di spiegare la teologia della consacrazione” per facilitare il dialogo ecumenico e per renderne più facile la comprensione ai cattolici stessi. Sarebbe anche opportuno chiedere a degli specialisti di sviluppare un linguaggio più consono per la catechesi di questo grande mistero.
Spesso accade che si consideri l’Eucaristia come un qualcosa di statico quando invece si tratta di una realtà dinamica. L’Eucaristia non è solo la persona di Cristo - non solamente presente - ma in azione costante e permanente di sacrifico anche se sotto forma di memoriale.
E auspicabile che degli specialisti suggeriscano un nuovo linguaggio su questo aspetto, in modo che i pastori, i catechisti e i fedeli giungano a una comprensione più profonda e più autentica della presenza del Signore nell’Eucaristia.
L’atto di adorazione, l’atteggiamento interiore di adorazione, costituisce il luogo dove culmina l’espressione della fede nella presenza del Signore nel Santissimo Sacramento. Bisognerebbe tuttavia evitare di interpretare questa affermazione, nel senso che le celebrazioni di adorazione fuori dal contesto della messa non rappresentino un’espressione della fede più grande di questa.
Ci auguriamo che questa assemblea sinodale approfondisca questa questione dell’Adorazione Eucaristica; nell’impegno per rinnovare questa pratica spiegandone il senso e fornendo testi e preghiere idonee a sostenere quella delle persone che non hanno ancora l’abitudine della preghiera spontanea.


- S.Em.R. Card. Miguel OBANDO BRAVO, S.D.B., Arcivescovo emerito di Managua (NICARAGUA)

Gesù ci insegna che la legge fondamentale della perfezione umana e, quindi, della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore.
Il comportamento della persona è pienamente umano quando nasce dall’amore ed è subordinato ad esso. Questa verità è valida anche in ambito sociale: è necessario che i cristiani siano testimoni profondamente convinti e, con la loro vita, sappiano testimoniare che l’amore è l’unica forza che può condurre alla perfezione personale e sociale e guidare la storia verso il bene.
Per plasmare una società più umana, più degna della persona, è necessario rivalutare l’amore nella vita sociale - a livello politico, economico, culturale -, rendendolo norma costante e suprema dell’azione.
Solo la carità può cambiare completamente l’uomo. Tale cambiamento non significa annullare la dimensione terrena in una spiritualità disincarnata. Chi pensa di attenersi alla virtù soprannaturale dell’amore senza tener conto del suo corrispondente fondamento naturale che comprende i doveri della giustizia, inganna sé stesso: la carità è il più importante comandamento sociale. Rispetta il prossimo e i suoi diritti.
La carità, però, non può risolversi nella dimensione terrena delle relazioni umane e sociali, perché tutta la sua efficacia deriva proprio dal suo riferimento a Dio.
Non si può parlare di Eucaristia senza fratellanza, senza almeno un atteggiamento di apertura, una volontà di unione e di mutua dedizione.
Nella celebrazione eucaristica si accumulano elementi di fratellanza (il Padre nostro, il segno della pace, la frazione del pane). Con ciò si vuole semplicemente sottolineare l’aspetto “orizzontale“ della nostra comunione.


- S.Em.R. Card. Telesphore Placidus TOPPO, Arcivescovo di Ranchi (INDIA)

La Chiesa locale del territorio tribale all’interno dell’India, che conta attualmente oltre 2 milioni di fedeli, rappresenta indubbiamente una delle storie più belle di successi della missione della Chiesa cattolica. In soli 130 anni l’Arcidiocesi di Ranchi ha dato vita a 12 diocesi, ordinando 23 vescovi, centinaia di sacerdoti e migliaia di religiosi. Attribuisco questo dinamismo e questa crescita interamente alla nostra particolare devozione all’Eucaristia. Essa forma la nostra stessa ‘identità’. Dacché le popolazioni tribali hanno accolto il Vangelo, la ‘presenza reale’ del Signore risorto nell’Eucaristia li ha resi liberi, ha offerto loro la salvezza, trasformandoli in ‘nuova creazione’ in Cristo.
Desidero quindi richiamare l’attenzione di questo Sinodo sull’“aspetto salvifico”dell’Eucaristia, e condividere con voi ciò che la fede cristiana ha fatto per noi. C’è innanzitutto la realtà dell’amore di Dio, simbolizzata - nella tradizione cattolica - dall’immagine del Sacro Cuore, che ci conduce direttamente al Mistero Pasquale e all’Eucaristia (cf Gv 19, 34).
C’è quindi la realtà dell’“anamnesi”, vale a dire che la fede della Chiesa rende il Mistero Pasquale del nostro Salvatore Gesù Cristo spiritualmente presente ai fedeli. Questo ci ha insegnato il nostro fondatore, il missionario Constant Lievens. Più recentemente, il nostro amato Papa di venerata memoria, Giovanni Paolo II, e la Beata Madre Teresa di Calcutta, hanno sottolineato questa realtà di partecipazione all’Eucaristia. I cristiani delle nostre zone tribali dell’interno hanno piena fiducia, oggi, che la morte salvifica e la risurrezione di Gesù hanno privato della loro forza i principati e le potestà dell’universo e distrutto il loro potere (cf Col 2, 14-15). In questa esperienza di fede del nostro popolo, l’Eucaristia ha operato un cambiamento esemplare allontanandolo dai sacrifici di sangue di un tempo, con cui cercava di placare i cosiddetti “spiriti maligni”, orientandolo verso la nuova ed eterna alleanza stabilita in Gesù Cristo.
C’è inoltre la realtà dell’“admirabile Commercium”, mediante il quale “partecipiamo della divinità di Cristo, che si è umiliato per condividere la nostra umanità”. Questa realtà non porta semplicemente la salvezza, ma un “meraviglioso scambio”, vale a dire una trasformazione in “eredi di Dio” e “coeredi con Gesù Cristo”. I fedeli sono veramente stati liberati da tutti i vincoli e hanno ricevuto la “libertà dei figli di Dio”.
Questo Sinodo, provvidenziale, deve portare tutti i cristiani a partecipare all’Eucaristia con una nuova intensità e profondità di fede. Che l’intercessione di Maria, “Donna dell’Eucaristia”, porti alla salvezza continua del mondo, alla vera liberazione e all’abbondanza di vita grazie a suo Figlio, Gesù Cristo, Pane di vita!

- S.Em.R. Card. James Francis STAFFORD, Penitenziere Maggiore (CITTÀ DEL VATICANO)

Le mie riflessioni hanno il loro fondamento nel mistero pasquale celebrato nell'Eucaristia. In particolare, per il mio servizio alla Chiesa come Penitenziere Maggiore e, quindi, per la mia esperienza nell'attività della Penitenzieria Apostolica, vorrei sottolineare l'importanza attuale del nesso tra Eucaristia e Penitenza.
1. Tutta la vita e la missione della Chiesa deriva la sua ragion d'essere e il suo vigore dall'Eucaristia ed è tutta orientata a rendere presente nella storia dell'umanità l'efficacia salvifica del mistero della morte e risurrezione di Cristo. Nell'adempiere il mandato di Cristo ("Fate questo in memoria di me" [Lc 22,19]), la Chiesa si riconosce come il popolo dei redenti, dei salvati, dei riconciliati con il Padre nel sangue del Figlio. Nello stesso tempo la Chiesa si riconosce come il nuovo popolo di Dio, pellegrino che sperimenta le tentazioni e le insidie del cammino, e anche le infedeltà dei suoi membri. Ne deriva una costante esigenza di conversione e un permanente bisogno di riconciliazione.
2. La vita cristiana, quindi, è autentica quando è vissuta in atteggiamento di continua conversione personale e comunitaria, che ha la sua espressione più alta nel segno della riconciliazione sacramentale. Rinnovare l'alleanza di amicizia con Dio non è solo una decisione intima del cristiano penitente, ma richiede un segno riconosciuto nella e dalla comunità ecclesiale, nella persona del ministro, perché il peccato ha spezzato il vincolo di amicizia con il Signore e con la Chiesa. La partecipazione al banchetto eucaristico con i fratelli comporta, come condizione ineludibile, un segno pubblico di riconciliazione espressi dal peccato.
3. Concludo il mio intervento con una raccomandazione: è auspicabile che in ogni diocesi ci sia la presenza del canonico penitenziere o almeno di un sacerdote che svolga il medesimo incarico, come previsto dal canone 508 del Codex Juris Canonici. Sono loro che possono aiutare i confessori nel loro delicato ministero e istruirli su eventuali ricorsi alla Penitenzieria Apostolica. E' un servizio prezioso a favore delle serenità della coscienza di molti fedeli, come testimonia il lavoro quotidiano della stessa Penitenzieria Apostolica.

- Rev. P. Mark R. FRANCIS, C.S.V., Superiore Generale dei Chierici di San Viatore

Vorrei commentare il paragrafo 8 dell’Instrumentum laboris visto che rispecchia una delle debolezze che io ravvedo nell’approccio dell’intero documento, debolezze che sono sia teologiche sia pastorali. Volendo sottolineare l’importanza dell’adorazione di Cristo nelle due specie eucaristiche, il documento sembra attribuire la stessa importanza alla celebrazione liturgica in sé e alle espressioni di pietà popolare nei confronti dell’Eucaristia. Ciò pare condurre ad alcune affermazioni riduttive. Ad esempio, nell’articolo 8 si legge che la presenza di Cristo “è l’esito fondamentale del sacramento”. È un modo incompleto e impoverito di intendere il “fine dell’Eucaristia. Si tratta qui della res sacramenti o res tantum della teologia sacramentale scolastica che il Concilio di Trento, quale fonte autorevole, ha descritto in modo molto più esaustivo come comunione del credente con Cristo e come pegno della gloria futura. Cristo è realmente e veramente presente nell’Eucaristia, non solo per essere presente ma per avere un effetto di cambiamento nel credente. Questo fatto viene sottolineato da molte preghiere che nel Messale Romano si recitano dopo la comunione. Esso costituisce anche una parte importante del riscoperto fondamento pneumatologico dell’Eucaristia nel Rito Latino espresso dall’epiclesi di comunione delle “nuove” preghiere Eucaristiche: per esempio, la Preghiera III: “Spiritu eius Sancto repléti, unum corpus et unus spiritus inveniamur in Christo”.
Ritengo che il documento debba porre maggiore enfasi sull’insegnamento Eucaristico tradizionale della Chiesa: l’adorazione del Santissimo Sacramento scaturisce dalla stessa Messa e a essa riconduce. Le parole poste in apertura dei praenotanda dei Riti della Santa Comunione e Adorazione dell’Eucaristia al di fuori della Messa (Eucharistiae Sacramentum) avrebbero potuto qui essere richiamate utilmente: “Scopo primario e originario della conservazione dell’eucaristia fuori della messa è la amministrazione del viatico; scopi secondari sono la distribuzione della comunione e l’adorazione di nostro signore Gesù Cristo, presente nel sacramento” (ES 5). Questo è anche coerente con il modo in cui il Concilio di Trento affronta l’Adorazione Eucaristica al di fuori della Messa: l’Eucaristia è stata istituita da Cristo... “ut sumatur” affinché possa essere ricevuta; in secondo luogo, che essa venga giustamente e opportunamente adorata nel sacramento custodito nel tabernacolo (Cfr. Sessio XIII, Caput V).
Ciò non vuole in nessun modo negare il valore dell’esposizione dell’Eucaristia e altre pratiche eucaristiche popolari della Chiesa Latina. Semplicemente, ritengo che ci sia bisogno di un maggiore apprezzamento dell’azione dell’Eucaristia, un’azione che è, come afferma il Sacrosanctum Concilium, “Attamen Liturgia est culmen ad quod actio Ecclesiae tendit et simul fons unde omnis eius virtus emanat” (SC 14).
Enfatizzando maggiormente il momento della celebrazione dell’Eucaristia, sia nella Liturgia della Parola che nella Liturgia Eucaristica, ritengo che potrebbe essere rafforzato un’altro punto debole del documento, vale a dire la mancanza di una reale attenzione alle modalità pratiche con cui migliorare ciò che l’IL chiama l’ars celebrandi (52). Se il Sinodo deve avere un effetto positivo sulla vita eucaristica del credente, è necessario, nell’istruzione seminariale e nei programmi di formazione permanente per sacerdoti e diaconi, dare maggiore importanza a quegli strumenti pratici che servono a preparare e ad incoraggiare i sacerdoti ad una migliore comprensione delle Sacre Scritture, a preparare omelie che proclamino veramente la Buona Novella e a coltivare uno stile efficace di celebrazione. Quanti dei nostri seminari, ad esempio, dedicano del tempo alla questione pratica della predicazione o del modo di presiedere alla liturgia? In qualità di Superiore Generale, nell’esaminare la formazione seminariale dei miei candidati al sacerdozio nei 14 paesi in cui è attiva la mia comunità, la mia impressione è che, dal punto di vista dell’aiuto pratico, venga trasmesso loro poco nell’omiletica o nel presiedere le liturgie. Senza dubbio ci sono fattori sociologici e di altro tipo che si oppongono alla partecipazione dei fedeli cristiani alla Messa. Ma piuttosto che attribuire semplicemente la colpa della bassa percentuale di chi frequenta la Messa, in molti paesi, alla mancanza di fede dei nostri cattolici e alla secolarizzazione della società, dobbiamo riconoscere con tristezza che una cattiva predicazione, associata a celebrazioni eucaristiche poco preparate e mediocremente eseguite, allontana talvolta le brave persone dalla Chiesa.

[Testo originale: inglese]

- S.E.R. Mons. Laurent MONSENGWO PASINYA, Arcivescovo di Kisangani, Presidente della Conferenza Episcopale (CONGO )

Parlo a nome della Conferenza Episcopale del Congo (CENCO).
Il mio intervento verte sugli effetti spirituali e sulle implicazioni sociali dell’Eucaristia (Instrumentum Laboris, nn. 11 e 79).
1. In un paese come il nostro, la Repubblica democratica del Congo, dove da nove anni, il popolo impoverito vive i tormenti di una guerra ingiusta e inutile, l’Eucaristia, celebrata sempre in una atmosfera di festa e di gioia ma anche con la preoccupazione dell’inculturazione, costituisce per i fedeli:
- un nucleo ardente di carità, dove si impara il valore incomparabile della vita e il prezzo inestimabile dell’amore di Colui che ama talmente la vita che opta liberamente per la morte, per dare la vita in abbondanza (cf Gv 10,10);
- un luogo in cui si edifica continuamente la Chiesa-famiglia di Dio, sacramento di unità e di fraternità, di perdono, di riconciliazione e di pace (cf SCEAM, Lettera pastorale “Le Christ est notre Paix (Eph 2,14)”, Accra, 2001);
- una sorgente inestinguibile di consolazione, di conforto e di resistenza nelle prove e sofferenze unite alla Croce e alla Risurrezione di Cristo (cf 2 Tm 2,11-12a);
- una scuola di umiltà collettiva dove, in quanto popolo, sperimentiamo il mistero pasquale della purificazione attraverso l’abbassamento e l’umiliazione: strada maestra verso la risurrezione e l’innalzamento sia spirituale sia materiale.
2. Per quanto riguarda l’Eucaristia, la teologia insegna che gli effetti spirituali dell’Eucaristia nella vita dei fedeli sono l’incorporazione a Cristo e la concorporazione fra le membra del suo corpo, detta anche koinonia: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane” (1Cor 10, 16-17; cf Ecclesia de Eucharistia, n. 22-24; Instr. Laboris n. 11). Questa è la grazia sacramentale propria dell’Eucaristia.
3. D’altronde, nella celebrazione eucaristica, diciamo: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo che ci doni il pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo”... “che ci doni questo vino, frutto della vite e del lavoro dell’uomo” (Offertorio). Cioè l’Eucaristia ricapitola la ricchezza e la povertà del mondo, povertà che sottolinea fortemente la povertà delle specie eucaristiche. L’Eucaristia “ricapitola in un solo capo, Cristo” (cf Ef 1,10), tutta l’umanità nella sua produttività e nella sua povertà, cioè il mondo dei ricchi e quello dei poveri. Così dunque, la ricapitolazione (anakephalaiôsis) dell’economia della salvezza implica quella dell’umanità-famiglia nella sua vita quotidiana e sociale. È la salvezza integrale e la vera liberazione in Cristo, centro e culmine della Storia, Alfa e Omega.
4. Ecco perché l’Eucaristia quotidiana deve diventare per i discepoli di Cristo in generale un invito pressante a costruire un mondo più fraterno e unito, più giusto e solidale. In particolare, fruendo dei benefici dell’Eucaristia quotidiana, la Chiesa deve invitare gli esperti dell’economia e delle finanze come pure i cristiani preposti a prendere decisioni geopolitiche a lavorare incessantemente per instaurare un nuovo ordine economico mondiale, nel quale la solidarietà e la condivisione devono andare oltre l’aspetto umanitario, spesso legato ad interessi politici, per diventare una dimensione intrinseca al sistema stesso. Così, la cancellazione, molto apprezzata, del debito estero dei paesi più poveri, iniziativa delle più felici, richiama, a sua volta, ad un esame più approfondito di nuovi meccanismi in grado di evitare ormai a questi stessi paesi degli indebitamenti dello stesso genere.




Ratzigirl
00venerdì 7 ottobre 2005 21:00
Si può dare la Comunione a chi nega i principi cristiani? No, risponde il Cardinale López Trujillo


CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 7 ottobre 2005


“Si può permettere l'accesso alla Comunione eucaristica a coloro che negano i principi e i valori umani e cristiani?”, ha chiesto questo venerdì il Cardinale Alfonso López Trujillo prendendo la parola davanti al Sinodo dei Vescovi.

Il Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia ha posto la questione riferendola in particolare ai politici e ai legislatori, offrendo un “no” netto come risposta.

“Non si può separare una cosiddetta opzione personale dal compito socio-politico – ha affermato il porporato colombiano –. Non è un problema ‘privato’, occorre l'accettazione del Vangelo, del Magistero e della retta ragione!”.

“Oggi i progetti di legge e le scelte fatte o da fare mettono in grave pericolo ‘la stupenda notizia’, cioè il Vangelo della famiglia e della vita, che formano un'unità inscindibile”, ha affermato.

“E' in gioco il futuro dell'uomo e della società e, per tanti aspetti, la genuina possibilità di una evangelizzazione integrale”, ha aggiunto.

“Il tessuto sociale è ferito in modo letale”, perché queste leggi, come ha spiegato, attentano contro i diritti più fondamentali, come quello alla vita, “ad iniziare dal delitto abominevole dell'aborto”.

“C'è, come spesso si sente, un'argomentazione spuria per una cosiddetta libera scelta politica, che avrebbe il primato sui principi evangelici ed anche sul riferimento ad una retta ragione”, ha denunciato il Cardinale.

In questo modo, ha proseguito, sono state introdotte legislazioni sulle coppie di fatto, “che almeno implicitamente costituirebbero un'alternativa al matrimonio, sebbene queste unioni siano semplicemente una ‘finzione giuridica’”.

Per descriverle ha utilizzato un’espressione coniata dalla Conferenza Episcopale Spagnola, “denaro falso messo in circolazione”.

“Peggio ancora”, ha aggiunto, quando si tratta di “‘coppie’ dello stesso sesso, cosa finora sconosciuta nella storia culturale dei popoli e nel diritto, anche se non presentate come ‘matrimonio’”, e si offre loro anche “l’adozione di bambini”.

“I politici e i legislatori devono sapere che, proponendo o difendendo i progetti di leggi inique, hanno una grave responsabilità e devono porre rimedio al male fatto e diffuso per poter accedere alla comunione con il Signore che è via, verità e vita”, ha concluso.

Ratzigirl
00sabato 8 ottobre 2005 00:34
Sinodo 3. Il primo applauso va a un vescovo romeno



S'è dovuto aspettare il quarto giorno del sinodo, giovedì 6 ottobre, per udire levarsi dall'aula il primo applauso.

L'applaudito è Lucian Muresan, arcivescovo di Fagaras e Alba Julia, presidente della conferenza episcopale di Romania.


E questo è l'intervento che ha scosso e commosso l'uditorio, nella sintesi diffusa dalla sala stampa vaticana:


Mi rifaccio al primo capitolo dell'Instrumentum Laboris, numero 3: fame del Pane di Dio. "Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e da la vita al mondo" (Gv. 6, 33)

Nel nostro paese, Romania, i comunisti hanno cercato di dare all'uomo soltanto il pane materiale, ed hanno voluto cacciare dalla società e dal cuore della persona umana il "pane di Dio". Adesso ci rendiamo conto che, mettendo fuori legge la nostra Chiesa greco-cattolica, avevano una grande paura del Dio presente nell'Eucaristia.

Affinché i sacerdoti non potessero più celebrare e parlare di Dio furono messi in carcere per la sola colpa di essere cattolici. La stessa sorte l'hanno avuta i laici che partecipavano alle Sante Messe celebrate clandestinamente. Nel famoso periodo della "rieducazione" e del "lavaggio del cervello" nelle carceri della Romania, per compromettere i sacerdoti, per ridicolizzare l'Eucaristia e per distruggere la dignità umana, i persecutori li hanno obbligati a celebrare con degli escrementi, ma non sono riusciti a togliere loro la fede.

Invece, quante Sante Messe celebrate clandestinamente in un cucchiaio a posto del calice e con il vino fatto di qualche chicco d'uva trovato sulla strada; quanti rosari confezionati su un filo con qualche pezzo di pane; quante umiliazioni, quando durante l'inverno a meno 30 gradi erano svestiti a pelle nuda per la perquisizione; quante giornate passate nella famosa stanza nera, come pena perché furono scoperti nella preghiera. Mai, nessuno lo saprà. Questi martiri moderni, del XX secolo hanno offerto tutta la loro sofferenza al Signore per la dignità e la libertà umana.

Viviamo oggi la libertà dei figli di Dio veramente "affamati del pane eucaristico". Confermo questa affermazione con la partecipazione alla Divina Liturgia dellÍ80 per cento dei nostri fedeli; con le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa che non mancano; con tanta gente di gran spicco intellettuale che è molto vicina alla Chiesa.

Purtroppo dopo la caduta del regime sono sorte nel nostro paese delle piaghe molto pesanti: l'aborto, l'abbandono dei bambini, la corruzione, l'immigrazione. Il comunismo ha promesso all'uomo il paradiso sulla terra, ed è riuscito a distruggere la coscienza dei nostri popoli dell'Est europeo; adesso per rifarla c'è bisogno di molto tempo. La chiesa Cattolica in Romania e minoritaria (12 per cento) ed insieme con i fratelli ortodossi cerchiamo di rimarginare queste piaghe.

Le speranze non mancano, e penso prima di tutto al profondo senso religioso del nostro popolo, alla profonda devozione con cui questo popolo si accosta alle celebrazioni liturgiche ed all'eucaristia, al sangue dei nostri martiri che pregano per noi davanti al Signore, e che per il loro sangue fanno nascere nuove generazioni di fedeli.
Ratzigirl
00lunedì 10 ottobre 2005 11:40
I sette grandi temi della prima settimana del Sinodo

Bilancio dei primi giorni di sessioni realizzato da Isidro Catela

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 9 ottobre 2005 (ZENIT.org).- Si è conclusa la prima delle tre settimane del Sinodo dei Vescovi dedicato all’Eucaristia e un primo bilancio “potrebbe riguardare sette temi”, afferma Isidro Catela, informatore in lingua spagnola durante l’assemblea.

Catela ha sottolineato che questi temi non esauriscono il Sinodo, ma sono i punti più menzionati dai Padri sinodali in questi giorni. Ci sono altre questioni, ha infatti spiegato, che non sono emerse perché si sta seguendo cronologicamente l’“Instrumentum laboris” e che verranno affrontate nei prossimi giorni.

Il tema che ha suscitato più interesse è quello della “dimensione sacrificale dell’Eucaristia”, al quale il Papa ha dedicato il suo intervento libero di giovedì.

“Sacrificio” e “banchetto” sono due parole ricorrenti nei discorsi dei Padri Sinodali. In questo contesto si inseriscono “le esperienze di martirio contemporaneo, non solo di persone conosciute, ma anche della sofferenza quotidiana di tanta gente”, ha detto Catela.

Il secondo tema è quello delle “finalità dell’Eucaristia”, della sua dimensione verticale – incontro con Dio – ed orizzontale – comunitaria – in un mondo affamato a livello materiale e spirituale.

E’ qui che si inserisce la questione dell’Eucaristia e della vita, affrontata nel numero 73 dell’“Instrumentum laboris”, in cui si fa riferimento alla coerenza di politici e legislatori credenti, così come all’impegno di ogni cristiano nella vita pubblica.

Il terzo tema si riferisce a questioni normative e di abusi, con alcuni riferimenti al Concilio Vaticano II e al Concilio di Trento per quanto riguarda la presenza reale dell’Eucaristia.

L’“ars celebrandi” o “arte della celebrazione” è il quarto tema su cui si è discusso. Si parla, ad esempio, dell’opportunità di ricevere la Comunione in mano o in bocca, del posto centrale che deve avere il tabernacolo in una chiesa o della necessità dell’adorazione e del silenzio.

Il quinto tema è quello del dialogo ecumenico e dell’intercomunione – la possibilità di amministrare la comunione sacramentale a cristiani di altre confessioni –, che secondo Catela “suscita un grande interesse, molto vario, negli interventi liberi”.

Catela ha anche indicato che si sta discutendo del contesto di secolarizzazione ed indifferenza religiosa, così come delle liturgie in attesa (e non in assenza, come hanno sottolineato molti Vescovi) di sacerdoti e del celibato nella Chiesa.

“C’è la convinzione che il celibato nella Chiesa latina debba essere promosso”, ha aggiunto.

Il sesto tema fa riferimento al rapporto tra l’Eucaristia e gli altri sacramenti, perché l’Eucaristia è “sacramento dei sacramenti”, ha proseguito Catela, spiegando che i Padri sinodali vogliono che si insista soprattutto sul rapporto “Eucaristia e Penitenza” e che si compia una “catechesi integrale”, capace di collegare fra di loro i vari sacramenti. Qualche intervento nell’Aula del Sinodo ha chiesto che venga convocato un Anno della Penitenza e, in altri casi, che sia prolungato l’Anno dell’Eucaristia collegandolo alla Famiglia.

Il settimo ed ultimo tema è quello della “riconciliazione che deve portare alla pace”. I partecipanti insistono sulla necessità che la Chiesa sia uno strumento di riconciliazione e che l’Eucaristia serva come esperienza.

Alcune testimonianze di Vescovi provenienti dai Paesi africani hanno reso noto che l’Eucaristia è l’unico momento di incontro tra etnie distinte e rivali. Vari Padri Sinodali hanno chiesto che nel messaggio finale si faccia riferimento a Gerusalemme e alla Terra Santa per il loro legame con l’Eucaristia e con il desiderio di pace.

Ratzigirl
00mercoledì 12 ottobre 2005 02:06
Sinodo: Danze e canti africani durante le Messe contro canto Gregoriano e uso del latino
Danze e canti africani durante le Messe contro canto Gregoriano e uso del latino


CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 11 ottobre 2005 .

Questo lunedì, al Sinodo dei Vescovi, è stato sottolineato il valore delle espressioni religiose delle chiese locali – come le danze e i canti africani – nel promuovere la partecipazione e la fede popolari, contro l’uso del canto Gregoriano e del latino.

Dopo una settimana di lavori sinodali incentrati per la maggior parte sugli “abusi” liturgici, il primo a sollevare questa questione è stato lunedì mattina l'Arcivescovo di Abuja in Nigeria, nonché Presidente della Conferenza Episcopale di questo Paese, monsignor John Olorunfemi Onaiyekan, in un discorso accolto con prolungati applausi da parte dei Padri sinodali.

“L'Instrumentum laboris – ha esordito l’Arcivescovo di Abuja – in molti punti esprime cautela, prudenza e talvolta manifesta ansietà riguardo a errori, esagerazioni e sperimentazioni azzardate a tale riguardo: indubbiamente è ragionevole manifestare queste riserve, esse vanno prese seriamente, ma nell'insieme, non devono causare falsi allarmismi”.

''Anzi – ha aggiunto – dobbiamo rallegrarci delle cose meravigliose che lo Spirito compie nelle nostre chiese locali: in tutta l'Africa, negli ultimi quaranta anni, sono emerse bellissime celebrazioni eucaristiche che hanno approfondito la fede della gente, migliorato la qualità della loro partecipazione, intensificato l'amore per il sacerdozio, infuso gioia e speranza in mezzo allo scoraggiamento e alla disperazione, incentivato rapporti ecumenici e in generale ha promosso l'evangelizzazione”.

Al numero 81 l’L'Instrumentum laboris segnala “che non sempre gli elementi locali, come canti, gesti, danze, abiti, vengono adeguatamente sottomessi ad una purificazione per poi incorporare alla celebrazione liturgica solo quello che conviene al culto eucaristico”.

Aggiungendo anche che “non sono mancati casi di adattamenti liturgici promossi in buona fede senza un'adeguata conoscenza della cultura locale, provocando scandalo per i fedeli”.

L'eucaristia, ha sottolineato monsignor Onaiyekan, “merita e sta ricevendo il meglio delle nostre culture: non avremo molto da offrire in termini di maestose architetture di cattedrali come quelle europee o di splendidi dipinti quali quelli di Michelangelo o di Leonardo da Vinci, ma quanto abbiamo siamo felici di donarlo: i nostri canti e le nostre poesie, il rullo dei nostri tamburi e i ritmi delle nostre danze, tutto per la gloria di Dio”.

“Concludo – ha detto – con il dolce ricordo del nostro caro papa Giovanni Paolo II, il cui amore, rispetto e ammirazione per i nostri sforzi di inculturazione dell'eucaristia si sono manifestati chiari e vividi non soltanto nelle celebrazioni delle sue molte visite in Paesi dell'Africa, ma in tante occasioni proprio qui, nella Basilica di San Pietro”.

Lo stesso giorno, nel prendere la parola il Vescovo di Chipata (Zambia), monsignor George Cosmas Zumaire Lungu, ha invece osservato che a suo avviso l’utilizzo del canto Gregoriano, dell'organo e del latino nelle liturgie degli incontri internazionali è un guardare all'indietro piuttosto che al futuro, e non permette ai laici di partecipare alle celebrazioni eucaristiche.

''Ritengo – ha detto facendo riferimento ad alcuni passaggi dell’Instrumentum laboris – questa parte del documento troppo ottimista riguardo all'organo, al canto Gregoriano e perfino all'uso della lingua latina negli incontri internazionali per venire incontro alle necessità dei popoli di ogni luogo e tempo”.

“La mia proposta – ha proseguito poi – è che non dovremmo guardarci indietro e rendere universali questi strumenti di culto. La nostra riflessione sui temi culturali non dovrebbe confrontarsi, o mettersi in rapporto con l'organo, il canto Gregoriano o il latino, anche se possono rappresentare delle opzioni per quanti li trovano utili”.

“La comunicazione e la partecipazione sono vitali in ogni celebrazione liturgica, compresa la celebrazione eucaristica. Le nostre speranze sono nel futuro, non nel passato”, ha poi detto a conclusione del suo intervento.

In un intervento tenuto nel pomeriggio del 10 ottobre, monsignor Cornelius Kipng'eno Arap Korir, Vescovo di Eldoret e Presidente della Conferenza Episcopale del Kenya, ha sottolineato l’importanza che la domenica riveste in Africa come momento di “condivisione del Mistero pasquale” e di impegno “a superare l’odio e il tribalismo”.

“I nostri cristiani attendono con ansia la celebrazione domenicale della Messa. Il senso di festa, celebrazione e gioia delle nostre assemblee eucaristiche va condiviso con tutta la Chiesa. È la gioia di stare insieme come famiglia di Dio”, ha affermato il presule.

Citando poi il numero 42 della Esortazione Apostolica post-sinodale “Ecclesia in Africa” ha ricordato che “gli africani hanno un profondo senso religioso, il senso del sacro, il senso dell’esistenza di Dio e di un mondo spirituale”, e “la celebrazione eucaristica domenicale intende ricorrere a questa ricchezza insita nel popolo al fine di consentire alle comunità cristiane di partecipare pienamente e attivamente al mistero pasquale”.
Ratzigirl
00mercoledì 12 ottobre 2005 23:51
Perdere il celibato sacerdotale sarebbe un “errore gravissimo”, avverte il Cardinale Pell


Non è la soluzione al declino delle vocazioni sacerdotali

mercoledì, 12 ottobre 2005




Il Cardinale George Pell, Arcivescovo di Sydney, ha preso la parola davanti al Sinodo dei Vescovi per avvertire che per la Chiesa cattolica di rito latino sarebbe un “errore gravissimo” perdere la tradizione del celibato sacerdotale.

Il porporato australiano ha riconosciuto che nel suo Paese, così come in Nuova Zelanda, c’è un declino delle vocazioni e allo stesso tempo una certa confusione circa il modo in cui ha avuto luogo la proliferazione dei ministri dell’Eucaristia.

“I miei suggerimenti a questo Sinodo su come affrontare queste ‘ombre’ presumono il mantenimento della Chiesa latina di tradizione antica e la disciplina del celibato obbligatorio per il clero diocesano e gli ordini religiosi”, ha affermato il Cardinale.

“Perdere tale tradizione adesso rappresenterebbe un errore gravissimo, che genererebbe confusione nelle zone di missione e non rafforzerebbe la vitalità spirituale del Primo mondo”.

“Rappresenterebbe un distacco dalla pratica del Signore stesso, porterebbe gravi svantaggi pratici all’azione della Chiesa – vale a dire finanziari – e indebolirebbe il significato di ‘segno’ del sacerdozio; indebolirebbe inoltre la testimonianza al sacrificio amorevole e alla realtà dei Novissimi, e il premio in cielo”, ha avvertito.

“Dobbiamo ricordare la situazione della Chiesa 500 anni fa, prima della Riforma. Era un piccola, debole comunità separata dall’Oriente. L’enorme espansione da allora e la purificazione dei vertici della Chiesa (imperfetta ma sostanziale) sono avvenute soprattutto grazie alle vite di suore, frati e sacerdoti celibi”.

“I recenti scandali sessuali non hanno scalfito questi successi”, ha aggiunto il porporato australiano.

Per quanto riguarda la proliferazione dei ministri dell’Eucaristia, il Cardinale Pell ha chiesto al Sinodo di “mettere a punto un’ulteriore lista di suggerimenti e criteri per regolare il servizio all’Eucaristia, soprattutto la domenica”.

“‘Liturgie in attesa di sacerdote’ sarebbe meglio di ‘Liturgie senza sacerdote’. Non esiste qualcosa come ‘liturgia condotta da laici’, perché i laici possono condurre soltanto le preghiere devozionali e le para-liturgie”.

Il Cardinale ha lodato il suggerimento di monsignor Pierre-Antoine Paulo, O.M.I., Arcivescovo coadiutore di Port-de-Paix, che ha proposto davanti al Sinodo di utilizzare la definizione “ministri straordinari della Santa Comunione” anziché “ministri dell’Eucaristia”.

“I servizi eucaristici o le liturgie della Parola, quando i sacerdoti sono disponibili, non dovrebbero essere delegati. Queste inutili sostituzioni di persona spesso non sono motivate dalla fame del Pane di Vita, ma dall’ignoranza e dalla confusione, se non addirittura dall’ostilità al ministero sacerdotale e ai sacramenti”, ha denunciato.

“Fino a che punto le celebrazioni regolari dei servizi eucaristici, una domenica dopo l’altra, rappresentano un autentico sviluppo, o non una distorsione, una protestantizzazione che rischia di gettare in confusione perfino chi va regolarmente a Messa?”, ha chiesto.

Isidro Catela, portavoce nel Sinodo per i giornalisti di lingua spagnola, ha spiegato che nessuno dei Vescovi della Chiesa cattolica di rito latino che hanno preso la parola ha proposto cambiamenti nella disciplina attuale che stabilisce il celibato per i sacerdoti.

Catela ha spiegato che gli unici che hanno parlato dell’ordinazione di sacerdoti sposati come di una ricchezza sono stati i Vescovi e i Patriarchi delle Chiese orientali unite a Roma, dove ci sono sacerdoti sposati. In queste Chiese, tuttavia, i Vescovi devono essere necessariamente celibi.
Ratzigirl
00giovedì 27 ottobre 2005 14:28
Il Cardinale Arinze: la Buona Novella non è “un articolo di contrabbando” da nascondere


Intervenendo sul tema “La Chiesa Cattolica oggi e le religioni del Mondo”

La Buona Novella cattolica non è “un articolo di contrabbando che dobbiamo nascondere”, ma una realtà da predicare apertamente, “a mezzogiorno”, ha affermato il Cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Nel tenere questo mercoledì una conferenza sul tema “La Chiesa Cattolica oggi e le religioni del Mondo” presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma, il porporato ha detto che “arriva un momento in cui dobbiamo annunciare Gesù”, perché “verso Dio siamo obbligati a cercare la verità religiosa”.

Questa verità, ha spiegato, consiste nel fatto che “Gesù Cristo è l’unico salvatore di tutta l’umanità”.

C’è “un solo Dio, un solo mediatore tra Dio e l’umanità”, ha proseguito il porporato africano, ricordando che Gesù ha istituito la Chiesa come “via ordinaria per la salvezza”.

La salvezza, ha aggiunto, “è un’iniziativa divina”, “alla quale siamo chiamati e rispondiamo”. Non siamo noi che “iniziamo l’avventura”, ma Dio, e “senza la grazia nessuno si salva”.

La salvezza che nel progetto divino include tutta l’umanità ed abbraccia i membri delle diverse religioni, “sarà sempre la salvezza di Gesù Salvatore”, ha affermato il Cardinale Arinze. E anche se gli interessati non lo conoscono, quando arriveranno in cielo troveranno questa “dolce sorpresa”, ha aggiunto.

Da cosa deriva, allora, la necessità dei missionari? La Chiesa cattolica ha il “mandato divino di andare nel mondo intero”, ha risposto il porporato nigeriano, sottolineando come dopo 2000 anni di cristianesimo “la missione del Redentore sta soltanto incominciando”.

Non basta soltanto “avere la possibilità di salvezza”, ha constatato infatti il Cardinale; bisogna anche “ricevere i mezzi per la salvezza nella loro pienezza e abbondanza”, e “solo nella Chiesa abbiamo tutti questi mezzi”.

La Chiesa, ha spiegato, è una “comunità di fede, di carità, di culto, di servizio fondata da Gesù Cristo”, che le ha promesso “la sua assistenza e la presenza dello Spirito Santo fino alla fine del mondo”.

In questa Chiesa che armonizza il naturale e il soprannaturale, ha proseguito, noi sappiamo ciò che crediamo, la fede, che “non è una questione di ‘sì, se, no, ma, forse’”, ma che ha come oggetto Gesù, per cui “è in Dio che noi crediamo”.

Secondo il Cardinal Arinze, la Chiesa cattolica è “per molte ragioni singolare”.

In primo luogo, chi ha fondato la Chiesa è lo stesso Figlio di Dio, che ha due nature e che “insegnò, fece miracoli, soffrì, morì, risorse e diede alla Chiesa il potere di celebrare i suoi misteri fino alla fine dei tempi”.

Quando la Chiesa celebra la Messa è Gesù stesso che celebra, così come negli altri sacramenti la persona principale che agisce è Cristo, ha riconosciuto il porporato.

Cristo, infatti, è “sempre presente nella sua Chiesa”: “nel popolo raccolto per il culto”, “nella gerarchia” – perché “è Gesù che ha istituito la sua Chiesa per avere sacerdoti, Vescovi, Papi” – e “specialmente nelle celebrazioni sacramentali” – e ancora di più nell’Eucaristia – in cui la presenza reale di Gesù si dispiega “in modo tutto speciale”.

La Chiesa cattolica, inoltre, “è locale e anche universale per volontà di Dio”, ha aggiunto, ricordando che “è a casa tra tutti i popoli, culture, lingue, tempi, stati sociali”.

I modi per aderire a questa grande “famiglia della salvezza”, ha spiegato, sono il Battesimo e la fede, attraverso i quali “entriamo nella Chiesa come si entra in una casa per la porta”

Il Prefetto della Congregazione vaticana ha quindi ricordato le varie tappe della collaborazione che unisce la Chiesa cattolica e i musulmani, partendo dalla Conferenza del Cairo sulla popolazione e lo sviluppo (1994).

In quell’occasione di fronte alle proposte avanzate da alcuni Paesi ricchi di fornire aiuti allo sviluppo a quelli poveri in cambio del controllo delle nascite, cattolici e musulmani avevano fatto fronte comune “per difendere il valore della famiglia, la vita umana”, nella “promozione della giustizia, dello sviluppo, della pace”.

Pur riconoscendo la fondamentale importanza del dialogo e della collaborazione tra le religioni, il porporato ha quindi ricordato la necessità di tutelare e promuovere l’identità cristiana e cattolica dei Paesi europei, affinché questa “non si venda per una collaborazione nebulosa”.

Successivamente il Cardinale Arinze ha constatato che ci sono persone che “vogliono distruggere l’identità religiosa di alcune Nazioni”, nella cui storia l’elemento cristiano è stato “essenziale”, ed ha auspicato che l’Italia “non perda la propria cultura, che ha matrice cattolica”.

In Europa ci sono persone “troppo liberali”, che “non sanno abbastanza di cristianesimo” e “sono relativiste in materia religiosa”, ha denunciato Arinze, rivelando come questo permetta ad altre religioni o alle sette di insinuarsi facilmente nelle diverse realtà sociali e di sottrarre fedeli alla Chiesa.

Molti sono purtroppo indifferenti riguardo a questo problema, ha concluso, ma un atteggiamento del genere “non è progresso”.

Ratzigirl
00venerdì 18 novembre 2005 11:53
Dichiarazioni del Card. Arinze
Il Cardinal Arinze: “La gente non va a Messa per essere intrattenuta”

“Va a Messa per adorare Dio”, afferma il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 17 novembre 2005


Di fronte alle improvvisazioni a cui si assiste durante le liturgie, soprattutto nella scelta delle musiche, il Cardinal Francis Arinze ribadisce l’importanza di fare della Messa un momento di riflessione e incontro con Dio, più che una forma di intrattenimento.

In un’intervista rilasciata alla rivista statunitense “Inside the Vatican”, il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha tracciato un bilancio complessivo del recente Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia e degli sviluppi nella pratica liturgica a 40 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II.

“Per quanto riguarda la musica nella liturgia, dovremmo iniziare dicendo che la musica gregoriana è la preziosa eredità della Chiesa – ha osservato –. Non dovrebbe essere eliminata. Se quindi in una diocesi o in un Paese particolare nessuno ascolta più la musica gregoriana, allora qualcuno ha commesso un errore”.

La Chiesa, ha spiegato, non dice che dovrebbe esserci solo musica gregoriana: “c’è posto per la musica che rispetta quella lingua specifica, quella cultura, quel popolo”, ed è una questione “che deve essere affrontata dalla Conferenza Episcopale, perché in genere va al di là dei confini di una diocesi”.

“L’ideale sarebbe che i Vescovi avessero una Commissione di Musica Liturgica che studia il testo e la musica degli inni. E quando la Commissione è soddisfatta, il parere viene presentato ai Vescovi per l’approvazione, a nome del resto della Conferenza”, ha proposto.

Secondo il Cardinale, “non ci devono essere individui che compongono qualcosa e lo cantano in chiesa. Non è una cosa giusta. Non importa quanto sia grande il loro talento”.

Quanto agli strumenti utilizzati nella liturgia, “la Chiesa dovrebbe essere consapevole del fatto che adorare in chiesa non è lo stesso che cantare in un bar, o in un raduno di giovani”.

“Non mi pronuncerò dicendo ‘mai la chitarra’ – ha spiegato –. Sarebbe piuttosto rigido. Gran parte della musica per chitarra, però, potrebbe non essere adatta per la Messa”.

Per il porporato, “il giudizio dovrebbe essere lasciato ai Vescovi del luogo. E’ più saggio, anche perché ci sono strumenti in molti Paesi che non vengono usati ad esempio in Italia o in Irlanda”.

“La gente non va a Messa per essere intrattenuta – ha constatato il Prefetto della Congregazione vaticana –. Va a Messa per adorare Dio, per ringraziarlo, per chiedergli perdono per i peccati ed altre cose di cui ha bisogno”.

“Quando vuole divertirsi, sa dove andare: nella sala parrocchiale, nel teatro, presumendo che il suo divertimento è accettabile da un punto di vista teologico morale”, ha aggiunto il porporato, che ha da poco celebrato il 40° anniversario della sua ordinazione episcopale.

Ratzigirl
00venerdì 18 novembre 2005 20:33
La "cura Levada" e i primi frutti
Nella prima intervista dalla nomina a Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor William Levada ha commentato il lavoro portato avanti dai vescovi statunitensi dopo gli scandali sugli abusi sessuali che hanno investito alcuni membri del clero. Ai microfoni della Radio Vaticana, Levada, ex arcivescovo di Portland (Oregon) e di San Francisco, si è detto molto soddisfatto circa lo stato di applicazione delle norme stabilite nel giugno del 2002 a Dallas per far fronte alla crisi aperta nella Chiesa americana all’indomani degli scandali, affermando che “da quando sono state messe in pratica si sono rivelate sicuramente molto efficaci”. Le norme di Dallas rientrano in un programma a cui la Chiesa cattolica americana ha aderito, il cui intento è quello di rispettare la Charter for the Protection of Children and Young People (Carta per la Protezione dei Bambini e dei Giovani) e le Essential Norms for Diocesan/Eparchial Policies Dealing with Allegations of Sexual Abuse of Minors by Priests or Deacons (Norme per la gestione dei casi di abuso sessuale su minori perpetrati da membri del clero).
Levada - che ha spiegato che la scelta di Ratzinger di nominarlo a capo dell’ex Sant’Uffizio è stata a suo avviso dettata proprio dalla sua esperienza, maturata negli USA, rispetto ai tanti casi di preti pedofili - ha spiegato che oggi i vescovi del Paese hanno più coscienza del fenomeno e sono maggiormente in grado di prevenirlo. Levada, nel corso dell’intervista, non ha fatto nessun accenno al prossimo documento del Vaticano - atteso per fine mese - circa l’inammissibilità dell’accettazione nei seminari di persone con tendenze omosessuali, ma ha invece commentato il recente Sinodo dei vescovi sull’Eucaristia conclusosi con il mese di ottobre. “Ritengo che le 50 Proposizioni finali - ha detto Levada -, alcune delle quali erano piuttosto buone, rappresentino sicuramente le cose che qualcuno ha detto, ma anche che non abbiano catturato gli interventi meravigliosi e pieni di ispirazione che molti vescovi hanno esposto partendo dalla loro esperienza”.
“Ad esempio il cardinal Toppo, uno dei Presidenti del Sinodo proveniente dall’India, ha parlato dell’amore per l’Eucaristia portato alla sua tribù di bassissima casta e di quanto l’idea che Cristo venga a stare con loro, a donarsi a loro, abbia fatto per la loro autostima e abbia trasformato la loro cultura”.
Ratzigirl
00lunedì 21 novembre 2005 18:59
Motu proprio del Papa
In futuro, per le attività pastorali ad Assisi, i Francescani dovranno ottenere il consenso del Vescovo

Lo ha stabilito Benedetto XVI con un “Motu proprio”

CITTA’ DEL VATICANO/ASSISI, domenica, 20 novembre 2005


Con un “Motu proprio”, reso noto questo sabato dalla Sala Stampa vaticana, Benedetto XVI ha stabilito le nuove norme che regoleranno le iniziative pastorali della Basilica di San Francesco e del Sacro Convento di Assisi, così come della Basilica di Santa Maria degli Angeli, i luoghi sacri dove è conservata maggiormente la tradizione francescana.

Secondo quanto contenuto in questo documento, la giurisdizione canonica su entrambe le Basiliche spetterà alla diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, per la quale il Papa ha nominato di recente l’Arcivescovo Domenico Sorrentino , 57 anni, che prende il posto – per raggiunti limiti di età – di monsignor Sergio Goretti.

Nel “Motu proprio”, Benedetto XVI spiega che la decisione nasce dall’esigenza “di realizzare una più efficace intesa tra le attività che si svolgono sia nella Basilica di San Francesco (con annesso Sacro Convento), sia nella Basilica di Santa Maria degli Angeli (ed unito Convento) e la pastorale della Diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, e anche con la pastorale promossa a livello regionale e nazionale dalle rispettive Conferenze episcopali”.

Finora le due Basiliche, in base ai “Motu proprio” di Paolo VI (Inclita toto, dell’8 agosto 1969 ed ex Audientia, del 12 maggio 1966) si trovavano sotto la diretta giurisdizione dell’Ordine francescano: ai Conventuali era assegnata la Basilica di Santa Maria degli Angeli, con la “Porziuncola”, e ai Minori quella di San Francesco, dove è sepolto il fondatore.

Il Papa ha anche stabilito che un Cardinale verrà d’ora in avanti assegnato alle due Basiliche in qualità di Legato pontificio, il quale “pur non godendo di giurisdizione, avrà il compito di perpetuare con la sua autorità morale gli stretti vincoli di comunione tra i luoghi sacri alla memoria del Poverello e questa Sede Apostolica”.

“Egli potrà impartire la Benedizione Papale nelle celebrazioni che presiederà in occasione delle maggiori solennità liturgiche”, si legge di seguito.

Conseguenza della nuova disciplina è che “i Padri Francescani, Conventuali e Minori, per tutte le iniziative che hanno risvolti pastorali, dovranno pertanto chiedere ed ottenere il consenso del Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino”.

“Questi, poi – come recita il documento –, sentirà il parere del Presidente della Conferenza Episcopale Umbra per le iniziative che hanno riflessi sulla Regione umbra o della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana per le quelle a più ampio raggio”.

In alcune dichiarazioni rilasciate all’agenzia giornalistica “ANSA”, monsignor Sergio Goretti, che è stato alla guida della diocesi di Assisi per 25 anni, ha affermato che “ad Assisi era assurdo che esistessero delle vere e proprie enclave autonome sulle quali proprio il Vescovo non aveva alcun potere”.

“E’ un bene che il mio successore non abbia da questo punto di vista i problemi che ho avuto io. Spesso venivo a sapere dai giornali di certe iniziative, e non sempre la mia gente capiva tutto questo”, ha raccontato.

“Le nuove norme emanate dal Pontefice da questo punto di vista sono un passo molto importante, per evitare che nella Chiesa locale possano esistere delle enclave autonome”, ha poi osservato.

Ratzigirl
00venerdì 25 novembre 2005 12:24
“In sede pubblica di Dio non si parla”, constata il Cardinale Ruini



ROMA, giovedì, 24 novembre 2005 (ZENIT.org).- Intervenendo questo mercoledì a Roma, ad un incontro-dibattito sul tema della laicità, il Cardinale Camillo Ruini ha affermato che “in sede pubblica di Dio non si parla”, e che nel leggere gli articoli di scienza si constata spesso che “chi scrive intende dimostrare che Dio non c’è e che l’essere umano è autosufficiente”.

All’incontro sul tema “Quando i simboli diventano cartoline illustrate – il travaglio della modernità” organizzato da “Viam Scire” nell’ambito del Progetto culturale della Chiesa italiana, hanno partecipato oltre al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, anche il professor Lorenzo Ornaghi, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, lo storico Ernesto Galli della Loggia e il Direttore de “Il Foglio”, Giuliano Ferrara.

Alla domanda di Galli della Loggia sul perché la Chiesa si occupi così tanto di morale invece che di Dio, il Cardinale Ruini ha risposto: “Siamo di fronte ad un paradosso, ho vissuto epoche in cui l’insistenza della Chiesa sui temi etici era molto maggiore di quella odierna. Oggi appare più vistosa ma negli anni Quaranta la morale era molto più praticata, c’era una insistenza nella predicazione ecclesiastica”.

Sui temi di morale, ha continuato il Cardinale Vicario di Roma “la formazione dei gruppi giovanili, che erano divisi in maschi e femmine, era marcatissima, oggi è difficile che i sacerdoti nelle omelie affrontino questi temi che sono più presenti nel Magistero pubblico. Io stesso quando parlo nelle parrocchie affronto il tema di Cristo e della vita eterna, più che dei temi etici”.

Il Presidente della CEI ha quindi rilevato che “c’è da fare il confronto tra etica pubblica ed etica vissuta. Mentre l’etica pubblica sembra non avere nessuna rilevanza, per quanto riguarda l’etica privata ognuno tende a fare come meglio crede”.

“Ma la Chiesa non ha colpe”, ha sottolineato Ruini. “E’ vero che noi vorremmo che quei temi come il rapporto tra Dio e l’uomo e l’escatologia, fossero centrali, ma sfuggono al dibattito pubblico, non vengono raccolti, mentre si parla con insistenza dei temi etici per tutti più visibili. Invece queste tematiche sono confinate nel Magistero della Chiesa e nel quotidiano restano riservate e silenziose”.

Lo storico Galli della Loggia ha quindi affermato che “in un mondo che cambia velocemente e che perde ogni giorno un pezzetto del passato, la Chiesa viene identificata come l’unica che tiene fede alla tradizione”.

Il Cardinale Ruini, prendendo spunto da questa affermazione, ha sottolineato che “la Chiesa è Tradizione” e che “senza Tradizione la Chiesa non esiste”.

“La Tradizione è Dio che parla all’umanità … Il Dio di Abramo che fa da spartiacque. La Chiesa è convinta che all’origine c’è la Rivelazione c’è l’eterno” e rappresenta “il tema dell’assoluto nella storia”, ha spiegato.

Nell’intervento di apertura, Giuliano Ferrara ha detto che la rivoluzione francese e quella statunitense indicano almeno due modelli di laicità. Il Direttore de “Il Foglio” ha precisato che “secondo gli europei la laicità è figlia della rivoluzione francese in cui c’è il culto dello Stato che impone e dispone. I cittadini sono liberi di coltivare la loro fede, ma in ambiti strettamente confessionali”.
“Altra laicità – ha continuato Ferrara – è quella statunitense in cui il Governo è limitato e federativo. E sia la Dichiarazione di Indipendenza, che la Costituzione americana si basano sul riconoscimento del Diritto naturale che precede lo Stato”.

Alla domanda su qual è la laicità di cui gli europei hanno più bisogno, il professor Ornaghi ha risposto citando l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, il quale in una conferenza del 2002, sostenne che “a partire dall’illuminismo, la cultura dell'Occidente si allontana con velocità crescente dai suoi fondamenti cristiani”.

Il Rettore della “Cattolica” ha riconosciuto lo stato di crisi del concetto di laicità ed ha osservato che “c'è bisogno di un rinnovamento culturale. Bisogna chiedersi se le categorie che avevano misurato e definito la laicità funzionino ancora. Probabilmente arriveremo a una laicità diversa da quella che i secoli ci hanno imposto”.

Intervenendo al dibattito, Ernesto Galli della Loggia ha ricordato che “nell’Ottocento i grandi temi della laicità prendevano di petto le verità cristiane, mentre oggi la massima contrapposizione nasce dal fatto che la Chiesa viene accusata di voler condizionare la morale privata”.

In questo contesto – ha continuato – “si vuole ridurre lo spazio pubblico della Chiesa, perché è inconcepibile che la Chiesa indichi una morale”.

Secondo Galli della Loggia “nel vecchio laicismo il messaggio cristiano non era messo in discussione. Oggi finisce nel mirino solo quel lato sociale che attenuerebbe il messaggio religioso”.
Ratzigirl
00mercoledì 30 novembre 2005 02:26
Sacerdozio ed omosessualità: tre casi in cui è impedita l’ordinazione
martedì, 29 novembre 2005


Pratica dell’omosessualità, tendenze omosessuali profonde e sostegno alla “cultura gay”



Non è possibile l’ammissione in seminario o al sacerdozio di persone che “praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”, spiega un documento pubblicato questo martedì dalla Santa Sede.

L’attesa Istruzione – nelle ultime settimane erano filtrate varie notizie sugli organi di informazione – è pubblicata dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica e porta la firma del Cardinale Zenon Grocholewski e dell’Arcivescovo Michael Miller, C.B.S., rispettivamente Presidente e Segretario del Dicastero vaticano.

Il documento “circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri”, approvato da Papa Benedetto XVI il 31 agosto 2005, è stato pubblicato nel giorno in cui ricorre la memoria di San Carlo Borromeo, patrono dei seminari.

Il documento, estremamente delicato e rispettoso delle persone con tendenze omosessuali, non contiene novità straordinarie. Il suo impatto mediatico è dovuto in parte alle nuove tendenze culturali, in particolare a ciò che l’istruzione definisce “cultura gay”.

Fin dalle sue origini, la Chiesa cattolica, così come altre Chiese, non ha ammesso persone che praticano l’omosessualità o che le difendano in pubblico.

Il documento compie la distinzione stabilita dal Catechismo della Chiesa Cattolica tra “atti” omosessuali, che la Sacra Scrittura definisce “peccati gravi”, e “tendenze” omosessuali profondamente radicate, che si riscontrano in un certo numero di uomini e donne.

Anche se queste ultime sono “oggettivamente disordinate” e spesso costituiscono “una prova”, le persone che le sperimentano “devono essere accolte con rispetto e delicatezza; a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”.

Queste persone, secondo l’istruzione, “sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare”.

Secondo l’Istruzione, gli uomini con tendenze omosessuali profondamente radicate non possono essere ammessi al sacerdozio perché si trovano “in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne”.

“Qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l'espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un'adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell'Ordinazione diaconale”, si legge.

Il documento sottolinea la responsabilità di Vescovi, Superiori Maggiori (nel caso dei religiosi candidati al sacerdozio), educatori dei Seminari e direttori spirituali di aiutare nel “discernimento” sull’idoneità dei candidati al sacerdozio, che “nel caso di un dubbio serio” non devono essere ammessi all’ordinazione.

“Il candidato stesso è il primo responsabile della propria formazione” ed il primo che deve cercare di applicare il discernimento richiesto dalla Chiesa, conclude.

TERESA BENEDETTA
00venerdì 19 gennaio 2007 21:46
Miriam...Ti rendo conto che il tuo post d'oggi - malgrado che appariva nel 'board' da postato all'ora 19:26 - non si trova.

E capitato 3-4 volte per me fino a che sono resa conto che questo 'incomodo' capita quando il testo oltrapassa una certa lunghezza, dunque ci vuole tagliarlo in due. Spero che questo 'tip' sia utile anche agli altri utenti.

[Modificato da TERESA BENEDETTA 19/01/2007 21.48]

Ratzigirl
00giovedì 8 febbraio 2007 00:38
La pena di morte, “un affronto alla dignità umana”, secondo la Santa Sede

Dichiarazione in occasione del congresso mondiale celebrato a Parigi



Il vertice, celebrato a Parigi dal 1° al 3 febbraio, ha contato sulla partecipazione di numerose istituzioni cattoliche impegnate nella difesa della vita umana.

La dichiarazione, scritta in francese, constata che “il Congresso di Parigi ha luogo in un momento in cui la campagna per l'abolizione della pena di morte ha dovuto far fronte alle inquietanti sfide in ragione delle recenti esecuzioni. Le coscienze sono state risvegliate dalla preoccupazione di un maggiore riconoscimento della dignità inalienabile degli esseri umani e dell'universalità e integralità dei diritti umani, cominciando dal diritto alla vita”.

Come negli ultimi due congressi sul medesimo tema, “la Santa Sede coglie questa occasione per accogliere e riaffermare il suo sostegno a tutte le iniziative volte a difendere il valore implicito e l'inviolabilità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. In tale prospettiva, la Santa Sede richiama l'attenzione sul fatto che l'uso della pena di morte è non soltanto rifiuto del diritto alla vita ma anche un affronto alla dignità umana”.

“Mentre la Chiesa cattolica continua a sostenere che le autorità legittime dello Stato hanno il dovere di proteggere la società dagli aggressori, e che certi stati hanno tradizionalmente incluso la pena capitale fra i mezzi utilizzati per conseguire tale fine, difficilmente si può giustificare oggi la scelta di una tale opzione. Gli stati hanno a loro disposizione nuovi mezzi di prevenire efficacemente i crimini, rendendo colui che ha commesso un'offesa incapace di fare del male – senza togliere definitivamente al reo la possibilità di emendarsi”.

“Se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall'aggressore e per proteggere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana”, aggiunge la dichiarazione distribuita questo mercoledì dal Vatican Information Service (VIS).

“Ogni decisione di pena capitale comporta numerosi rischi: il pericolo di punire persone innocenti; la tentazione di promuovere forme violente di vendetta più che un vero senso di giustizia sociale; un'offesa evidente contro l'inviolabilità della vita umana (...) e, per i cristiani, si tratta anche del disprezzo dell'insegnamento evangelico sul perdono”.


La dichiarazione conclude rinnovando l'apprezzamento della Santa Sede per gli organizzatori del Convegno e per i governi, per i gruppi che lavorano “all'abolizione della pena capitale e per porre una moratoria universale alla sua applicazione”.
Ratzigirl
00venerdì 23 febbraio 2007 00:25
Lettera del cardinale Ignace Moussa I Daoud a tutti i pastori della Chiesa universale per sostenere le comunità cristiane in Terra Santa, che vivono tra inaudite sofferenze


Un appello urgente a sostenere i cristiani della Terra Santa, dove si registrano ogni giorno inaudite sofferenze: a lanciarlo è il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il cardinale Ignace Moussa I Daoud, nella Lettera tradizionalmente rivolta nel Tempo della Quaresima a tutti i pastori della Chiesa universale per promuovere la cosiddetta “Collecta pro Terra Sancta”. Il servizio di Sergio Centofanti: Si tratta di una iniziativa che si svolge ogni anno per mandato pontificio: la prima Colletta risale a Papa Martino V, che stabilì nel 1421 le norme circa la raccolta delle offerte per tale scopo. “La Congregazione per le Chiese Orientali – scrive il cardinale Daoud - è erede di questa premura e si sente sempre solidale con i cristiani della Terra Santa e di tutta la regione mediorientale, ove la crisi politica ed economica non è ancora risolta e si registrano ogni giorno inaudite sofferenze”. Il porporato ricorda “l'universale e urgente bisogno di sostenere i fratelli e le sorelle di quella Terra in qualsiasi modo, e particolarmente invocando per essi la pace che viene dall’Alto”.

E’ grave – sottolinea, infatti - la responsabilità che incombe sulla Chiesa universale a riguardo della Chiesa Madre di Gerusalemme. A tutti i cattolici del mondo si fa, dunque, dovere di accompagnare con la preghiera e la solidarietà anche economica le comunità cristiane di quella Terra benedetta, che, tra mille difficoltà, offrono quotidianamente e in silenzio un’autentica testimonianza al Vangelo”.


Le offerte vengono devolute in modo particolare alle comunità cristiane che vivono in Israele e Palestina, ma sostengono anche le necessità dei cristiani di Libano, Siria, Iraq, Giordania ed Egitto. Una speciale attenzione viene data alle Istituzioni scolastiche, quali l’Università di Betlemme e le scuole cattoliche dei vari livelli.



“Il grazie più sentito” per quanto viene annualmente raccolto – conclude il cardinale Daoud – “viene dal Santo Padre”, che “accompagna con la preghiera e la benedizione” tutte le Chiese e tutti i benefattori della Terra del Signore”.
TERESA BENEDETTA
00martedì 13 marzo 2007 14:50
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE
DELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA POSTSINODALE
DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
"SACRAMENTUM CARITATIS"

SULL’EUCARISTIA FONTE E CULMINE
DELLA VITA E DELLA MISSIONE DELLA CHIESA


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell’Esortazione Apostolica Postsinodale del Santo Padre Benedetto XVI "Sacramentum Caritatis" sull’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa.

Intervengono alla Conferenza Stampa l’Em.mo Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia, Relatore Generale all’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2 - 23 ottobre 2005) e S.E. Mons. Nikola Eterovic, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi.


L'intervento del Cardinale Scola e una sintesi dell'Esortazione:

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. ANGELO SCOLA

I. Introduzione

1. Nello spazio dell’amore

Non è un caso che, tra tutte le denominazioni attribuite lungo i secoli all’Eucaristia, il Santo Padre abbia scelto come titolo del presente documento una delle espressioni con cui san Tommaso d’Aquino ha definito il Mistero eucaristico: Sacramentum Caritatis. Per l’Aquinate, infatti, il memoriale del dono che Cristo fa di Sé nel Suo corpo e nel Suo sangue è sacramento supremo dell’amore divino. Brilla così nell’Esortazione Apostolica il profondo magistero della Deus caritas est. L’insistenza del Santo Padre, in questi due anni di pontificato, sulla verità dell’amore dice con chiarezza che siamo di fronte ad uno dei temi cruciali su cui si gioca il futuro della Chiesa e dell’umanità. Anche se il Papa non l’avesse esplicitamente affermato - «intendo porre la presente Esortazione in relazione con la mia prima Lettera enciclica Deus caritas est» (n. 5) – sarebbero bastati i frequenti riferimenti all’Enciclica per confermarlo (cfr. nn. 5, 9, 11, 82, 88, 89).

L’amore eucaristico di Gesù continua a stupire. Ha stupito i dodici mentre Egli si chinava a lavare loro i piedi, amandoli "sino alla fine"; ha stupito i discepoli di Emmaus nello spezzare il pane. È l’amore incarnato di Dio, che per sua natura sorprende sempre. Quello "stupore eucaristico" di cui il servo di Dio Giovanni Paolo II ha parlato con efficace intensità, viene proposto come la via maestra, accessibile agli uomini e alle donne del nostro tempo, per fare l’esperienza dell’amore.

2. Frutto del lavoro sinodale

Con l’Esortazione Apostolica Postsinodale di Sua Santità Benedetto XVI sull’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Sacramentum Caritatis, il lungo ed articolato itinerario della XI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi trova il suo frutto più maturo (cfr. nn. 3-4). Come è noto, le esortazioni apostoliche postsinodali configurano, all’interno del magistero pontificio, uno specifico "genere letterario". Il Sommo Pontefice vi raccoglie, conferma e approfondisce autorevolmente quanto è stato comunicato, dibattuto ed approvato lungo tutto l’itinerario sinodale, dalla indizione dell’Assemblea fino al termine dei lavori. Nel testo di Sacramentum Caritatis si sentono così riecheggiare, in modo implicito o esplicito, i vari documenti che hanno accompagnato i lavori sinodali: dai Lineamenta all’Instrumentum Laboris, dalle due Relationes, ante et post Disceptationem, fino alle 50 propositiones elaborate dai circuli minores ed approvate dalla plenaria. Così come è ben riconoscibile l’eco degli interventi liberi in aula – voluti per la prima volta da Benedetto XVI - che, oltre ad apporti dottrinali, hanno spesso offerto testimonianze commoventi di varie comunità e dei loro pastori. I cristiani, a volte anche a rischio della vita, diffondono l’amorosa carità di Cristo che celebrano nel mistero.

3. Nuovi approfondimenti

Se da una parte l’Esortazione Apostolica costituisce il frutto maturo di un cammino percorso, dall’altra si pone esplicitamente l’obiettivo di aprire la strada ad ulteriori approfondimenti. Essa mira, infatti, ad «esplicitare alcune fondamentali linee di impegno, volte a destare nella Chiesa nuovo impulso e fervore eucaristico» (n. 5). Un contributo prezioso in tal senso lo darà anche la pubblicazione del Compendio eucaristico proposto dai Padri sinodali (cfr. n. 92).

II. Un atto di receptio dell’insegnamento conciliare

1. Un’unità articolata

La lettura e lo studio dell’Esortazione è facilitata dalla sua struttura tanto articolata quanto saldamente unitaria. Essa poggia sull’inscindibile nesso di tre aspetti: Mistero eucaristico, azione liturgica e nuovo culto spirituale. Si tratta del cardine stesso di tutto l’insegnamento che il Santo Padre ha voluto proporre nell’Esortazione. Egli, infatti, afferma: «nel presente documento desidero soprattutto raccomandare, accogliendo il voto dei Padri sinodali, che il popolo cristiano approfondisca la relazione tra il Mistero eucaristico, l’azione liturgica e il nuovo culto spirituale derivante dall’Eucaristia, quale sacramento della carità» (n. 5).

L’Esortazione risulta in tal modo strutturata in tre parti ognuna delle quali approfondisce una delle tre dimensioni dell’Eucaristia superando ogni giustapposizione di dottrina, prassi liturgica e vita cristiana. Le tre parti del testo - Eucaristia, mistero da credere, Eucaristia, mistero da celebrare ed Eucaristia, mistero da vivere - sono a tal punto legate che i loro contenuti si illuminano a vicenda. Del resto un significativo guadagno del lavoro sinodale è proprio il superamento di taluni dualismi – per esempio quelli tra fede eucaristica e rito, tra celebrazione ed adorazione tra dottrina e pastorale - a volte ancora presenti nella vita della comunità ecclesiale e nella riflessione teologica.

E questo in forza dell'innovativa affermazione della centralità dell’azione liturgica nella vita della Chiesa. Essa è in effetti il cuore di tutto il testo. Proprio all’inizio della Seconda Parte del documento, Benedetto XVI, ricordando l’assioma classico lex orandi – lex credendi, afferma che «è necessario vivere l’Eucaristia come mistero della fede autenticamente celebrato, nella chiara consapevolezza che "l’intellectus fidei è sempre originariamente in rapporto all’azione liturgica della Chiesa". In questo ambito, la riflessione teologica non può mai prescindere dall’ordine sacramentale istituito da Cristo. Dall’altra parte, l’azione liturgica non può mai essere considerata genericamente, a prescindere dal mistero della fede» (n. 34).

L’insegnamento del Santo Padre illustra con chiarezza come l’azione liturgica (mistero da celebrare) sia quell’azione specifica che rende possibile la conformazione della vita cristiana (mistero da vivere, nuovo culto) da parte della fede (mistero da credere). Nel rito eucaristico (cfr. nn. 3, 6, 38, 40), luogo per eccellenza della traditio, il cristiano accoglie (receptio) il dono di Cristo stesso per diventare, in forza della fede e della rigenerazione sacramentale, membro del Suo corpo che è la Chiesa.

2. Ars celebrandi ed actuosa participatio

Alla luce di questo guadagno fondamentale occorre leggere una seconda novità dottrinale di grande importanza proposta dall’Esortazione. Si tratta di un insegnamento teso a favorire l’approfondimento ulteriore della riforma liturgica ed il rinnovamento della prassi celebrativa nelle comunità cristiane.

Mi riferisco all’importanza dell’ars celebrandi (arte di celebrare) per una sempre più actuosa participatio (partecipazione attiva, piena e fruttuosa). Particolarmente innovativa infatti appare, in riferimento alla celebrazione, l’insistenza del documento sulla dipendenza dell’actuosa participatio dall’ars celebrandi. Benedetto XVI, riprendendo la propositio 2 approvata dall’Assemblea Sinodale, afferma che «l’ars celebrandi è la migliore condizione per l’actuosa participatio. L’ars celebrandi scaturisce dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto Popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cfr. 1pt 2, 4-5.9)» (n. 38).

3. Una riproposizione creativa di Sacrosanctum Concilium

L’insegnamento di Benedetto XVI circa l’inseparabile unità tra fede professata, azione liturgica e nuovo culto, risulta così essere uno sviluppo del n. 7 della Costituzione Sacrosanctum Concilium: «ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado». La dottrina di Benedetto XVI in proposito rappresenta un paradigma di recezione dei testi conciliari. Siamo qui in presenza di quell’ermeneutica della continuità che il Santo Padre ha esplicitamente richiamato come necessaria chiave di comprensione e recezione del Vaticano II (cfr. n. 3, nota 6).

III. Struttura e contenuti dell’Esortazione

È ora opportuno far un sintetico riferimento ai contenuti delle tre parti dell’Esortazione, soffermandoci su taluni aspetti dottrinali e sulle preziose indicazioni pastorali in esse offerte. A questo proposito giova notare, per inciso, che la Sacramentum Caritatis, offre almeno una cinquantina di proposte pratiche di carattere liturgico-pastorale. Proprio in forza dell’impianto profondamente unitario dell’Esortazione, presentando i singoli contenuti di ogni parte non si potrà prescindere dal mettere in evidenza i nessi con argomenti presenti nelle altre due sezioni del documento.

1. Eucaristia, mistero da credere

Il dono della Trinità

Nella Prima Parte (nn. 6-33) si illustra il mistero dell’Eucaristia a partire dalla sua origine trinitaria che ne assicura il permanente carattere di dono (cfr. nn. 7-8): «Si tratta di un dono assolutamente gratuito, che risponde soltanto alle promesse di Dio, compiute oltre ogni misura. La Chiesa accoglie, celebra, adora questo dono in fedele obbedienza» (n. 8). In questo insegnamento si trova la radice profonda di quanto l’Esortazione insegna circa l’adorazione e il suo intrinseco rapporto con la celebrazione eucaristica (cfr. nn. 66-69): «l’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa» (n. 66). Di seguito vengono puntualmente illustrate l’importanza della pratica (cfr. n. 67) e le forme (cfr. n. 68) dell’adorazione eucaristica.

Istituzione cristologica e opera dello Spirito

Particolarmente pregnanti e nutrite da forte afflato ecumenico sono le affermazioni del Santo Padre circa l’istituzione dell’Eucaristia in rapporto con la Cena pasquale ebraica (cfr. n. 10), che raccolgono il suo intervento in aula del 6 ottobre 2005. Scrive Benedetto XVI: «Con il comando "Fate questo in memoria di me" (Lc 22, 19; 1Cor 11, 25), Egli ci chiede di corrispondere al suo dono e di rappresentarlo sacramentalmente. Con queste parole, pertanto, il Signore esprime, per così dire, l’attesa che la sua Chiesa, nata dal suo sacrificio, accolga questo dono, sviluppando sotto la guida dello Spirito Santo la forma liturgica del Sacramento. Il memoriale del suo dono perfetto, infatti, non consiste nella ripetizione dell’Ultima Cena, ma propriamente nell’Eucaristia, ossia nella novità radicale del culto cristiano» (n. 11). È un passaggio decisivo per illuminare il novum radicale operato da Gesù all’interno della antica cena rituale. Noi, infatti, nel rito non ripetiamo l’atto cronologicamente situato dell’Ultima Cena di Gesù, ma celebriamo l’Eucaristia quale novum radicale del culto cristiano. Egli ci chiama ad entrare nella Sua stessa ora, il mistero di morte e di risurrezione, principio innovativo di trasformazione - «una sorta di "fissione nucleare"» (n. 11) - di tutta la storia e del cosmo intero. In questa prospettiva, peraltro, si comprende l’insistenza del documento sull’importanza della domenica come il giorno in cui risplende la pienezza del mistero pasquale (cfr. nn. 72-75).

Il Santo Padre indica con forza il criterio dell’autentica creatività liturgica quando, al n. 12, afferma: «questo grande mistero viene celebrato nelle forme liturgiche che la Chiesa, guidata dallo Spirito, sviluppa nel tempo e nello spazio» cioè in tutte le culture. L’opera feconda dello Spirito Santo nella stessa celebrazione eucaristica (epiclesi) si manifesta «in particolare riferimento alla transustanziazione» (n. 13).

Eucaristia e Chiesa

La radice trinitaria, cristologica e pneumatologica della celebrazione del Mistero eucaristico costituisce la base per un approfondimento della realtà teologica della Chiesa in chiave eucaristica. Diversi sono gli argomenti che il Papa propone in merito. Innanzitutto il fatto che l’Eucaristia è il principio causale della Chiesa: «in ogni celebrazione confessiamo il primato del dono di Cristo. L’influsso causale dell’Eucaristia all’origine della Chiesa rivela in definitiva la precedenza non solo cronologica ma anche ontologica del suo averci amati "per primo". Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo» (n. 14). Benedetto XVI, mentre afferma la circolarità tra l’Eucaristia che edifica la Chiesa e la Chiesa stessa che celebra l’Eucaristia, compie una significativa opzione magisteriale per il primato della causalità eucaristica su quella ecclesiale (cfr. n. 14). Anche questo approfondimento evidenzia un elemento di novità dottrinale di Sacramentum Caritatis.

L’origine eucaristica della Chiesa spiega poi il suo essere communio (cfr. n. 15) ed assicura la natura sacramentale della stessa Chiesa (cfr. n. 16).

L’Eucaristia e settenario sacramentale

Dal n. 16 al n. 29 l’Esortazione approfondisce la centralità dell’Eucaristia nel settenario sacramentale. Sono pagine particolarmente dense di indicazioni pastorali. Accenniamo alle più significative.

In primo luogo il riconoscimento del fatto che «la santissima Eucaristia porta a pienezza l’iniziazione cristiana e si pone come centro e fine di tutta la vita sacramentale» (n. 17). Questo implica la necessità di verificare la prassi dell’ordine con cui vengono conferiti i sacramenti dell’iniziazione cristiana (cfr. n. 18). Rispetto al sacramento della riconciliazione il Santo Padre insiste sull’esigenza di «un deciso recupero della pedagogia della conversione che nasce dall’Eucaristia» (n. 21) attraverso la confessione frequente, le attenzioni pastorali a livello parrocchiale (ivi compreso l’uso e la collocazione dei confessionali) e diocesano (assicurare la presenza del penitenziere) ed un’adeguata pastorale delle indulgenze. L’Unzione degli infermi e il santo Viatico offriranno ai fedeli la possibilità di associare «il sofferente all’offerta che Cristo ha fatto di sé per la salvezza di tutti» (n. 22).

Eucaristia e Ordine

Particolare attenzione merita il nesso tra l’Eucaristia e i sacramenti dell’Ordine e del Matrimonio, sia a motivo del ricco scambio avutosi in aula sinodale su questi temi sia per l’autorevole ripresa da parte del Santo Padre. Questi due sacramenti – i sacramenti al servizio della comunione, come li chiama il Catechismo della Chiesa Cattolica - trovano nell’Eucaristia la loro profonda ragion d’essere ed il loro alimento più potente.

Il testo dell’Esortazione si sofferma in molti passaggi sul legame tra Eucaristia, sacramento dell’Ordine e spiritualità sacerdotale (cfr. nn. 23-26, 39, 53, 75 e 80). A tale proposito viene ribadita l’insostituibilità del sacerdozio ministeriale per la valida celebrazione della santa Messa, la quale non deve mai essere confusa con altre celebrazioni in attesa di sacerdote presiedute da ministri autorizzati (cfr. n. 75). Benedetto XVI, inoltre, accogliendo quanto proposto dall’Assemblea Sinodale, riafferma ed approfondisce la relazione tra ordinazione sacerdotale e celibato: «Pur nel rispetto della differente prassi e tradizione orientale, è necessario ribadire il senso profondo del celibato sacerdotale, ritenuto giustamente una ricchezza inestimabile (…) In tale scelta del sacerdote, infatti, trovano peculiare espressione la dedizione che lo conforma a Cristo e l’offerta esclusiva di se stesso per il Regno di Dio. Il fatto che Cristo stesso, sacerdote in eterno, abbia vissuto la sua missione fino al sacrificio della croce nello stato di verginità costituisce il punto di riferimento sicuro per cogliere il senso della tradizione della Chiesa latina a questo proposito» (n. 24). In tal modo papa Benedetto XVI, riprendendo il Magistero dei suoi predecessori ed in particolare le ragioni cristologiche, ecclesiologiche ed escatologiche dell’enciclica di Paolo VI Sacerdotalis Caelibatus (1967), respinge ogni giustificazione del celibato su basi puramente funzionali. Si tratta invece di una scelta «sponsale; è immedesimazione con il cuore di Cristo Sposo che dà la vita per la sua Sposa» (n. 14). Viene in tal modo riconfermata la prassi latina della obbligatorietà del celibato sacerdotale quale ricchezza inestimabile per l’intera communio ecclesiale.

Il forte ridimensionamento numerico del clero, in atto in alcuni continenti, deve essere fronteggiato anzitutto con la testimonianza della bellezza della vita sacerdotale, mostrando ai giovani la profonda con-venienza della sequela radicale di Cristo e, in secondo luogo, con una formazione vocazionale accurata, mediante una precisa proposta di vita spirituale e un rigoroso discernimento che verifichi l’autenticità della motivazione vocazionale (cfr. n. 25). Il Santo Padre riserva un sentito grazie in generale ai presbiteri e ai presbiteri fidei donum in particolare (cfr. n. 26).

Eucaristia e Matrimonio

In modo specifico l’Esortazione Apostolica fa proprie ed approfondisce le riflessioni sinodali riguardanti il rapporto tra la divina Eucaristia e lo stato matrimoniale. Benedetto XVI ricorda che l’Eucaristia, sacramento sponsale per eccellenza, «corrobora in modo inesauribile l’unità e l’amore indissolubili di ogni Matrimonio cristiano. In esso, in forza del sacramento, il vincolo coniugale è intrinsecamente connesso all’unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa» (n. 27). Si comprende il forte incoraggiamento e la vicinanza della Chiesa a tutte le famiglie fondate sul sacramento del matrimonio, protagoniste dell’educazione cristiana dei figli (cfr. n. 19), nonché la cura che le comunità cristiane debbono profondere per l’accurata formazione dei nubendi (cfr. n. 29).

A partire dal carattere nuziale dell’Eucaristia Benedetto XVI rilegge il tema della unicità del matrimonio cristiano, facendo riferimento alla questione della poligamia (cfr. n. 28), ed a quella della indissolubilità del vincolo coniugale (cfr. n. 29). Il testo contiene importanti suggerimenti pastorali rispetto a quei battezzati che versano nella dolorosa situazione di aver celebrato il sacramento del matrimonio e di aver poi divorziato e contratto nuove nozze. L’Esortazione dopo aver ribadito che essi, «nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione» (n. 29), elenca ben nove modalità di partecipazione alla vita di comunità di questi fedeli che, pur senza ricevere la Comunione, possono così adottare uno stile cristiano di vita. Il Santo Padre ribadisce inoltre la necessità, quando sorgono dubbi legittimi, di verificare in tempi ragionevoli l’eventuale nullità matrimoniale, mediante accurate indagini dei tribunali ecclesiastici da svolgersi con spirito autenticamente pastorale e quindi pervaso di amore per la verità. Infine Benedetto XVI dà forma compiuta anche al suggerimento dei Padri sinodali circa la situazione di coloro che, avendo celebrato validamente il matrimonio, per condizioni obiettive si trovano a non poter sciogliere i nuovi legami contratti, proponendo loro, con adeguato supporto pastorale, di impegnarsi «a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella» (n. 29), cioè trasformando il loro legame in amicizia fraterna. Al di là di facili preconcetti, tale suggerimento configura una proposta coraggiosa e realistica. L’esperienza pastorale indica questa strada come appropriata per riprendere il proprio cammino di fede e l’accesso ai sacramenti «con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale» (n. 29). Questi fedeli potranno riordinare gradatamente nel tempo gli affetti secondo la prospettiva autentica dell’amore, significato dal sacramento dell’altare.

L’Eucaristia caparra della vita eterna

La rilevanza antropologica del dono eucaristico è messa in evidenza dall’Esortazione in modo affascinante, quando essa si sofferma sulla dimensione escatologica dell’Eucaristia (cfr. nn. 30-32). Il Santissimo Sacramento, infatti, è caparra della vita eterna poiché «la nostra libertà finita si smarrirebbe, se non fosse possibile già fin d’ora sperimentare qualcosa del compimento futuro» (n. 31).

2. Eucaristia, mistero da celebrare

La Seconda Parte dell’Esortazione (cfr. nn. 34-69) illustra lo svolgimento dell’azione liturgica nella celebrazione indicando gli elementi che meritano maggiore approfondimento ed offrendo alcuni suggerimenti pastorali di grande rilievo.

La bontà del rinnovamento liturgico

L’insegnamento racchiuso in questa Seconda Parte mette in evidenza la bontà della riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II. Talune difficoltà ed abusi «non possono oscurare la bontà e la validità del rinnovamento liturgico, che contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate» (n. 3).

Alle fonti del rito eucaristico

Fedele al principio su cui si fonda tutto l’insegnamento proposto, l’Esortazione esordisce in questa seconda parte riconoscendo che «la sorgente della nostra fede e della liturgia eucaristica, infatti, è il medesimo evento: il dono che Cristo ha fatto di se stesso nel Mistero pasquale» (n. 34). Ecco perché è necessario riconoscere con forza che «la liturgia eucaristica è essenzialmente actio Dei che ci coinvolge in Gesù per mezzo dello Spirito» e che, proprio in questo modo, «la Chiesa celebra il Sacrificio eucaristico in obbedienza al comando di Cristo, a partire dall’esperienza del Risorto e dall’effusione dello Spirito Santo» (n. 37). L’evento pasquale nell’azione eucaristica coincide così con il rito stesso inteso come radice del culto spirituale che imprime all’esistenza del cristiano una forma eucaristica.

Ne conseguono due considerazioni di carattere ad un tempo dottrinale e liturgico che costituiscono un originale apporto dell’Esortazione.

La bellezza liturgica

In primo luogo la sottolineatura della «bellezza intrinseca della liturgia» (n. 36) che «non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore» (n. 35). Su questo principio trovano fondamento le indicazioni del Papa in merito alla ricchezza dei segni liturgici (silenzio, paramenti, gesti: stare in piedi, in ginocchio… cfr. n. 40), all’arte posta al servizio della celebrazione (cfr. n. 41) – in merito si può anche ricordare quanto detto a proposito della collocazione del tabernacolo nelle Chiese (cfr. n. 69) -, e al canto liturgico. Tutti questi elementi sono fondamentali per lo sviluppo di quella catechesi mistagogica che l’Esortazione, sulla scia di quanto affermato dai Padri sinodali, ha proposto come strada «che porti i fedeli a addentrarsi sempre meglio nei misteri che vengono celebrati» (n. 64).

Il nesso ars celebrandi – actuosa participatio: indicazioni pratiche

La seconda considerazione che costituisce un notevole apporto per l’approfondimento dottrinale-liturgico dell’Eucaristia, riguarda la cosidetta ars celebrandi e il suo nesso intrinseco con l’actuosa participatio. Ci siamo già soffermati su questo argomento trattato in particolare dal n. 38 di Sacramentum Caritatis. Ora ci preme sottolineare alcune indicazioni dell’Esortazione tese a favorire questa participatio.

Il Santo Padre afferma che «l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana» (n. 52). Come si vede il riferimento è di nuovo all’unità articolata tra Mistero eucaristico, azione liturgica e nuovo culto spirituale. L’unità dei tre fattori appare evidente quando il Santo Padre descrive le condizioni personali per un’actuosa participatio (cfr. 55).

L’attiva partecipazione sarà inoltre favorita da un’ordinata inculturazione, che deve essere attuata «secondo le reali necessità della Chiesa, la quale vive e celebra il medesimo mistero di Cristo in situazioni culturali differenti» (n. 54). Le Conferenze Episcopali, d’accordo con la Santa Sede, si prenderanno cura di tale decisivo compito.

Sempre per favorire una partecipazione attiva più adeguata l’Esortazione si sofferma su taluni aspetti pastorali particolari – l’uso dei mezzi di comunicazione (cfr. n. 57); l’attenzione agli infermi e ai disabili (cfr. n. 58), ai carcerati (cfr. n. 59) e ai migranti (cfr. n. 60); le grandi concelebrazioni (cfr. n. 61) e le liturgie eucaristiche in piccoli gruppi (cfr. n. 63) – e propone un più normale ricorso alla lingua latina, soprattutto nelle grandi celebrazioni internazionali, senza trascurare il peso del canto gregoriano (cfr. n. 62). Non mancano inoltre precise indicazioni in merito alla partecipazione alle celebrazioni eucaristiche da parte dei cristiani non cattolici (cfr. n. 56) e anche di persone appartenenti ad altre religioni o non credenti (cfr. n. 50).

Su quanto questa actuosa partecipatio si esprima soprattutto nell’adorazione (cfr. nn. 66-69), e su come «l’ars celebrandi deve favorire il senso del sacro e l’utilizzo di quelle forme esteriori che educano a tale senso» (n. 40) abbiamo avuto già modo di soffermarci.

La struttura della Celebrazione eucaristica

La Seconda Parte dell’Esortazione vuole anche offrire un contributo in merito alla struttura della celebrazione eucaristica (cfr. nn. 43-51). Emerge un’altra volta l’importante coincidenza tra azione liturgica e rito. Solo un’adeguata prassi rituale esprime quell’ars celebrandi che rende possibile l’actuosa participatio. Innanzitutto il Papa richiama «l’unità intrinseca del rito della santa Messa» (n. 44), che si deve esprimere anche nel modo con cui viene curata la liturgia della Parola. Infatti «la Parola che annunciamo ed ascoltiamo è il Verbo fatto carne (cfr Gv 1,14) ed ha un intrinseco riferimento alla persona di Cristo e alla modalità sacramentale della sua permanenza» (n. 45). Anche l’omelia deve contribuire a mostrare la stretta relazione della Parola di Dio «con la celebrazione sacramentale e con la vita della comunità» (n. 46). Inoltre Benedetto XVI richiama la notevole valenza educativa per la vita della Chiesa, soprattutto nell’attuale frangente storico, della presentazione dei doni (cfr. n. 47), dello scambio della pace (cfr. n. 49) e dell’Ite missa est (cfr. n. 51). Il Santo Padre affida lo studio di possibili modifiche su questi due ultimi punti ai competenti Dicasteri. Infine Benedetto XVI insegna che «la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si contempla la profonda unità nell’anafora tra l’invocazione dello Spirito Santo e il racconto dell’istituzione» (n. 48).

3. Eucaristia, mistero da vivere

Nella Terza ed ultima parte l’Esortazione Apostolica (cfr. nn. 70-93) mostra la capacità del mistero creduto e celebrato di costituire l’orizzonte ultimo e definitivo dell’esistenza cristiana: «il mistero "creduto" e "celebrato" [possiede] in sé un dinamismo che ne fa principio di vita nuova in noi e forma dell’esistenza cristiana» (n. 70).

La rilevanza antropologica dell’Eucaristia

La riflessione della Terza Parte è in realtà già anticipata fin dall’inizio dell’Esortazione quando viene ribadita con forza la rilevanza antropologica dell’Eucaristia.

Con i tratti sobri ma incisivi che caratterizzano il suo insegnamento, Benedetto XVI riafferma, fin dalla prime righe dell’Esortazione, che il dono dell’Eucaristia è per l’uomo, risponde alle attese dell’uomo. Ovviamente di ogni uomo di ogni tempo, ma specificamente dell’uomo nostro contemporaneo: «Nel sacramento dell’altare, il Signore viene incontro all’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gn 1, 27), facendosi suo compagno di viaggio. In questo Sacramento, infatti, il Signore si fa cibo per l’uomo affamato di verità e di libertà» (n. 2). La scelta delle parole usate - cuore mendicante, verità e libertà (cfr. n. 2) – non è certo casuale. Del tutto estranei a qualunque fuga spiritualistica dal mondo e dalle circostanze in cui sono chiamati a vivere, i cristiani incontrano nella celebrazione eucaristica il Dio vivo e vero capace di salvare la loro vita. E questa salvezza ha come interlocutrice l’umana libertà. Il dono dell’Eucaristia, infatti, interpella originariamente la libertà dell’uomo e ne costituisce l’anticipo della definitiva liberazione. Richiamando un tratto assai suggestivo dell’antropologia di sant’Agostino, il Santo Padre ricorda che l’uomo è coinvolto in totale libertà nelle proprie azioni solo là dove il proprio desiderio costitutivo è messo in gioco: l’anima che cosa desidera più ardentemente della verità? Pertanto, «proprio perché Cristo si è fatto per noi cibo di Verità, la Chiesa si rivolge all’uomo, invitandolo ad accogliere liberamente il dono di Dio» (n. 2). Inoltre, affidando ai Suoi discepoli il memoriale del dono del Suo corpo e del Suo sangue, Gesù coinvolge la loro libertà nel Suo stesso rendimento di grazie al Padre, inaugurando così il nuovo culto a Dio, mediante il quale l’intera esistenza è posta sotto il segno della salvezza operata dal sacrificio di Cristo.

Logiké latreía e forma eucaristica dell’esistenza cristiana

La rilevanza antropologica dell’Eucaristia emerge con tutta la sua forza nel culto nuovo caratteristico del cristiano. Di grande profondità e bellezza sono i numeri dedicati dall’Esortazione alla logiké latreia, il culto spirituale (cfr. nn. 70-71), e alla forma eucaristica dell’esistenza cristiana (cfr. n. 76), un’espressione che ricompare molto spesso in questa Terza Parte (cfr. nn. 70, 71, 76, 77, 80, 82, 84). Il culto cristiano vi risplende in tutta la sua forza e novità. Sulla base dell’azione eucaristica ogni circostanza dell’esistenza diventa per così dire "sacramentale". Non c’è più separazione assoluta tra sacro e profano.

Il Mistero eucaristico rappresenta il fattore dinamico che trasfigura l’esistenza. Rigenerato dal battesimo e incorporato eucaristicamente alla Chiesa l’uomo può finalmente compiersi pienamente, imparando ad offrire il "proprio corpo" – cioè tutto se stesso - come sacrificio vivente santo e gradito a Dio (Rm 12, 1-2). «Non c’è nulla di autenticamente umano – pensieri ed affetti, parole ed opere - che non trovi nel sacramento dell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza. Qui emerge tutto il valore antropologico della novità radicale portata da Cristo con l’Eucaristia: il culto a Dio nell’esistenza umana non è relegabile ad un momento particolare e privato, ma per natura sua tende a pervadere ogni aspetto della realtà dell’individuo. Il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio. La gloria di Dio è l’uomo vivente (cfr 1Cor 10, 31). E la vita dell’uomo è la visione di Dio» (n. 71).

Appartenenza ecclesiale, evangelizzazione delle culture e vita come vocazione

«La forma eucaristica dell’esistenza cristiana è indubbiamente una forma ecclesiale e comunitaria» (n. 76).

Essa implica, inoltre, la possibilità di una cultura nuova, cioè di quel «rinnovamento di mentalità» (n. 77), capace di «confrontarsi con ogni realtà culturale, per fermentarla evangelicamente» (n. 78).

Questo rapporto con le culture degli uomini nasce dal fatto che «l’Eucaristia, come mistero da vivere, si offre a ciascuno di noi nella condizione in cui egli si trova, facendo diventare la sua situazione esistenziale luogo in cui vivere quotidianamente la novità cristiana» (n. 79). Questa è anche la ragione per cui il Santo Padre parla di «vita come vocazione» (n. 79). Tutti i fedeli cristiani sono chiamati a vivere la propria vita come vocazione sul solido fondamento dell’Eucaristia: i fedeli laici (cfr. n. 79), i sacerdoti (cfr. n. 80) e coloro che sono stati chiamati alla vita consacrata (cfr. n. 81). L’esistenza di ogni cristiano è vista da Sacramentum Caritatis come la risposta umile e lieta all’esaltante chiamata del Padre.

Trasformazione morale e coerenza eucaristica

Ogni fedele è pertanto chiamato ad una profonda trasformazione della propria esistenza. Afferma il Santo Padre: «La trasformazione morale implicata nel nuovo culto istituito da Cristo, è una tensione e un desiderio cordiale di voler corrispondere all’amore del Signore con tutto il proprio essere, pur nella consapevolezza della propria fragilità» (n. 82).

Rilievo particolare acquista in quest’ottica la responsabilità dei cristiani che ricoprono cariche pubbliche e politiche: «per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana. Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l’Eucaristia (cfr 1 Cor 11,27-29). I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato» (n. 83).

Testimonianza come forma della missione

Nell’offerta della propria vita si può identificare la sorgente permanente della testimonianza. Vivere il Mistero eucaristico significa anche essere introdotti ad una conoscenza nuova della realtà e ad una nuova coscienza della propria responsabilità. Ecco perché Benedetto XVI approfondisce la relazione tra Eucaristia e missione (cfr. n. 84) in termini di testimonianza: «La prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore» (n. 85). La testimonianza-missione – che non ha altro intento se non «portare Cristo» (n. 86) - diviene in tal modo la modalità con cui il mistero dell’Eucaristia documenta la fecondità dell’esistenza credente.

Benedetto XVI ci ricorda che «diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo» (n. 85).

Emblema ed archetipo di questa dinamica è la testimonianza del martire, culmine del nuovo culto spirituale gradito a Dio. Nel martire che dona la vita per testimoniare la verità dell’amore come significato esauriente della propria vita, l’Eucaristia si mostra in tutto il fulgore della sua verità. Non manca a questo proposito un riferimento alla libertà di culto e alla libertà religiosa (cfr. n. 87).

Implicazioni sociali e cosmologiche della forma eucaristica dell’esistenza cristiana

La forma eucaristica dell’esistenza cristiana riguarda ogni fedele battezzato, indipendentemente dallo stato di vita a cui egli è chiamato. Ecco perché l’Esortazione raccomanda vivamente a tutti, ma in particolare ai fedeli laici, di «coltivare il desiderio che l’Eucaristia incida sempre più profondamente nella loro esistenza quotidiana, portandoli ad essere testimoni riconoscibili nel proprio ambiente di lavoro e nella società tutta» (n. 79).

Parte integrante della forma eucaristica dell’esistenza cristiana è la capacità del sacramento memoriale della nostra salvezza di farci guardare alla storia e al mondo intero con occhi nuovi. In effetti, come ricorda Benedetto XVI, «nell’Eucaristia si rivela il disegno di amore che guida tutta la storia della salvezza (cfr. Ef 1, 10; 3, 8-11)» (n. 8). Le numerose e precise implicazioni sociali del Mistero eucaristico creduto, celebrato e vissuto, che il Papa elenca possono essere comprese proprio alla luce della missione testimoniale della fede (cfr. nn. 88-91).

L’Esortazione non esita ad affermare che «l’Eucaristia spinge ogni credente… a farsi "pane spezzato" per gli altri, e dunque ad impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno» (n. 88). Addirittura «è attraverso lo svolgimento concreto di questa responsabilità che l’Eucaristia diventa nella vita ciò che essa significa nella celebrazione» (n. 89). Ancora più forti si fanno le espressioni di Benedetto XVI in relazione alle situazioni di ingiustizia sociale, di violenze e guerre, di terrorismo, di corruzione e sfruttamento (cfr. n. 89) ed alla indigenza dell’uomo (cfr. n. 90). La Chiesa che vive dell’Eucaristia, soprattutto attraverso la responsabilità dei suoi fedeli laici, non può che essere presente nella storia e nella società in favore di ogni uomo, in particolare di chi a causa dell’ingiustizia e dell’egoismo di tanti, soffre l’indigenza, la fame e situazioni endemiche di malattia perché non ha accesso alle più elementari risorse alimentari e sanitarie. Gesù, cibo di verità – afferma l’Esortazione Apostolica - «ci spinge a denunciare le situazioni indegne dell’uomo, in cui si muore per mancanza di cibo a causa dell’ingiustizia e dello sfruttamento, e ci dona nuova forza e coraggio per lavorare senza sosta all’edificazione della civiltà dell’amore» (n. 90). La Dottrina Sociale della Chiesa è uno strumento prezioso per l’educazione alla giustizia e alla carità (cfr. n. 91).

Agli occhi della fede eucaristica il nesso tra Eucaristia e cosmo non è certo facoltativo. Del resto la stessa Celebrazione eucaristica implica l’offerta del pane e del vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo: «Nel rapporto tra l’Eucaristia e il cosmo, infatti, scopriamo l’unità del disegno di Dio e siamo portati a cogliere la profonda relazione tra la creazione e la "nuova creazione", inaugurata nella risurrezione di Cristo, nuovo Adamo» (n. 92). Il tema della salvaguardia del creato è sviluppato ed approfondito in relazione al disegno buono di Dio su tutta la creazione. La realtà non è mera materia neutrale alla mercè della manipolazione tecnico-scientifica, ma è voluta da Dio in vista della ricapitolazione in Cristo di tutte le cose. Da qui la responsabilità per la salvaguardia del creato propria del cristiano nutrito dell’Eucaristia.

IV. Il metodo eucaristico

Per concludere questo invito alla lettura dell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, vorrei riprendere una preziosa indicazione di metodo contenuta nell’insegnamento di Benedetto XVI.

Mi riferisco alla convinzione che nell'autenticità della fede e del culto eucaristico si trova il segreto di una ripresa della vita cristiana capace di rigenerare il Popolo di Dio. Nel mistero della divina Eucaristia si spalanca l’accesso alla realtà di Dio che è amore. Si dischiude la vera intelligenza della realtà.

In questa prospettiva «l’Eucaristia stessa getta una luce potente sulla storia umana e su tutto il cosmo» (n. 92). Ci troviamo di fronte ad una profonda prospettiva sacramentale – che riprende esplicitamente l’insegnamento del Servo di Dio Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio 13 (cfr. n. 45) - in cui «impariamo, giorno per giorno, che ogni evento possiede il carattere di segno, attraverso il quale Dio comunica se stesso e ci interpella. In tal maniera, la forma eucaristica dell’esistenza può davvero favorire un autentico cambiamento di mentalità nel modo con cui leggiamo la storia ed il mondo» (n. 92).

Dove è possibile contemplare la verità di queste affermazioni? Benedetto XVI lo dice con chiarezza nella Prima Parte e nella Conclusione dell’Esortazione Apostolica: «In Maria Santissima vediamo perfettamente attuata anche la modalità sacramentale con cui Dio raggiunge e coinvolge nella sua iniziativa salvifica la creatura umana» (n. 33). «Da Lei dobbiamo imparare a diventare noi stessi persone eucaristiche ed ecclesiali» (n. 96).

Il Mistero eucaristico fa così scoprire che ogni circostanza della vita è inscritta nell’orizzonte sacramentale. Cristo non cessa mai di bussare alla porta della nostra libertà perché abbiamo ad accoglierlo e a lasciarci trasformare dal Suo amore redentore.

«Vero amore è Gesù, e salute ne dà a chi segue virtù». Gesù, infatti, ama veramente perché ama per primo senza nulla attendere in cambio, ed ama in ogni istante come se fosse l’ultimo.

[Modificato da TERESA BENEDETTA 13/03/2007 14.59]

TERESA BENEDETTA
00martedì 13 marzo 2007 14:55
CONFERENZA STAMPA SULL'ESORTAZIONE APOSTOLICA - II
L'intervento del Mons. Nikola Eterovic ci da uno sfondo informativo sul Sinodo e l'Esortazione. L'intervento del Cardinale Angelo Scola, una sintesi dell'Esortazione, appare nella pagina precedente:

INTERVENTO DI S.E. MONS. NIKOLA ETEROVIC

Esperienza di comunione ecclesiale

Il Signore Gesù diede ai suoi discepoli una regola d’oro nel valutare il risultato delle attività degli uomini: "non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto" (Lc 43-44).

Quest’espressione di Gesù Cristo viene spontaneamente in mente nella felice occasione della presentazione dell’Esortazione Apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis. Il Documento che il Santo Padre Benedetto XVI ha firmato il 22 febbraio corrente, festa della Cattedra di San Pietro, è in verità un frutto buono, maturato durante un lungo periodo di preghiera, di dialogo, di riflessione, di discussione, nell’attento ascolto a quanto lo Spirito Santo dice oggi alle Chiese (cf Ap 2, 7), i cui rappresentanti, successori degli Apostoli, si sono radunati a Roma, dal 2 al 23 ottobre 2005, nell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, sotto la presidenza del Santo Padre Benedetto XVI, Successore di San Pietro Apostolo, Vescovo di Roma e Pastore universale della Chiesa.

All’assise sinodale hanno partecipato, a vari titoli, anche i rappresentanti della vita consacrata e della vita apostolica, dei laici Uditori ed Uditrici, come pure un certo numero di Delegati fraterni, membri delle Chiese e comunità cristiane che non sono tuttora in piena comunione con la Chiesa Cattolica.

Tutti loro hanno vissuto un’esperienza forte di comunione con Dio e tra i fratelli e sorelle che, pervenuti dai cinque continenti, appartenevano a varie razze, parlavano numerose lingue, avevano sensibilità assai diversa. Tutti, però, erano profondamente uniti, coscienti che la diversità di carismi, di ministeri e di operazioni proveniva da un’unica fonte, da un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo (cfr 1 Cor 12, 4-6) e che era orientata ad un solo bene, all’unità della santa Chiesa di Dio (cf Gv 17,21). Tale dimensione spirituale di comunione è stata il sottofondo su cui si è svolta l’assise sinodale. Essa rimane come un tesoro prezioso per tutti coloro che vi hanno preso parte, anche se non è facile quantificarlo e indicarlo con connotazioni troppo tangibili. Il clima di profonda comunione ecclesiale, però, si percepisce dall’Esortazione Apostolica postsinodale che, pertanto, può essere presentata come frutto maturo del lungo iter sinodale.

Preparazione dell’XI Assemblea Generale Ordinaria

Il processo sinodale incominciò in modo intenso dopo che il 12 febbraio 2004 fu dato l’annuncio pubblico che il Servo di Dio Giovanni Paolo II aveva scelto, in vista dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, il tema L’Eucaristia: fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. Il X Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, aiutato da alcuni validi esperti, aveva pertanto incominciato a studiare il tema, gli aspetti dottrinali e pastorali di attualità, per preparare i Lineamenta, documento che ha per scopo di presentare in breve lo status quaestionis dell’argomento delle riflessioni sinodali, per suscitarne una vasta discussione a livello della Chiesa universale. Secondo gli Statuti dell’Ordo Synodi Episcoporum, che riflettono la struttura gerarchica della Chiesa, i privilegiati interlocutori sono gli organismi collegiali: Sinodi delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, Conferenze Episcopali, Dicasteri della Curia Romana, Unione dei Superiori Generali. Essi sono chiamati a favorire una profonda discussione negli ambiti della loro giurisdizione, raccoglierne i risultati e trasmetterli alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Ovviamente, sono possibili contributi dei singoli membri del Popolo di Dio. I Lineamenta sono stati inoltrati agli interessati verso Pasqua 2004 e sono serviti per favorire la discussione sull’Eucaristia, in seno a tutte le forze vive a livello delle Chiese particolari. Dal punto di vista pratico, grande importanza ha avuto il Questionario con cui si chiudeva il documento, il quale aveva lo scopo di facilitare l’approfondimento sui singoli aspetti del tema, sulla percezione del mistero eucaristico, sulla sua celebrazione e sulle conseguenze nella vita ecclesiale e sociale.

Entro la fine dell’anno 2004, gli organismi interpellati hanno inviato le loro risposte, assai numerose, raggiungendo il 95 % sul totale degli interpellati. Dopo un approfondito studio, esse sono state ordinate in quattro capitoli dell’Instrumentum laboris: I) Eucaristia e mondo attuale; II) Fede della Chiesa nel mistero dell’Eucaristia; III) Eucaristia nella vita della Chiesa e IV) Eucaristia nella missione della Chiesa. Tale lavoro è stato fatto dal Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, con l’aiuto di alcuni esperti. Il documento è stato pubblicato all’inizio dell’anno 2005 e ampiamente diffuso. Esso era, però, di particolare interesse soprattutto per coloro che dovevano intervenire nell’assemblea sinodale dato che si trattava in realtà dell’ordine del giorno della medesima.

L’Istrumentum laboris rifletteva la prassi eucaristica presso le Chiese particolari. Le informazioni erano prevalentemente positive e consolanti, anche se non mancavano segnalazioni di talune deficienze, lacune o abusi da colmare e superare nella celebrazione del sublime sacramento dell’altare, nello spirito di umile accettazione del grande dono di Dio Amore e di profonda adorazione che poi necessariamente deve rispecchiarsi sulla vita eucaristica di ogni fedele e dell’intera comunità nella vita ecclesiale e sociale attuale.

Lavoro in seno all’Assemblea Sinodale

È stato, poi, compito dell’Em.mo Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia, in qualità di Relatore Generale, indicare nella Relatio ante disceptationem gli aspetti salienti dell’Istrumentum laboris, risultato di un’ampia consultazione ecclesiale, e delineare alcuni temi principali da discutere e da approfondire tenendo conto della grande Tradizione della Chiesa Cattolica e delle mutevoli condizioni sociali in cui vive ed opera l’uomo contemporaneo. Sono dunque seguiti numerosi interventi dei padri sinodali, istituzionalmente 232, senza contare gli interventi liberi. Hanno potuto intervenire anche gli Uditori e le Uditrici come pure i Delegati fraterni. Aiutato dall’Ecc.mo Mons. Segretario Speciale e da alcuni esperti, l’Em.mo Relatore Generale ha raccolto il ricco contributo degli interventi nella Relatio post disceptationem. Il testo ha potuto essere discusso in 12 circoli minori, gruppi di studio, divisi secondo le 5 lingue del Sinodo: italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo-portoghese. Essi hanno formulato numerosi suggerimenti che sono poi confluiti nelle 50 Proposizioni su cui i membri dell’assemblea sinodale, dopo un’ulteriore discussione, apportandovi notevoli miglioramenti, si sono pronunciati per mezzo di una votazione personale. Tali Proposizioni sono state consegnate al Santo Padre Benedetto XVI con preghiera di prenderle in considerazione per un’auspicabile redazione del Documento, generalmente denominato Esortazione Apostolica postsinodale, da destinare a tutta la Chiesa Cattolica.

Contributo del Santo Padre Benedetto XVI

Il Santo Padre Benedetto XVI è stato eletto all’ufficio di Vescovo di Roma e Pastore universale della Chiesa il 19 aprile 2005, dopo che il Signore della vita aveva chiamato a sé, il 2 aprile 2005, il Servo di Dio Giovanni Paolo II che aveva indetto la celebrazione dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Il nuovo Pontefice doveva pronunciarsi in merito. Sua Santità Benedetto XVI lo ha fatto con sollecitudine già il 12 maggio, riconfermando la convocazione dell’assise sinodale dal 2 al 23 ottobre 2005. Al contempo, ha indicato alcune modifiche concernenti il tempo e la metodologia della celebrazione. Le principali riguardavano la durata dell’assemblea sinodale di 3 settimane invece di 4, come era abituale, e l’introduzione di un’ora di interventi liberi al termine delle sessioni generali quotidiane, per favorire una discussione più vivace. Riconfermando la validità dell’esperienza sinodale e inserendosi nella continuità, Sua Santità Benedetto XVI ha voluto imprimervi un suo tocco innovativo, risultato anche della sua grande esperienza di padre sinodale.

Il Santo Padre ha seguito molto da vicino lo svolgimento dell’Assemblea sinodale, partecipando a tutti i momenti salienti. In qualità di Presidente del Sinodo dei Vescovi egli ha presieduto le Sante Messe di apertura e di chiusura dell’assise sinodale, pronunciando omelie ricche di contenuto sul sublime mistero dell’Eucaristia, fonte permanente della santità e della missione della Chiesa. Al raduno dei Vescovi Sua Santità ha dedicato la riflessioni di alcuni Angelus e la catechesi rivolta ai Bambini della Prima comunione. Il gesto assai eloquente è stata l’adorazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, presieduta dal Papa Benedetto XVI in silenzioso raccoglimento, insieme con i padri sinodali e il popolo fedele di Roma pervenuti per mostrare la grande venerazione verso il Signore risorto, presente sotto le povere specie del pane e del vino nel cuore della sua Chiesa.

Di particolare importanza sono stati due interventi del Santo Padre all’interno dell’aula sinodale. Col primo ha introdotto la meditazione dell’Ora media che ogni mattina precedeva i lavori. Con il secondo ha fatto uno splendido contributo sul rapporto tra il pasto tradizionale ebraico e il banchetto eucaristico istituito da Gesù Cristo nell’ultima cena e affidato alla Chiesa fino alla fine dei tempi.

Il Sommo Pontefice aveva ereditato anche l’Anno dell’Eucaristia, proclamato dal suo predecessore, Giovanni Paolo II con la conclusione del Congresso Eucaristico Internazionale di Guadalajara, Messico, il 17 ottobre 2004. Esso doveva concludersi con la celebrazione dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata appunto al mistero dell’Eucaristia. L’Anno dell’Eucaristia era un evento provvidenziale che ha avuto notevoli influssi positivi sul Sinodo dei Vescovi. I padri sinodali si sentivano in comunione con tutta la comunità ecclesiale viva che pregava per loro, adorando lo stesso Mistero su cui i membri dell’assemblea sinodale stavano discutendo in un clima di fede, di speranza e di carità. Inoltre, il Santo Padre Benedetto XVI ha avuto modo di pronunciare numerose omelie ed interventi sul sublime sacramento dell’altare soprattutto durante l’Anno dell’Eucaristia. Si è trattato di un ricco patrimonio dottrinale, pastorale e spirituale che è confluito anche nell’Esortazione Apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis. Tale processo ha oltrepassato i limiti dell’Anno dell’Eucaristia, come lo dimostrano, per esempio, le numerose citazioni della prima enciclica Deus caritas est, che il Santo Padre ha pubblicato il 25 dicembre 2005.

Pertanto, la Sacramentum Caritatis è un esempio di collaborazione collegiale nella redazione di un Documento di così grande importanza. Si tratta di una Esortazione Apostolica postsinodale in quanto raccoglie molteplici contributi dell’ultima assise sinodale. Oltre alle Relatio ante e post disceptationem, occorre ricordare anche il Messaggio al Popolo di Dio, le Relazioni di 12 gruppi di studio e soprattutto le 50 Proposizioni che sono confluite nella Sacramentum Caritatis. Tale abbondante materiale era stato studiato e elaborato dall’XI Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, con l’aiuto di alcuni esperti, e portato al Santo Padre con preghiera, fatta dai padri sinodali, di farne un documento per il bene della Chiesa universale. Come è facile vedere, Sua Santità ha accettato tale proposta, servendosi abbondantemente del materiale sinodale a cui ha impresso il carisma petrino proprio, arricchendolo con le proprie riflessioni sul tema dell’Eucaristia, del sacerdozio e della carità fraterna che ne scaturisce verso tutti, soprattutto verso i più poveri. Diventa logico affermare che la Sacramentum Caritatis rappresenta un frutto maturo dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi e della esemplare collaborazione tra i membri del collegiale episcopale, tra loro e con il loro Capo, il Vescovo di Roma. Il Sinodo dei Vescovi è l’ambiente propizio in cui tale collaborazione si può svolgere nella fruttuosa comunione ecclesiale che permette l’esercizio della collegialità episcopale affettiva ed effettiva.

Sacramentum caritatis punto di partenza

L’Esortazione Apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis continua la serie dei grandi documenti sul sublime sacramento dell’Eucaristia come sono, per esempio, quelli del Servo di Dio Giovanni Paolo II Ecclesia de Eucharistia e Mane nobiscum Domine. La Sacramentum Caritatis si situa in tale continuità e al contempo ripropone in modo aggiornato alcune verità essenziali della dottrina eucaristica, esortando ad una dignitosa celebrazione del sacro rito, ricordando l’urgente necessità di svolgere una vita eucaristica nella vita di ogni giorno, annunciando le bellezze inimmaginabili del nostro Dio che per amore vuole restare in mezzo a noi sotto le specie del pane e del vino, come fonte e culmine della vita e della missione della sua Chiesa.

La pubblicazione dell’Esortazione Apostolica postsinodale nel cuore della Quaresima permette di mettere in pratica l’auspicio che il Santo Padre ha formulato nel Messaggio per la Quaresima 2007 e cioè di vivere "la Quaresima come un tempo "eucaristico", nel quale, accogliendo l’amore di Gesù, impariamo a diffonderlo attorno a noi con ogni gesto e parola". Tale processo, incominciato in Quaresima, è destinato a prolungarsi non solamente durante l’anno liturgico bensì anche durante tutta la vita di ogni fedele inserito nella comunità ecclesiale.

Ai fedeli e agli uomini di buona volontà pertanto non resta altro da fare che seguire l’esempio di Maria, Donna Eucaristica, e cioè di vivere di tale grande mistero e di annunciarlo a parole e soprattutto con l’esempio della vita. In tale prospettiva la Sacramentum Caritatis ha un futuro promettente perché ripropone l’essenza della vita cristiana, sorgente della santità e della missione per tutti i tempi, incluso il momento attuale. Non vi è dubbio che il Popolo di Dio, guidato dai propri Pastori, attingerà a mani piene da questo Documento che, presentando in modo accessibile all’uomo contemporaneo le grandi verità sulla fede eucaristica, tratta vari aspetti di attualità nella sua celebrazione ed esorta ad un rinnovato impegno nella costruzione di un mondo più giusto e pacifico in cui il Pane spezzato per la vita di tutti divenga sempre di più causa esemplare nella lotta contro la fame e contro ogni specie di povertà che al contempo grida alle orecchie del Signore degli eserciti (cf Gc 5, 4) e degrada la dignità dell’uomo creato ad immagine di Dio (cf Gn 1, 26-27).

Nella Divina provvidenza il frutto di un albero buono è dato agli uomini per mangiarlo e per nutrisi. Analogicamente è auspicabile che anche la Sacramentum Caritatis, frutto maturo dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, diventi un cibo gustoso, saporito e nutriente per la vita spirituale dei membri della Chiesa Cattolica in tutta la sua ricchezza di sacrificio, banchetto e pegno della gloria futura, di cui ne possano godere sempre di più anche i membri di Chiese e comunità cristiane, di altre religioni e pure tutti gli uomini di buona volontà.

[Modificato da TERESA BENEDETTA 13/03/2007 14.56]

[Modificato da TERESA BENEDETTA 13/03/2007 14.56]

Ratzigirl
00sabato 26 maggio 2007 19:58
Da Zenit

Il Documento finale di Aparecida verrà pubblicato a luglio o agosto

Prima sarà rivisto da Benedetto XVI


Il Documento finale della V Conferenza Generale dellEpiscopato Latinoamericano e del Caribe verrà pubblicato probabilmente nei mesi di luglio o agosto, hanno spiegato questo giovedì fonti autorizzate.

Il Direttore della Sala Stampa della Conferenza, monsignor Jorge Lozano, Vescovo di Gualeguaychú (Argentina), ha spiegato che il testo, che avrà lapprovazione di Benedetto XVI, non verà reso noto il 31 maggio.

L11 giugno in udienza verrà consegnato al Papa, e uno o due mesi dopo verrà reso noto, ha aggiunto il presule.

Ovviamente, ha spiegato, verrà redatto entro il 31 maggio, data di conclusione della Conferenza di Aparecida, ma non avrà forma pubblica.

La Conferenza, ha detto, si concluderà con un messaggio finale dellAssemblea per i popoli dellAmerica Latina.

Questo giovedì, i presuli partecipanti hanno rivisto e studiato la prima bozza del documento finale per tutto il giorno e alla fine avevano previsto di mettere per iscritto le variazioni ritenute necessarie.

I Vescovi hanno avuto a disposizione questa mattina il testo della prima redazione del documento finale, al quale la Commissione di Redazione ha lavorato fino a notte fonda. Tenete conto che è previsto che ci siano quattro redazioni, per cui siamo nella prima fase, ha precisato ai giornalisti il presule argentino.

Questo giovedì sera i Vescovi si sono potuti prenotare per intervenire oralmente lindomani nella prima sessione.

Nella seconda, nella terza e nella quarta sessione del mattino le commissioni e le sottocommissioni lavoreranno perché la Commissione di Redazione prepari una seconda bozza, ha indicato.

Il Vescovo argentino ha spiegato che questa riunione episcopale non è una camera legislativa di un Paese determinato. Si danno orientamenti pastorali che non sono di applicazione immediata. Le nostre comunità li aspettano con ansia, ma limplementazione è progressiva.

Non è nemmeno un vertice di Presidenti di una regione. Non si riuniscono (i Vescovi) per firmare un testo scritto mesi prima da alcuni collaboratori; si richiede un clima di studio, riflessione, dialogo sereno e discernimento, ha spiegato.
Paparatzifan
00sabato 30 giugno 2007 22:39
Lettera del Santo Padre alla Chiesa in Cina - Parte I

LETTERA DEL SANTO PADRE

BENEDETTO XVI

AI VESCOVI, AI PRESBITERI
ALLE PERSONE CONSACRATE
E AI FEDELI LAICI
DELLA CHIESA CATTOLICA
NELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE
BENEDETTO XVI

AI VESCOVI, AI PRESBITERI
ALLE PERSONE CONSACRATE
E AI FEDELI LAICI
DELLA CHIESA CATTOLICA
NELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE




Saluto

1. Venerati confratelli Vescovi, carissimi presbiteri, persone consacrate e fedeli tutti della Chiesa cattolica in Cina, « noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, per le notizie ricevute circa la vostra fede in Cristo Gesù, e la carità che avete verso tutti i santi, in vista della speranza che vi attende nei cieli. [...] Non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che abbiate una piena conoscenza della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; rafforzandovi con ogni energia secondo la sua gloriosa potenza per poter essere forti e pazienti in tutto » (Col 1, 3-5.9-11).

Queste parole dell'Apostolo Paolo sono quanto mai appropriate per dare voce ai sentimenti che, come Successore di Pietro e Pastore universale della Chiesa, nutro nei vostri confronti. Voi sapete bene quanto siete presenti nel mio cuore e nella mia preghiera quotidiana e quanto è profondo il rapporto di comunione che ci unisce spiritualmente.

Scopo della Lettera

2. Desidero, pertanto, far giungere a tutti voi le espressioni della mia fraterna vicinanza. Intensa è la gioia per la vostra fedeltà a Cristo Signore e alla Chiesa, fedeltà che avete manifestato « a volte anche a prezzo di gravi sofferenze »,1 poiché « per Cristo vi è stato dato il dono non solo di credere in lui, ma anche di patire per lui » (Fil 1, 29). Tuttavia, non manca la preoccupazione per alcuni importanti aspetti della vita ecclesiale nel vostro Paese.

Senza pretendere di trattare ogni particolare di complesse problematiche da voi ben conosciute, con questa Lettera vorrei offrire alcuni orientamenti in merito alla vita della Chiesa e all'opera di evangelizzazione in Cina, per aiutarvi a scoprire ciò che da voi vuole il Signore e Maestro, Gesù Cristo, « la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana ».2

PRIMA PARTE

SITUAZIONE DELLA CHIESA

ASPETTI TEOLOGICI

Globalizzazione, modernità e ateismo

3. Volgendo un attento sguardo al vostro Popolo, che si è distinto fra gli altri popoli dell'Asia per lo splendore della sua millenaria civiltà, con tutta la sua esperienza sapienziale, filosofica, scientifica e artistica, mi piace rilevare come, specialmente negli ultimi tempi, esso si sia anche proiettato verso il raggiungimento di significative mete di progresso economico-sociale, attirando l'interesse del mondo intero.

Come già sottolineava il mio venerato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, anche « la Chiesa cattolica, da parte sua, guarda con rispetto a questo sorprendente slancio e a questa lungimirante progettazione di iniziative ed offre con discrezione il proprio contributo nella promozione e nella difesa della persona umana, dei suoi valori, della sua spiritualità e della sua vocazione trascendente. Alla Chiesa stanno particolarmente a cuore valori ed obiettivi che sono di primaria importanza anche per la Cina moderna: la solidarietà, la pace, la giustizia sociale, il governo intelligente del fenomeno della globalizzazione ».3

La tensione verso il desiderato e necessario sviluppo economico e sociale, e la ricerca di modernità sono accompagnate da due fenomeni diversi e contrapposti ma da valutare ugualmente con prudenza e con positivo spirito apostolico. Da una parte, si nota, specie tra i giovani, un crescente interesse per la dimensione spirituale e trascendente della persona umana, con il conseguente interesse per la religione, particolarmente per il cristianesimo. Dall'altra parte, si avverte, anche in Cina, la tendenza al materialismo e all'edonismo, che dalle grandi città si stanno diffondendo all'interno del Paese.4

In questo contesto, in cui siete chiamati ad operare, desidero ricordarvi quanto il Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato con voce forte e vigorosa: la nuova evangelizzazione esige l'annuncio del Vangelo 5 all'uomo moderno, con la consapevolezza che, come durante il primo millennio cristiano la Croce fu piantata in Europa e durante il secondo in America e in Africa, così durante il terzo millennio una grande messe di fede sarà raccolta nel vasto e vitale continente asiatico.6

« Duc in altum (Lc 5, 4). Questa parola risuona oggi per noi, e ci invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro: Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre! (Eb 13, 8) ».7 Anche in Cina la Chiesa è chiamata ad essere testimone di Cristo, a guardare in avanti con speranza e a misurarsi  nell'annuncio del Vangelo  con le nuove sfide che il Popolo cinese deve affrontare.

La Parola di Dio ci aiuta, ancora una volta, a scoprire il senso misterioso e profondo del cammino della Chiesa nel mondo. Infatti, « una delle principali visioni dell'Apocalisse ha per oggetto [l']Agnello nell'atto di aprire un libro, prima chiuso con sette sigilli che nessuno era in grado di sciogliere. Giovanni è addirittura presentato nell'atto di piangere, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo (cfr Ap 5, 4). La storia rimane indecifrabile, incomprensibile. Nessuno può leggerla. Forse questo pianto di Giovanni davanti al mistero della storia così oscuro esprime lo sconcerto delle Chiese asiatiche per il silenzio di Dio di fronte alle persecuzioni a cui erano esposte in quel momento. È uno sconcerto nel quale può ben riflettersi il nostro sbigottimento di fronte alle gravi difficoltà, incomprensioni e ostilità che pure oggi la Chiesa soffre in varie parti del mondo. Sono sofferenze che la Chiesa certo non si merita, così come Gesù stesso non meritò il suo supplizio. Esse però rivelano sia la malvagità dell'uomo, quando si abbandona alle suggestioni del male, sia la superiore conduzione degli avvenimenti da parte di Dio ».8

Oggi, come ieri, annunciare il Vangelo significa annunciare e testimoniare Gesù Cristo crocifisso e risorto, l'Uomo nuovo, vincitore del peccato e della morte. Egli permette agli esseri umani di entrare in una nuova dimensione, dove la misericordia e l'amore rivolto anche al nemico testimoniano la vittoria della Croce su ogni debolezza e miseria umana. Anche nel vostro Paese, l'annuncio di Cristo crocifisso e risorto sarà possibile nella misura in cui con fedeltà al Vangelo, nella comunione con il Successore dell'Apostolo Pietro e con la Chiesa universale, saprete realizzare i segni dell'amore e dell'unità (« come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. [...] Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato »: Gv 13, 34-35; 17, 21).

Disponibilità a un dialogo rispettoso e costruttivo

4. Come Pastore universale della Chiesa, desidero manifestare viva riconoscenza al Signore per la sofferta testimonianza di fedeltà, offerta dalla comunità cattolica cinese in circostanze veramente difficili. Nello stesso tempo sento, come mio intimo ed irrinunciabile dovere e come espressione del mio amore di padre, l'urgenza di confermare nella fede i cattolici cinesi e di favorire la loro unità con i mezzi che sono propri della Chiesa.

Seguo con particolare interesse anche le vicende di tutto il Popolo cinese, verso il quale nutro un vivo apprezzamento e sentimenti di amicizia, sino a formulare l'auspicio « di vedere presto instaurate vie concrete di comunicazione e di collaborazione fra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese », poiché « l'amicizia si nutre di contatti, di condivisione di sentimenti nelle situazioni liete e tristi, di solidarietà, di scambio di aiuto ».9 Ed è in tale prospettiva che il mio venerato Predecessore aggiungeva: « Non è un mistero per nessuno che la Santa Sede, a nome dell'intera Chiesa cattolica e  credo  a vantaggio di tutta l'umanità, auspica l'apertura di uno spazio di dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del Popolo cinese e per la pace nel mondo ».10

Sono consapevole che la normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Popolare Cinese richiede tempo e presuppone la buona volontà delle due Parti. Dal canto suo, la Santa Sede rimane sempre aperta alle trattative, necessarie per superare il difficile momento presente.

Questa pesante situazione di malintesi e di incomprensione, infatti, non giova né alle Autorità cinesi né alla Chiesa cattolica in Cina. Come ha dichiarato il Papa Giovanni Paolo II ricordando quanto padre Matteo Ricci scriveva da Pechino,11 « anche la Chiesa cattolica di oggi non chiede alla Cina e alle sue Autorità politiche nessun privilegio, ma unicamente di poter riprendere il dialogo, per giungere a una relazione intessuta di reciproco rispetto e di approfondita conoscenza ».12 Lo sappia la Cina: la Chiesa cattolica ha il vivo proposito di offrire, ancora una volta, un umile e disinteressato servizio, in ciò che le compete, per il bene dei cattolici cinesi e per quello di tutti gli abitanti del Paese.

Per quanto concerne poi i rapporti tra la comunità politica e la Chiesa in Cina, giova ricordare l'illuminante insegnamento del Concilio Vaticano II che dichiara: « La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, non si identifica in nessun modo con la comunità politica e non è legata a nessun sistema politico, è ad un tempo segno e tutela della trascendenza della persona umana ». E così continua: « Nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra. Però tutte e due, sebbene a titolo diverso, sono al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe coltivano una sana collaborazione tra di loro, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo ».13

Pertanto, anche la Chiesa cattolica che è in Cina ha la missione non di cambiare la struttura o l'amministrazione dello Stato, bensì di annunziare agli uomini il Cristo, Salvatore del mondo, appoggiandosi  nel compimento del proprio apostolato  sulla potenza di Dio. Come ricordavo nella mia Enciclica Deus caritas est, « la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare. La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l'adoperarsi per la giustizia lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente ».14

Alla luce di questi irrinunciabili principi, la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili; nello stesso tempo, però, non è accettabile un'arrendevolezza alle medesime quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa. Le Autorità civili sono ben consapevoli che la Chiesa, nel suo insegnamento, invita i fedeli ad essere buoni cittadini, collaboratori rispettosi e attivi del bene comune nel loro Paese, ma è altresì chiaro che essa chiede allo Stato di garantire ai medesimi cittadini cattolici il pieno esercizio della loro fede, nel rispetto di un'autentica libertà religiosa.

Comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale

5. Chiesa cattolica in Cina, piccolo gregge presente ed operante nella vastità di un immenso Popolo che cammina nella storia, come risuonano incoraggianti e provocanti per te le parole di Gesù: « Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno » (Lc 12, 32)! « Voi siete il sale della terra, [...] la luce del mondo »: perciò « risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli » (Mt 5, 13.14.16).

Nella Chiesa cattolica che è in Cina si fa presente la Chiesa universale, la Chiesa di Cristo, che nel Simbolo confessiamo una, santa, cattolica ed apostolica, vale a dire l'universale comunità dei discepoli del Signore.

Come voi sapete, la profonda unità, che lega fra di loro le Chiese particolari esistenti in Cina e che le pone in intima comunione anche con tutte le altre Chiese particolari sparse per il mondo, è radicata, oltre che nella stessa fede e nel comune Battesimo, soprattutto nell'Eucaristia e nell'Episcopato.15 E l'unità dell'Episcopato, di cui « il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento »,16 continua lungo i secoli mediante la successione apostolica ed è fondamento anche dell'identità della Chiesa di ogni tempo con la Chiesa edificata da Cristo su Pietro e sugli altri Apostoli.17

La dottrina cattolica insegna che il Vescovo è principio e fondamento visibile dell'unità nella Chiesa particolare, affidata al suo ministero pastorale.18 Ma in ogni Chiesa particolare, affinché essa sia pienamente Chiesa, deve essere presente la suprema autorità della Chiesa, vale a dire il Collegio episcopale insieme con il suo Capo il Romano Pontefice, e mai senza di esso. Pertanto il ministero del Successore di Pietro appartiene all'essenza di ogni Chiesa particolare dal « di dentro ».19 Inoltre, la comunione di tutte le Chiese particolari nell'unica Chiesa cattolica e, quindi, l'ordinata comunione gerarchica di tutti i Vescovi, successori degli Apostoli, con il Successore di Pietro, sono garanzia dell'unità della fede e della vita di tutti i cattolici. È perciò indispensabile, per l'unità della Chiesa nelle singole nazioni, che ogni Vescovo sia in comunione con gli altri Vescovi, e che tutti siano in comunione visibile e concreta con il Papa.

Nessuno nella Chiesa è straniero, ma tutti sono cittadini dello stesso Popolo, membri dello stesso Corpo Mistico di Cristo. Vincolo di comunione sacramentale è l'Eucaristia, garantita dal ministero dei Vescovi e dei presbiteri.20

Tutta la Chiesa che è in Cina è chiamata a vivere e a manifestare questa unità in una più ricca spiritualità di comunione, che, tenendo conto delle complesse situazioni concrete in cui la comunità cattolica si trova, cresca anche in un'armonica comunione gerarchica. Pertanto, Pastori e fedeli sono chiamati a difendere e a salvaguardare ciò che appartiene alla dottrina e alla tradizione della Chiesa.

Tensioni e divisioni all'interno della Chiesa: perdono e riconciliazione

6. Rivolgendosi a tutta la Chiesa con la Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, il mio venerato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, affermava che un « grande ambito in cui occorrerà esprimere un deciso impegno programmatico, a livello di Chiesa universale e di Chiese particolari, [è] quello della comunione (koinonía) che incarna e manifesta l'essenza stessa del mistero della Chiesa. La comunione è il frutto e la manifestazione di quell'amore che, sgorgando dal cuore dell'eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona (cfr Rm 5, 5), per fare di tutti noi un cuore solo e un'anima sola (At 4, 32). È realizzando questa comunione di amore che la Chiesa si manifesta come sacramento, ossia segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano. Le parole del Signore, a questo proposito, sono troppo precise per poterne ridurre la portata. Tante cose, anche nel nuovo secolo, saranno necessarie per il cammino storico della Chiesa; ma se mancherà la carità (agape), tutto sarà inutile. È lo stesso apostolo Paolo a ricordarcelo nell'inno alla carità: se anche parlassimo le lingue degli uomini e degli angeli, e avessimo una fede da trasportare le montagne, ma poi mancassimo della carità, tutto sarebbe nulla (cfr 1 Cor 13, 2). La carità è davvero il cuore della Chiesa ».21

Queste indicazioni, che riguardano la natura stessa della Chiesa universale, hanno un particolare significato per la Chiesa che è in Cina. A voi, infatti, non sfuggono i problemi, che essa sta affrontando per superare  al suo interno e nei suoi rapporti con la società civile cinese  tensioni, divisioni e recriminazioni.

A questo proposito, già l'anno scorso, parlando della Chiesa nascente, ebbi modo di ricordare che « la comunità dei discepoli conosce fin dagli inizi non solo la gioia dello Spirito Santo, la grazia della verità e dell'amore, ma anche la prova, costituita soprattutto dai contrasti circa le verità di fede, con le conseguenti lacerazioni della comunione. Come la comunione dell'amore esiste sin dall'inizio e vi sarà fino alla fine (cfr 1 Gv 1, 1ss), così purtroppo fin dall'inizio subentra anche la divisione. Non dobbiamo meravigliarci che essa esista anche oggi [...]. Quindi c'è sempre il pericolo, nelle vicende del mondo e anche nelle debolezze della Chiesa, di perdere la fede, e così anche di perdere l'amore e la fraternità. È quindi un preciso dovere di chi crede alla Chiesa dell'amore e vuol vivere in essa, riconoscere anche questo pericolo ».22

La storia della Chiesa ci insegna, poi, che non si esprime un'autentica comunione senza un travagliato sforzo di riconciliazione.23 Infatti, la purificazione della memoria, il perdono di chi ha fatto del male, la dimenticanza dei torti subiti e la rappacificazione dei cuori nell'amore, da realizzare nel nome di Gesù crocifisso e risorto, possono esigere il superamento di posizioni o visioni personali, nate da esperienze dolorose o difficili, ma sono passi urgenti da compiere per accrescere e manifestare i legami di comunione tra i fedeli e i Pastori della Chiesa in Cina.

Perciò, già il mio venerato Predecessore vi aveva rivolto, a più riprese, un pressante invito al perdono e alla riconciliazione. Al riguardo, mi piace richiamare un passo del messaggio che egli vi inviò all'approssimarsi dell'Anno Santo del 2000: « Preparandovi alla celebrazione del Grande Giubileo, ricordate che nella tradizione biblica un tale momento ha sempre portato con sé l'obbligo di condonare i debiti gli uni agli altri, di riparare le ingiustizie commesse e di riconciliarsi con il vicino. Anche a voi è stata annunciata la grande gioia preparata per tutti i popoli: l'amore e la misericordia del Padre, la Redenzione operata in Cristo. Nella misura in cui voi stessi sarete disponibili ad accettare tale gioioso annuncio, potrete trasmetterlo, con la vostra vita, a tutti gli uomini e le donne che vi sono accanto. E il mio desiderio più ardente è che assecondiate gli interiori suggerimenti dello Spirito Santo perdonandovi gli uni gli altri tutto ciò che deve essere perdonato, avvicinandovi l'uno all'altro, accettandovi reciprocamente, superando le barriere per andare al di là di tutto ciò che può dividervi. Non dimenticate la parola di Gesù durante l'Ultima Cena: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 35). Ho appreso con gioia che volete offrire, come dono più prezioso per la celebrazione del Grande Giubileo, l'unità tra di voi e con il Successore di Pietro. Un tale proposito non può che essere frutto dello Spirito, che conduce la Sua Chiesa sui non facili cammini della riconciliazione e dell'unità ».24

Tutti siamo consapevoli del fatto che questo cammino non potrà compiersi dall'oggi al domani, ma siate certi che la Chiesa intera eleverà un'insistente preghiera per voi a tale scopo.

Tenete inoltre presente che il vostro cammino di riconciliazione è sostenuto dall'esempio e dalla preghiera di tanti « testimoni della fede » che hanno sofferto e hanno perdonato, offrendo la loro vita per l'avvenire della Chiesa cattolica in Cina. La loro stessa esistenza rappresenta una permanente benedizione per voi presso il Padre celeste e la loro memoria non mancherà di produrre frutti abbondanti.

Comunità ecclesiali e organismi statali:
rapporti da vivere nella verità e nella carità

7. Un'attenta analisi della già menzionata dolorosa situazione di forti contrasti (cfr n. 6), che vede coinvolti fedeli laici e Pastori, mette in evidenza, tra le varie cause, il ruolo significativo svolto da organismi, che sono stati imposti come principali responsabili della vita della comunità cattolica. Ancora oggi, infatti, il riconoscimento da parte di detti organismi è il criterio per dichiarare una comunità, una persona o un luogo religioso, legali e quindi « ufficiali ». Tutto questo ha causato divisioni sia tra il clero sia tra i fedeli. È una situazione, che dipende soprattutto da fattori esterni alla Chiesa, ma che ne ha condizionato seriamente il cammino, dando adito anche a sospetti, accuse reciproche e denunce, e che continua ad essere una sua preoccupante debolezza.

Per quanto riguarda la delicata questione dei rapporti da intrattenere con gli organismi dello Stato, è particolarmente illuminante l'invito del Concilio Vaticano II a seguire la parola e il modo di agire di Gesù Cristo. Egli infatti, « non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza,25 preferì chiamarsi Figlio dell'Uomo, venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc 10, 45). Si presentò come il perfetto Servo di Dio,26 che non spezzerà la canna infranta e non spegnerà il lucignolo fumigante (Mt 12, 20). Riconobbe l'autorità civile e i suoi diritti, comandando di pagare il tributo a Cesare; ammonì però chiaramente che vanno rispettati i superiori diritti di Dio: Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio (Mt 22, 21). Infine completò la sua rivelazione consumando sulla croce l'opera della redenzione, con la quale meritare agli uomini la salvezza e la vera libertà. Rese testimonianza alla verità,27 ma non volle imporla con la forza ai contestatori. Il suo Regno non si difende con la spada,28 ma si stabilisce testimoniando ed ascoltando la Verità, e si dilata con l'amore, con il quale Cristo, esaltato sulla Croce, attira a sé gli uomini (cfr Gv 12, 32) ».29

Verità e amore sono le due colonne portanti della vita della comunità cristiana. Per questo motivo ricordavo che « la Chiesa dell'amore è anche la Chiesa della verità, intesa anzitutto come fedeltà al Vangelo affidato dal Signore Gesù ai suoi. [...] Ma la famiglia dei figli di Dio, per vivere nell'unità e nella pace, ha bisogno di chi la custodisca nella verità e la guidi con discernimento sapiente e autorevole: è ciò che è chiamato a fare il ministero degli Apostoli. E qui arriviamo ad un punto importante. La Chiesa è tutta dello Spirito, ma ha una struttura, la successione apostolica, cui spetta la responsabilità di garantire il permanere della Chiesa nella verità donata da Cristo, dalla quale viene anche la capacità dell'amore. [...] Gli Apostoli e i loro successori sono pertanto i custodi e i testimoni autorevoli del deposito della verità consegnato alla Chiesa, come sono anche i ministri della carità: due aspetti che vanno insieme. [...] La verità e l'amore sono due volti dello stesso dono, che viene da Dio e che grazie al ministero apostolico è custodito nella Chiesa e ci raggiunge fino al nostro presente! ».30

Perciò il Concilio Vaticano II sottolinea che « il rispetto e l'amore devono estendersi anche a coloro che pensano o agiscono diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché quanto più con onestà e carità saremo intimamente comprensivi verso il loro modo di pensare, tanto più facilmente potremo instaurare il dialogo con loro ». Ma, ci ammonisce il medesimo Concilio, « questa carità e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene ».31

Considerando « il disegno originario di Gesù »,32 risulta evidente che la pretesa di alcuni organismi, voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, di porsi al di sopra dei Vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale, non corrisponde alla dottrina cattolica, secondo la quale la Chiesa è « apostolica », come ha ribadito anche il Concilio Vaticano II. La Chiesa è apostolica « per la sua origine, essendo costruita sul fondamento degli Apostoli (Ef 2, 20); per il suo insegnamento, che è quello stesso degli Apostoli; per la sua struttura, in quanto istruita, santificata e governata, fino al ritorno di Cristo, dagli Apostoli, grazie ai loro successori, i Vescovi, in comunione con il successore di Pietro ».33 Pertanto, in ogni singola Chiesa particolare, solo « il Vescovo diocesano pasce nel nome del Signore il gregge a lui affidato come Pastore proprio, ordinario e immediato » 34 e, a livello nazionale, soltanto una legittima Conferenza Episcopale può formulare orientamenti pastorali, validi per l'intera comunità cattolica del Paese interessato.35

Anche la dichiarata finalità dei suddetti organismi di attuare « i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa »,36 è inconciliabile con la dottrina cattolica, che fin dagli antichi Simboli di fede professa la Chiesa « una, santa, cattolica e apostolica ».

Alla luce dei principi suesposti, i Pastori e i fedeli laici ricorderanno che la predicazione del Vangelo, la catechesi e l'opera caritativa, l'azione liturgica e cultuale, nonché tutte le scelte pastorali, competono unicamente ai Vescovi insieme con i loro sacerdoti nella continuità permanente della fede, trasmessa dagli Apostoli nelle Sacre Scritture e nella Tradizione, e perciò non possono essere soggette a nessuna interferenza esterna.

Attesa tale difficile situazione, non pochi membri della comunità cattolica si domandano se il riconoscimento da parte delle Autorità civili  necessario per operare pubblicamente  comprometta in qualche modo la comunione con la Chiesa universale. So bene che questa problematica inquieta dolorosamente il cuore dei Pastori e dei fedeli. Al riguardo ritengo, in primo luogo, che la doverosa e strenua salvaguardia del deposito della fede e della comunione sacramentale e gerarchica non si opponga, di per sé, al dialogo con le Autorità circa quegli aspetti della vita della comunità ecclesiale che ricadono nell'ambito civile. Non si vedono poi particolari difficoltà per l'accettazione del riconoscimento concesso dalle Autorità civili, a condizione che esso non comporti la negazione di principi irrinunciabili della fede e della comunione ecclesiastica. In non pochi casi concreti, però, se non quasi sempre, nella procedura di riconoscimento intervengono organismi che obbligano le persone coinvolte ad assumere atteggiamenti, a porre gesti e a prendere impegni che sono contrari ai dettami della loro coscienza di cattolici. Comprendo, perciò, come in tali varie condizioni e circostanze sia difficile determinare la scelta corretta da fare. Per questo motivo la Santa Sede, dopo avere riaffermato i principi, lascia la decisione al singolo Vescovo che, sentito il suo presbiterio, è meglio in grado di conoscere la situazione locale, di soppesare le concrete possibilità di scelta e di valutare le eventuali conseguenze all'interno della comunità diocesana. Potrebbe darsi che la decisione finale non incontri il consenso di tutti i sacerdoti e i fedeli. Mi auguro, tuttavia, che essa venga accolta, anche se con sofferenza, e che si mantenga l'unità della comunità diocesana col proprio Pastore.

Sarà bene, infine, che Vescovi e presbiteri, con vero cuore di pastori, si adoperino in tutti i modi per non dare adito a situazioni di scandalo, cogliendo le occasioni per formare la coscienza dei fedeli, con particolare attenzione ai più deboli: il tutto sarà vissuto nella comunione e nella comprensione fraterna, evitando giudizi e condanne reciproche. Anche in questo caso si deve tener presente che, specialmente in assenza di un vero spazio di libertà, per valutare la moralità di un atto occorre conoscere con particolare cura le reali intenzioni della persona interessata, oltre alla mancanza oggettiva. Ogni caso dovrà essere, quindi, vagliato singolarmente, tenendo conto delle circostanze.

L'Episcopato cinese

8. Nella Chiesa, Popolo di Dio, solo ai sacri ministri, debitamente ordinati dopo un'adeguata istruzione e formazione, spetta l'esercizio dell'ufficio di « insegnare, santificare e governare ». Fedeli laici possono, con la missione canonica da parte del Vescovo, svolgere un utile ministero ecclesiale di trasmissione della fede.

Negli anni recenti, per varie cause, voi, Fratelli nell'episcopato, avete incontrato difficoltà, poiché persone non « ordinate », e a volte anche non battezzate, controllano e prendono decisioni circa importanti questioni ecclesiali, inclusa la nomina dei Vescovi, in nome di vari organismi statali. Di conseguenza, si è assistito a uno svilimento dei ministeri petrino ed episcopale in forza di una visione della Chiesa, secondo la quale il Sommo Pontefice, i Vescovi e i sacerdoti, rischiano di diventare di fatto persone senza ufficio e senza potere. Invece, come si diceva, i ministeri petrino ed episcopale sono elementi essenziali e integrali della dottrina cattolica sulla struttura sacramentale della Chiesa. Questa natura della Chiesa è un dono del Signore Gesù, perché « è lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo » (Ef 4, 11-13).

La comunione e l'unità  mi sia consentito di ripeterlo (cfr n. 5)  sono elementi essenziali e integrali della Chiesa cattolica: pertanto il progetto di una Chiesa « indipendente », in ambito religioso, dalla Santa Sede è incompatibile con la dottrina cattolica.

Sono consapevole delle gravi difficoltà, alle quali dovete far fronte nella suddetta situazione per mantenervi fedeli a Cristo, alla sua Chiesa e al Successore di Pietro. Ricordandovi che  come già affermava san Paolo (cfr Rm 8, 35-39)  nessuna difficoltà può separarci dall'amore di Cristo, nutro la fiducia che saprete fare tutto il possibile, confidando nella grazia del Signore, per salvaguardare l'unità e la comunione ecclesiale anche a costo di grandi sacrifici.

Molti membri dell'Episcopato cinese, che in questi ultimi decenni hanno guidato la Chiesa, hanno offerto, e offrono, alle proprie comunità e alla Chiesa universale una luminosa testimonianza. Ancora una volta, sgorga dal cuore un inno di lode e di ringraziamento al « Pastore supremo » del gregge (1 Pt 5, 4): non si può infatti dimenticare che molti di loro hanno subito la persecuzione e sono stati impediti nell'esercizio del loro ministero, e alcuni di loro hanno reso feconda la Chiesa con l'effusione del proprio sangue. I nuovi tempi e la conseguente sfida della nuova evangelizzazione pongono in risalto la funzione del ministero episcopale. Come diceva Giovanni Paolo II ai Pastori di ogni parte del mondo convenuti a Roma per la celebrazione del Giubileo, « il Pastore è il primo responsabile e animatore della comunità ecclesiale sia nell'esigenza di comunione che nella proiezione missionaria. Di fronte al relativismo e al soggettivismo che inquinano tanta parte della cultura contemporanea, i Vescovi sono chiamati a difendere e promuovere l'unità dottrinale dei loro fedeli. Solleciti per ogni situazione in cui la fede è smarrita o ignorata, essi si adoperano con tutte le forze in favore dell'evangelizzazione, preparando a tal fine sacerdoti, religiosi e laici e mettendo a disposizione le necessarie risorse ».37

Nella medesima occasione il mio venerato Predecessore ricordava che « il Vescovo, successore degli Apostoli, è uno per il quale Cristo è tutto. Con Paolo egli può ripetere ogni giorno: Per me vivere è Cristo... (Fil 1, 21). Questo egli deve testimoniare con tutto il suo comportamento. Il Concilio Vaticano II insegna: I Vescovi devono compiere il loro dovere apostolico come testimoni di Cristo davanti a tutti gli uomini (Decr. Christus Dominus, 11) ».38

Riguardo poi al servizio episcopale, colgo l'occasione per ricordare quanto dicevo recentemente: « I Vescovi hanno la prima responsabilità di edificare la Chiesa come famiglia di Dio e come luogo di aiuto vicendevole e di disponibilità. Per poter compiere questa missione, avete ricevuto, con la consacrazione episcopale, tre peculiari uffici: il munus docendi, il munus sanctificandi e il munus regendi, che nel loro insieme costituiscono il munus pascendi. In particolare, la finalità del munus regendi è la crescita nella comunione ecclesiale, cioè la costruzione di una comunità concorde nell'ascolto dell'insegnamento degli apostoli, nella frazione del pane, nelle preghiere e nell'unione fraterna. Strettamente congiunto con gli uffici di insegnare e di santificare, quello di governare  il munus regendi appunto  costituisce per il Vescovo un autentico atto di amore verso Dio e verso il prossimo che si esprime nella carità pastorale ».39

Come avviene nel resto del mondo, anche in Cina la Chiesa è governata da Vescovi che, mediante l'ordinazione episcopale a loro conferita da altri Vescovi validamente ordinati, hanno ricevuto, insieme con l'ufficio di santificare, pure gli uffici di insegnare e di governare il popolo loro affidato nelle rispettive Chiese particolari, con una potestà che viene conferita da Dio mediante la grazia del sacramento dell'Ordine. Gli uffici di insegnare e di governare, però, « per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica con il Capo e con i membri del Collegio » dei Vescovi.40 Infatti  precisa il medesimo Concilio Vaticano II  « una persona viene costituita membro del Corpo episcopale in virtù della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il Capo e con i membri del Collegio ».41

Attualmente, tutti i Vescovi della Chiesa cattolica in Cina sono figli del Popolo cinese. Nonostante molte e gravi difficoltà, la Chiesa cattolica in Cina, per una particolare grazia dello Spirito Santo, non è stata mai privata del ministero di legittimi Pastori che hanno conservato intatta la successione apostolica. Dobbiamo ringraziare il Signore per questa presenza costante e sofferta di Vescovi, che hanno ricevuto l'ordinazione episcopale in conformità con la tradizione cattolica, vale a dire in comunione con il Vescovo di Roma, Successore di Pietro, e per mano di Vescovi, validamente e legittimamente ordinati, nell'osservanza del rito della Chiesa cattolica.

Alcuni di essi, non volendo sottostare a un indebito controllo, esercitato sulla vita della Chiesa, e desiderosi di mantenere una piena fedeltà al Successore di Pietro e alla dottrina cattolica, si sono visti costretti a farsi consacrare clandestinamente. La clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa, e la storia mostra che Pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede e di non accettare ingerenze di organismi statali in ciò che tocca l'intimo della vita della Chiesa. Per tale motivo la Santa Sede auspica che questi legittimi Pastori possano essere riconosciuti come tali dalle Autorità governative anche per gli effetti civili  in quanto necessari  e che i fedeli tutti possano esprimere liberamente la propria fede nel contesto sociale in cui si trovano a vivere.

Altri Pastori, invece, sotto la spinta di circostanze particolari hanno acconsentito a ricevere l'ordinazione episcopale senza il mandato pontificio ma, in seguito, hanno chiesto di poter essere accolti nella comunione con il Successore di Pietro e con gli altri Fratelli nell'episcopato. Il Papa, considerando la sincerità dei loro sentimenti e la complessità della situazione, e tenendo presente il parere dei Vescovi viciniori, in virtù della propria responsabilità di Pastore universale della Chiesa ha concesso ad essi il pieno e legittimo esercizio della giurisdizione episcopale. Questa iniziativa del Papa nasceva dalla conoscenza delle particolari circostanze della loro ordinazione e dalla sua profonda preoccupazione pastorale di favorire il ristabilimento di una piena comunione. Purtroppo, il più delle volte, i sacerdoti e i fedeli non sono stati adeguatamente informati dell'avvenuta legittimazione del loro Vescovo, e ciò ha dato luogo a non pochi e gravi problemi di coscienza. Per di più, alcuni Vescovi legittimati non hanno posto gesti, che comprovassero chiaramente l'avvenuta legittimazione. Per questo motivo è indispensabile che, per il bene spirituale delle comunità diocesane interessate, l'avvenuta legittimazione possa essere resa di pubblico dominio a tempi brevi e che i Presuli legittimati pongano sempre di più gesti inequivocabili di piena comunione con il Successore di Pietro.

Non mancano infine alcuni Vescovi  in un numero molto ridotto  che sono stati ordinati senza il mandato pontificio e non hanno chiesto, o non hanno ancora ottenuto, la necessaria legittimazione. Secondo la dottrina della Chiesa cattolica essi sono da ritenere illegittimi, ma validamente ordinati, qualora ci sia la certezza che hanno ricevuto l'ordinazione da Vescovi validamente ordinati e che è stato rispettato il rito cattolico dell'ordinazione episcopale. Essi pertanto, pur non essendo in comunione con il Papa, esercitano validamente il loro ministero nell'amministrazione dei sacramenti, anche se in modo illegittimo. Quale grande ricchezza spirituale ne deriverebbe per la Chiesa in Cina se, in presenza delle necessarie condizioni, anche questi Pastori pervenissero alla comunione con il Successore di Pietro e con tutto l'Episcopato cattolico! Non solo sarebbe legittimato il loro ministero episcopale, ma anche risulterebbe più ricca la loro comunione con i sacerdoti e con i fedeli che considerano la Chiesa in Cina parte della Chiesa cattolica, unita con il Vescovo di Roma e con tutte le altre Chiese particolari sparse per il mondo.

Nelle singole nazioni tutti i Vescovi legittimi costituiscono una Conferenza Episcopale, retta secondo uno statuto proprio che, a norma del diritto canonico, deve essere approvato dalla Sede Apostolica. Tale Conferenza Episcopale esprime la comunione fraterna di tutti i Vescovi di una nazione e tratta le questioni dottrinali e pastorali, che sono rilevanti per l'intera comunità cattolica nel Paese, senza però interferire nell'esercizio della potestà ordinaria e immediata di ogni Vescovo nella sua diocesi propria. Inoltre, ogni Conferenza Episcopale mantiene opportuni e utili contatti con le Autorità civili del luogo, anche per favorire la collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, ma è ovvio che una Conferenza Episcopale non può essere sottoposta a nessuna Autorità civile nelle questioni di fede e di vita secondo la fede (fides et mores, vita sacramentale), che sono esclusivamente di competenza della Chiesa.

Alla luce dei principi sopra esposti, l'attuale Collegio dei Vescovi Cattolici di Cina 42 non può essere riconosciuto come Conferenza Episcopale dalla Sede Apostolica: non ne fanno parte i Vescovi « clandestini », cioè non riconosciuti dal Governo, che sono in comunione con il Papa; include Presuli, che sono tuttora illegittimi, ed è retta da Statuti, che contengono elementi inconciliabili con la dottrina cattolica.

Nomina dei Vescovi

9. Com'è noto a tutti voi, uno dei problemi più delicati nei rapporti della Santa Sede con le Autorità del vostro Paese è la questione delle nomine episcopali. Da un lato, si può comprendere che le Autorità governative siano attente alla scelta di coloro che svolgeranno l'importante ruolo di guide e di pastori delle comunità cattoliche locali, attesi i risvolti sociali che  in Cina come nel resto del mondo  tale funzione ha anche nel campo civile. Dall'altro lato, la Santa Sede segue con speciale cura la nomina dei Vescovi poiché questa tocca il cuore stesso della vita della Chiesa in quanto la nomina dei Vescovi da parte del Papa è garanzia dell'unità della Chiesa e della comunione gerarchica. Per questo motivo il Codice di Diritto Canonico (cfr can. 1382) stabilisce gravi sanzioni sia per il Vescovo che conferisce liberamente l'ordinazione episcopale senza mandato apostolico sia per colui che la riceve: tale ordinazione rappresenta infatti una dolorosa ferita alla comunione ecclesiale e una grave violazione della disciplina canonica.

Il Papa, quando concede il mandato apostolico per l'ordinazione di un Vescovo, esercita la sua suprema autorità spirituale: autorità ed intervento, che rimangono nell'ambito strettamente religioso. Non si tratta quindi di un'autorità politica, che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato e ne lede la sovranità.

La nomina di Pastori per una determinata comunità religiosa è intesa, anche in documenti internazionali, come un elemento costitutivo del pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa.43 La Santa Sede amerebbe essere completamente libera nella nomina dei Vescovi; 44 pertanto, considerando il recente cammino peculiare della Chiesa in Cina, auspico che si trovi un accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti sia la scelta dei candidati all'episcopato sia la pubblicazione della nomina dei Vescovi sia il riconoscimento  agli effetti civili in quanto necessari  del nuovo Vescovo da parte delle Autorità civili.

Infine, quanto alla scelta dei candidati all'episcopato, pur conoscendo le vostre difficoltà al riguardo, desidero ricordare la necessità che essi siano sacerdoti degni, rispettati ed amati dai fedeli, e modelli di vita nella fede, e che posseggano una certa esperienza nel ministero pastorale e siano perciò più adeguati a far fronte alla pesante responsabilità di Pastore della Chiesa.45 Qualora in una diocesi fosse impossibile trovare candidati adatti per la provvista della sede episcopale, la collaborazione con i Vescovi delle diocesi limitrofe può aiutare a individuare candidati idonei.


Paparatzifan
00sabato 30 giugno 2007 22:40
Lettera del Santo Padre alla Chiesa in Cina - Parte II

SECONDA PARTE

ORIENTAMENTI DI VITA PASTORALE



Sacramenti, governo delle diocesi, parrocchie

10. Negli ultimi tempi sono emerse difficoltà, legate ad iniziative individuali di Pastori, di sacerdoti e di fedeli laici, che, mossi da generoso zelo pastorale, non sempre hanno rispettato i compiti o la responsabilità altrui.

A questo proposito il Concilio Vaticano II ci ricorda che, se da un lato i singoli Vescovi « in quanto membri del Collegio episcopale e legittimi successori degli Apostoli, sono tenuti, per istituzione e precetto di Cristo, ad avere una sollecitudine per tutta la Chiesa », dall'altro lato essi « esercitano il loro governo pastorale sopra la porzione del Popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né sopra la Chiesa universale ».46

Inoltre, di fronte a certe problematiche emerse in varie comunità diocesane durante gli ultimi anni, mi sembra doveroso ricordare la norma canonica secondo cui ogni chierico deve essere incardinato in una Chiesa particolare o in un Istituto di vita consacrata e deve esercitare il proprio ministero in comunione con il Vescovo Diocesano. Solo per giusti motivi un chierico può esercitare il ministero in un'altra diocesi, ma sempre con il previo accordo dei due Vescovi Diocesani, cioè di quello della Chiesa particolare in cui è incardinato e di quello della Chiesa particolare al cui servizio è destinato.47

In non poche circostanze, poi, vi siete posti il problema della concelebrazione dell'Eucaristia. Al riguardo, ricordo che essa presuppone, come condizioni, la professione della stessa fede e la comunione gerarchica con il Papa e con la Chiesa universale. Pertanto è lecito concelebrare con Vescovi e con sacerdoti che sono in comunione con il Papa, anche se sono riconosciuti dalle Autorità civili e mantengono un rapporto con organismi, voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, purché  come si è detto sopra (cfr n. 7, capov. 8o)  il riconoscimento e il rapporto non comportino la negazione di principi irrinunciabili della fede e della comunione ecclesiastica.

Anche i fedeli laici, che sono animati da un sincero amore per Cristo e per la Chiesa, non devono esitare a partecipare all'Eucaristia, celebrata da Vescovi e da sacerdoti che sono in piena comunione con il Successore di Pietro e sono riconosciuti dalle Autorità civili. Lo stesso vale per tutti gli altri sacramenti.

Sempre alla luce dei principi della dottrina cattolica devono essere risolti i problemi che sorgono con quei Vescovi, che sono stati consacrati senza il mandato pontificio, sia pure nel rispetto del rito cattolico dell'ordinazione episcopale. La loro ordinazione  come ho già detto (cfr n. 8, capov. 12o)  è illegittima ma valida, così come sono valide le ordinazioni sacerdotali da loro conferite e sono validi anche i sacramenti amministrati da tali Vescovi e sacerdoti. Pertanto i fedeli, tenendo presente ciò, per la celebrazione eucaristica e per gli altri sacramenti devono, nella misura del possibile, cercare Vescovi e sacerdoti che sono in comunione con il Papa: tuttavia, quando ciò non fosse realizzabile senza loro grave incomodo, possono, per esigenza del loro bene spirituale, rivolgersi anche a coloro che non sono in comunione con il Papa.

Reputo infine opportuno attirare la vostra attenzione su quanto la legislazione canonica prevede per aiutare i Vescovi Diocesani ad assolvere il proprio compito pastorale. Ogni Vescovo Diocesano è invitato a servirsi di indispensabili strumenti di comunione e di collaborazione all'interno della comunità cattolica diocesana: la curia diocesana, il consiglio presbiterale, il collegio dei consultori, il consiglio pastorale diocesano e il consiglio diocesano per gli affari economici. Questi organismi esprimono la comunione, favoriscono la condivisione delle responsabilità comuni e sono di grande aiuto ai Pastori, che possono così avvalersi della fraterna collaborazione di sacerdoti, di persone consacrate e di fedeli laici.

Lo stesso vale per i vari consigli, che il Diritto Canonico prevede per le parrocchie: il consiglio pastorale parrocchiale ed il consiglio parrocchiale per gli affari economici.

Tanto per le diocesi quanto per le parrocchie, particolare attenzione dovrà essere riservata ai beni temporali della Chiesa, mobili ed immobili, che dovranno essere registrati legalmente in campo civile a nome della diocesi o della parrocchia e mai a nome di singole persone (cioè Vescovo, parroco o gruppo di fedeli). Nel contempo mantiene tutta la sua validità il tradizionale orientamento pastorale e missionario, che si riassume nel principio: « nihil sine Episcopo ».

Dall'analisi delle suesposte problematiche emerge con chiarezza che una vera soluzione di esse ha la sua radice nella promozione della comunione, che attinge vigore e slancio, come da fonte, da Cristo, icona dell'amore del Padre. La carità, che è sempre al di sopra di tutto (cfr 1 Cor 13, 1-12), sarà la forza ed il criterio nel lavoro pastorale per la costruzione di una comunità ecclesiale, che renda presente il Cristo Risorto all'uomo di oggi.

Le province ecclesiastiche

11. Numerosi cambiamenti amministrativi sono avvenuti, in campo civile, durante gli ultimi cinquant'anni. Ciò ha coinvolto anche diverse circoscrizioni ecclesiastiche, che sono state eliminate o raggruppate oppure sono state modificate nella loro configurazione territoriale in base alle circoscrizioni amministrative civili. A questo proposito desidero confermare che la Santa Sede è disponibile ad affrontare l'intera questione delle circoscrizioni e delle province ecclesiastiche in un dialogo aperto e costruttivo con l'Episcopato cinese e  in quanto opportuno e utile  con le Autorità governative.

Le comunità cattoliche

12. Mi è ben noto che le comunità diocesane e parrocchiali, disseminate nel vasto territorio cinese, mostrano una particolare vivacità di vita cristiana, di testimonianza della fede e di iniziative pastorali. È per me consolante costatare che, malgrado le difficoltà passate e presenti, i Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate ed i fedeli laici hanno mantenuto una profonda consapevolezza di essere membra vive della Chiesa universale, in comunione di fede e di vita con tutte le comunità cattoliche sparse per il mondo. Essi sanno, nel loro cuore, che cosa vuol dire essere cattolici. Ed è proprio da questo cuore cattolico che deve nascere anche l'impegno per rendere manifesto ed operoso, sia all'interno delle singole comunità sia nei rapporti tra le varie comunità, quello spirito di comunione, di comprensione e di perdono che  com'è detto sopra (cfr n. 5, capov. 4o, e n. 6)  è il sigillo visibile di un'autentica esistenza cristiana. Sono sicuro che lo Spirito di Cristo, come ha aiutato le comunità a mantenere viva la fede in tempo di persecuzione, aiuterà oggi tutti i cattolici a crescere nell'unità.

Come già facevo presente (cfr n. 2, capov. 1o, e n. 4, capov. 1o), ai membri delle comunità cattoliche nel vostro Paese  specialmente ai Vescovi, ai presbiteri e alle persone consacrate  non è purtroppo ancora concesso di vivere e di esprimere, in pienezza e in modo anche visibile, certi aspetti della loro appartenenza alla Chiesa e della loro comunione gerarchica con il Papa, essendo normalmente impediti liberi contatti con la Santa Sede e con le altre comunità cattoliche nei vari Paesi. È vero che negli ultimi anni la Chiesa gode, rispetto al passato, di una maggiore libertà religiosa. Tuttavia non si può negare che permangono gravi limitazioni che toccano il cuore della fede e che, in certa misura, soffocano l'attività pastorale. A questo proposito rinnovo l'augurio (cfr n. 4, capovv. 2o-4o) che, nel corso di un dialogo rispettoso ed aperto tra la Santa Sede e i Vescovi cinesi, da una parte, e le Autorità governative, dall'altra, possano essere superate le menzionate difficoltà e si pervenga, così, ad una proficua intesa che sarà a vantaggio della comunità cattolica e della convivenza sociale.

I presbiteri

13. Vorrei poi rivolgere un pensiero speciale e un invito ai sacerdoti  in modo particolare a quelli ordinati negli ultimi anni , che con tanta generosità hanno intrapreso il cammino del ministero pastorale. Mi sembra che l'attuale situazione ecclesiale e socio-politica renda sempre più pressante l'esigenza di attingere luce e forza alle sorgenti della spiritualità sacerdotale, che sono l'amore di Dio, l'incondizionata sequela di Cristo, la passione per l'annuncio del Vangelo, la fedeltà alla Chiesa e il servizio generoso al prossimo.48 Come non ricordare a questo proposito, quale incoraggiamento per tutti, le figure luminose di Vescovi e di sacerdoti che, negli anni difficili del recente passato, hanno testimoniato un amore indefettibile alla Chiesa, anche con il dono della propria vita per essa e per Cristo?

Sacerdoti carissimi! Voi che sopportate « il peso della giornata e il caldo » (Mt 20, 12), che avete messo mano all'aratro e non vi volgete indietro (cfr Lc 9, 62), pensate a quei luoghi, dove i fedeli attendono con ansia un sacerdote e dove da molti anni, sentendo la sua mancanza, non cessano di auspicarne la presenza. So bene che in mezzo a voi ci sono confratelli che hanno dovuto far fronte a tempi e a situazioni difficili, assumendo posizioni non sempre condivisibili da un punto di vista ecclesiale, e che, malgrado tutto, desiderano tornare nella piena comunione della Chiesa. Nello spirito di quella profonda riconciliazione, alla quale il mio venerato Predecessore ha invitato ripetutamente la Chiesa in Cina,49 mi rivolgo ai Vescovi che sono in comunione con il Successore di Pietro, affinché con animo paterno valutino caso per caso e diano una giusta risposta a tale desiderio, ricorrendo  se necessario  alla Sede Apostolica. E, quale segno di questa auspicata riconciliazione, penso che non ci sia gesto più significativo che quello di rinnovare comunitariamente  in occasione della giornata sacerdotale del Giovedì Santo, come avviene nella Chiesa universale, oppure in altra circostanza che sarà considerata più opportuna  la professione di fede, a testimonianza della piena comunione raggiunta, a edificazione del Popolo santo di Dio affidato alla vostra cura pastorale, e a lode della Santissima Trinità.

Sono consapevole poi che anche in Cina, come nel resto della Chiesa, emerge la necessità di un'adeguata formazione permanente del clero. Di qui nasce l'invito, rivolto a voi Vescovi come responsabili delle comunità ecclesiali, a pensare specialmente al giovane clero che è sempre più sottoposto a nuove sfide pastorali, connesse con le esigenze del compito di evangelizzare una società così complessa com'è la società cinese attuale. Ce lo ricordava il Papa Giovanni Paolo II: la formazione permanente dei sacerdoti « è un'esigenza intrinseca al dono e al ministero sacramentale ricevuto e si rivela necessaria in ogni tempo. Oggi però risulta essere particolarmente urgente, non solo per il rapido mutarsi delle condizioni sociali e culturali degli uomini e dei popoli entro cui si svolge il ministero presbiterale, ma anche per quella nuova evangelizzazione che costituisce il compito essenziale e indilazionabile della Chiesa alla fine del secondo millennio ».50

Le vocazioni e la formazione religiosa

14. Durante gli ultimi cinquant'anni non è mai mancata nella Chiesa in Cina un'abbondante fioritura di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Di questo si deve rendere grazie al Signore perché si tratta di un segno di vitalità e di un motivo di speranza. Nel corso degli anni poi sono sorte molte congregazioni religiose autoctone: i Vescovi e i sacerdoti sanno per esperienza quanto sia insostituibile il contributo delle religiose nella catechesi e nella vita parrocchiale in tutte le sue forme; inoltre, l'attenzione ai più bisognosi, prestata in collaborazione anche con le Autorità civili locali, è espressione di quella carità e di quel servizio al prossimo che sono la testimonianza più credibile della forza e della vitalità del Vangelo di Gesù.

Sono però consapevole che tale fioritura è accompagnata, oggi, da non poche difficoltà. Emerge pertanto l'esigenza sia di un più attento discernimento vocazionale da parte dei responsabili ecclesiali sia di una più approfondita educazione e istruzione degli aspiranti al sacerdozio e alla vita religiosa. Nonostante la precarietà dei mezzi a disposizione, per l'avvenire della Chiesa in Cina bisognerà adoperarsi per assicurare, da un lato, una particolare attenzione nella cura delle vocazioni e, dall'altro lato, una formazione più solida sotto gli aspetti umano, spirituale, filosofico-teologico e pastorale, da realizzare nei seminari e negli istituti religiosi.

A questo riguardo, merita una menzione particolare la formazione al celibato dei candidati al sacerdozio. È importante che essi imparino a vivere e a stimare il celibato come dono prezioso di Dio e come segno eminentemente escatologico, che testimonia un amore indiviso a Dio ed al suo popolo e configura il sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa. Tale dono, infatti, in modo precipuo « esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore » 51 e rappresenta un valore profetico per il mondo d'oggi.

Quanto poi alla vocazione religiosa, nel contesto attuale della Chiesa in Cina è necessario che appaiano sempre più luminose le sue due dimensioni: e cioè, da un lato, la testimonianza del carisma della totale consacrazione a Cristo attraverso i voti di castità, povertà e obbedienza e, dall'altro, la risposta all'esigenza di annunciare il Vangelo nelle odierne condizioni storico-sociali del Paese.

I fedeli laici e la famiglia

15. Nei tempi più difficili della storia recente della Chiesa cattolica in Cina i fedeli laici, sia a livello individuale e familiare sia come membri di movimenti spirituali ed apostolici, hanno mostrato una piena fedeltà al Vangelo, pagando anche di persona la propria fedeltà a Cristo. Voi, laici, siete chiamati, pure oggi, a incarnare il Vangelo nella vostra vita e a dare una testimonianza per mezzo di un generoso e fattivo servizio per il bene del popolo e per lo sviluppo del Paese: e adempirete tale missione vivendo come cittadini onesti e operando come collaboratori attivi e corresponsabili nella diffusione della Parola di Dio nel vostro ambiente, rurale o cittadino. Voi, che in tempi recenti siete stati coraggiosi testimoni della fede, restate la speranza della Chiesa per l'avvenire! Ciò esige una vostra sempre più motivata partecipazione in tutte le istanze della vita della Chiesa, in comunione con i vostri rispettivi Pastori.

Poiché l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia, ritengo indispensabile ed urgente che i laici ne promuovano i valori e ne tutelino le esigenze. Essi, che nella fede conoscono pienamente il meraviglioso disegno di Dio sulla famiglia, hanno una ragione in più per assumere questa consegna concreta ed impegnativa: la famiglia infatti « è il luogo normale dove le giovani generazioni giungono alla maturità personale e sociale. La famiglia reca con sé l'eredità dell'umanità stessa, poiché la vita passa attraverso di essa di generazione in generazione. La famiglia occupa un posto molto importante nelle culture dell'Asia e, come hanno sottolineato i Padri sinodali, i valori familiari quali il rispetto filiale, l'amore e la cura per gli anziani e i malati, l'amore per i piccoli e l'armonia sono tenuti in grande stima in tutte le culture e le tradizioni religiose di quel Continente ».52

I summenzionati valori fanno parte del rilevante contesto culturale cinese, ma anche nella vostra terra non mancano forze che influiscono negativamente sulla famiglia in vari modi. Pertanto la Chiesa che è in Cina, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia,53 deve sentire in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurandone la piena vitalità.54

L'iniziazione cristiana degli adulti

16. La storia recente della Chiesa cattolica in Cina ha visto un elevato numero di adulti, che si sono avvicinati alla fede grazie anche alla testimonianza della comunità cristiana locale. Voi, Pastori, siete chiamati a curare in modo particolare la loro iniziazione cristiana attraverso un appropriato e serio periodo di catecumenato che li aiuti e li prepari a condurre una vita da discepoli di Gesù.

A questo proposito ricordo che l'evangelizzazione non è mai pura comunicazione intellettuale, bensì anche esperienza di vita, purificazione e trasformazione dell'intera esistenza, e cammino in comunione. Solo così si instaura un giusto rapporto tra pensiero e vita.

Guardando poi al passato, si deve purtroppo rilevare che molti adulti non sempre sono stati sufficientemente iniziati alla completa verità della vita cristiana e nemmeno hanno conosciuto la ricchezza del rinnovamento apportato dal Concilio Vaticano II. Sembra pertanto necessario e urgente offrire ad essi una solida e approfondita formazione cristiana, sotto forma anche di un catecumenato post-battesimale.55

La vocazione missionaria

17. La Chiesa, sempre e dovunque missionaria, è chiamata alla proclamazione e alla testimonianza del Vangelo. Anche la Chiesa in Cina deve sentire nel suo cuore l'ardore missionario del suo Fondatore e Maestro.

Rivolgendosi a giovani pellegrini sul Monte delle Beatitudini nell'Anno Santo 2000, Giovanni Paolo II diceva: « Al momento della sua Ascensione, Gesù affidò ai suoi discepoli una missione e questa rassicurazione: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28, 18-20). Da duemila anni i seguaci di Cristo svolgono questa missione. Ora, all'alba del terzo millennio, tocca a voi. Tocca a voi andare nel mondo e annunciare il messaggio dei Dieci Comandamenti e delle Beatitudini. Quando Dio parla, parla di cose che hanno la più grande importanza per ogni persona, per le persone del XXI secolo non meno che per quelle del primo secolo. I Dieci Comandamenti e le Beatitudini parlano di verità e di bontà, di grazia e di libertà, di quanto è necessario per entrare nel Regno di Cristo ».56

Ora spetta a voi, discepoli cinesi del Signore, essere coraggiosi apostoli di quel Regno. Sono sicuro che grande e generosa sarà la vostra risposta.



CONCLUSIONE

Revoca delle facoltà e delle direttive pastorali

18. Considerando in primo luogo alcuni positivi sviluppi della situazione della Chiesa in Cina, in secondo luogo le maggiori opportunità e facilitazioni nelle comunicazioni e, da ultimo, le richieste che diversi Vescovi e sacerdoti hanno qui indirizzato, con la presente Lettera revoco tutte le facoltà che erano state concesse per far fronte a particolari esigenze pastorali, sorte in tempi veramente difficili.

Lo stesso dicasi per tutte le direttive di ordine pastorale, passate e recenti. I principi dottrinali, che le ispiravano, trovano ora nuova applicazione nelle direttive, contenute nella presente Lettera.

Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina

19. Carissimi Pastori e fedeli tutti, il giorno 24 maggio, che è dedicato alla memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani  la quale è venerata con tanta devozione nel santuario mariano di Sheshan a Shanghai , in futuro potrebbe divenire occasione per i cattolici di tutto il mondo di unirsi in preghiera con la Chiesa che è in Cina.

Desidero che quella data sia per voi una giornata di preghiera per la Chiesa in Cina. Vi esorto a celebrarla rinnovando la vostra comunione di fede in Gesù Nostro Signore e di fedeltà al Papa, pregando affinché l'unità tra di voi sia sempre più profonda e visibile. Vi ricordo inoltre il comandamento d'amore che Gesù ci ha dato, di amare i nostri nemici e di pregare per coloro che ci perseguitano, nonché l'invito dell'Apostolo san Paolo: « Vi raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla, con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità » (1 Tm 2, 1-4).

Nella medesima Giornata i cattolici nel mondo intero  in particolare quelli che sono di origine cinese  mostreranno la loro fraterna solidarietà e sollecitudine per voi, chiedendo al Signore della storia il dono della perseveranza nella testimonianza, certi che le vostre sofferenze passate e presenti per il santo Nome di Gesù e la vostra intrepida lealtà al Suo Vicario in terra saranno premiate, anche se talvolta tutto possa sembrare un triste fallimento.

Saluto finale

20. Al termine di questa Lettera auguro a voi, cari Pastori della Chiesa cattolica che è in Cina, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici, di essere « ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo » (1 Pt 1, 6- 7).

Maria Santissima, Madre della Chiesa e Regina della Cina, che nell'ora della Croce ha saputo, nel silenzio della speranza, attendere il mattino della Risurrezione, vi accompagni con materna premura e interceda per tutti voi insieme a san Giuseppe e ai numerosi santi Martiri cinesi.

Vi assicuro delle mie costanti preghiere e, con un pensiero affettuoso agli anziani, agli ammalati, ai bambini e ai giovani della vostra nobile Nazione, vi benedico di cuore.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 27 maggio, Solennità di Pentecoste, dell'anno 2007, terzo di Pontificato.

BENEDICTUS PP. XVI


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Note

1Benedetto XVI, Angelus del 26 dicembre 2006: « Con speciale vicinanza spirituale, penso anche a quei cattolici che mantengono la propria fedeltà alla Sede di Pietro senza cedere a compromessi, a volte anche a prezzo di gravi sofferenze. Tutta la Chiesa ne ammira l'esempio e prega perché essi abbiano la forza di perseverare, sapendo che le loro tribolazioni sono fonte di vittoria, anche se al momento possono sembrare un fallimento »: L'Osservatore Romano, 27-28 dicembre 2006, p. 12.

2Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 10.

3Messaggio Con intima gioia ai partecipanti al Convegno Internazionale su « Matteo Ricci: per un dialogo tra Cina e Occidente » (24 ottobre 2001), n. 4: L'Osservatore Romano, 25 ottobre 2001, p. 5.

4Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Ecclesia in Asia (6 novembre 1999), n. 7: AAS 92 (2000), 456.

5Cfr ibid., nn. 19 e 20: AAS 92 (2000), 477-482.

6Cfr Discorso ai Delegati della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche (Manila 15 gennaio 1995), n. 11: L'Osservatore Romano, 16-17 gennaio 1995, p. 5.

7Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), n. 1: AAS 93 (2001), 266.

8Benedetto XVI, Udienza Generale (mercoledì 23 agosto 2006): L'Osservatore Romano, 24 agosto 2006, p. 4.

9Giovanni Paolo II, Messaggio Con intima gioia ai partecipanti al Convegno Internazionale su « Matteo Ricci: per un dialogo tra Cina e Occidente » (24 ottobre 2001), n. 6: L'Osservatore Romano, 25 ottobre 2001, p. 5.

10Ibid.

11Cfr Fonti Ricciane, a cura di Pasquale M. D'Elia, S.I., vol. 2, Roma 1949, n. 617, p. 152.

12Messaggio Con intima gioia ai partecipanti al Convegno Internazionale su « Matteo Ricci: per un dialogo tra Cina e Occidente » (24 ottobre 2001), n. 4: L'Osservatore Romano, 25 ottobre 2001, p. 5.

13Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 76.

14Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), n. 28: AAS 98 (2006), 240. Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 76.

15Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, n. 26.

16Ibid., n. 23.

17Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Communionis notio ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione (28 maggio 1992), nn. 11-14: AAS 85 (1993), 844-847.

18Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, n. 23.

19Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Communionis notio ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione (28 maggio 1992), n. 13: AAS 85 (1993), 846.

20Cfr Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), n. 6: « La fede della Chiesa è essenzialmente fede eucaristica e si alimenta in modo particolare alla mensa dell'Eucaristia. La fede e i Sacramenti sono due aspetti complementari della vita ecclesiale. Suscitata dall'annuncio della Parola di Dio, la fede è nutrita e cresce nell'incontro di grazia col Signore risorto che si realizza nei Sacramenti: La fede si esprime nel rito e il rito rafforza e fortifica la fede. Per questo, il Sacramento dell'altare sta sempre al centro della vita ecclesiale; grazie all'Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo!. Quanto più viva è la fede eucaristica nel Popolo di Dio, tanto più profonda è la sua partecipazione alla vita ecclesiale mediante la convinta adesione alla missione che Cristo ha affidato ai suoi discepoli. Di ciò è testimone la stessa storia della Chiesa. Ogni grande riforma è legata, in qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo »: L'Osservatore Romano, 14 marzo 2007, p. 2; Supplemento, pp. II-III.

21Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), n. 42: AAS 93 (2001), 296. Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), n. 12: « L'agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la pecorella smarrita, l'umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo  amore, questo, nella sua forma più radicale »: AAS 98 (2006), 228.

22Benedetto XVI, Udienza Generale (mercoledì 5 aprile 2006): L'Osservatore Romano, 6 aprile 2006, p. 4.

23Dovrebbe essere illuminante per tutti l'esperienza vissuta dalla Chiesa antica nel tempo delle persecuzioni, nonché l'insegnamento dato al riguardo proprio dalla Chiesa di Roma, che, escludendo le posizioni rigoriste dei Novaziani e dei Donatisti, esortava alla generosità del perdono e della riconciliazione nei confronti di coloro che, avendo abiurato (i « lapsi ») durante le persecuzioni, desideravano essere riammessi nella comunione della Chiesa.

24Giovanni Paolo II, Messaggio Alla vigilia ai cattolici in Cina (8 dicembre 1999), n. 6: L'Osservatore Romano, 11 dicembre 1999, p. 5.

25Cfr Mt 4, 8-10; Gv 6, 15.

26Cfr Is 42, 1-4.

27Cfr Gv 18, 37.

28Cfr Mt 26, 51-53; Gv 18, 36.

29Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, n. 11.

30Benedetto XVI, Udienza Generale (mercoledì 5 aprile 2006): L'Osservatore Romano, 6 aprile 2006, p. 4.

31Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 28.

32Benedetto XVI, Udienza Generale (mercoledì 5 aprile 2006): L'Osservatore Romano, 6 aprile 2006, p. 4.

33Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 174. Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 857 e 869.

34Giovanni Paolo II, Lett. ap. Apostolos suos (21 maggio 1998), n. 10: AAS 90 (1998), 648.

35Cfr C.I.C., can. 447.

36Statuti dell'Associazione Patriottica Cattolica Cinese (Chinese Catholic Patriotic Association, CCPA), 2004, art. 3.

37Omelia per il Giubileo dei Vescovi (8 ottobre 2000), n. 5: AAS 93 (2001), 28. Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Christus Dominus sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa, n. 6.

38Giovanni Paolo II, Omelia per il Giubileo dei Vescovi (8 ottobre 2000), n. 4: AAS 93 (2001), 27.

39Benedetto XVI, Udienza ai Vescovi nominati di recente (21 settembre 2006): AAS 98 (2006), 696.

40Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, n. 21. Cfr anche C.I.C., can. 375, § 2.

41Cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, n. 22. Cfr anche « Nota esplicativa previa », n. 2.

42China Catholic Bishops' College (CCBC).

43A livello universale si vedano, per esempio, le disposizioni dell'art. 18, paragrafo 1, dell'International Covenant on Civil and Political Rights del 16 dicembre 1966 (« Everyone shall have the right to freedom of thought, conscience and religion. This right shall include freedom to have or to adopt a religion or belief of his choice, and freedom, either individually or in community with others and in public or private, to manifest his religion or belief in worship, observance, practice and teaching ») e l'interpretazione, vincolante per gli Stati Membri, che ne ha dato il Comitato dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite nel « General Comment, No. 22 » (n. 4) del 30 luglio 1993 (« the practice and teaching of religion or belief includes acts integral to the conduct by religious groups of their basic affairs, such as the freedom to choose their religious leaders, priests and teachers, the freedom to establish seminaries or religious schools and the freedom to prepare and distribute religious texts or publications »).

A livello regionale poi si vedano, per esempio, i seguenti impegni, assunti nella Riunione di Vienna dai Rappresentanti degli Stati partecipanti alla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE): « Al fine di assicurare la libertà dell'individuo di professare e praticare una religione o una convinzione, gli Stati partecipanti, fra l'altro, (...) rispetteranno il diritto di tali comunità religiose di (...) organizzarsi secondo la propria struttura gerarchica e istituzionale, (...) scegliere, nominare e sostituire il proprio personale conformemente alle rispettive esigenze e alle proprie norme nonché a qualsiasi intesa liberamente accettata fra esse e il proprio Stato, (...) » (Documento Conclusivo del 1989, Principio n. 16 della sezione « Questioni relative alla sicurezza in Europa »).

Cfr anche Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, n. 4.

44Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Christus Dominus sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa, n. 20.

45Si vedano, al riguardo, le relative norme del C.I.C. (cfr can. 378).

46Cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, n. 23.

47Cfr C.I.C., cann. 265-272.

48Per una riflessione sulla dottrina e spiritualità del sacerdozio e sul carisma del celibato rimando al mio Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2006): L'Osservatore Romano, 23 dicembre 2006, p. 6.

49Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio La memoria liturgica alla Chiesa che è in Cina nel 70o anniversario dell'ordinazione a Roma del primo gruppo di Vescovi cinesi e nel 50o anniversario dell'istituzione della Gerarchia ecclesiastica in Cina (3 dicembre 1996), n. 4: AAS 89 (1997), 256.

50Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), n. 70: AAS 84 (1992), 782.

51Ibid., n. 29: AAS 84 (1992), 704.

52Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Ecclesia in Asia (6 novembre 1999), n. 46: AAS 92 (2000), 521. Cfr Benedetto XVI, Quinto Incontro Mondiale delle Famiglie in Spagna (Valencia 8 luglio 2006): « La famiglia è un bene necessario per i popoli, un fondamento indispensabile per la società ed un grande tesoro degli sposi durante tutta la loro vita. È un bene insostituibile per i figli che devono essere frutto dell'amore, della donazione totale e generosa dei genitori. Proclamare la verità integrale della famiglia, fondata nel matrimonio come Chiesa domestica e santuario della vita, è una grande responsabilità di tutti. [...] Cristo ha rivelato quale è sempre la fonte suprema della vita per tutti e, pertanto, anche per la famiglia: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 12- 13). L'amore di Dio stesso si è riversato su di noi nel battesimo. Per questo le famiglie sono chiamate a vivere quella qualità di amore, poiché il Signore è colui che si fa garante che ciò sia possibile per noi attraverso l'amore umano, sensibile, affettuoso e misericordioso come quello di Cristo »: AAS 98 (2006), 591-592.

53Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 47.

54Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), n. 3: AAS 74 (1982), 84.

55Come hanno detto i Padri sinodali della Settima Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi (1-30 ottobre 1987), nella formazione dei cristiani « un aiuto può essere dato anche da una catechesi post-battesimale a modo di catecumenato, mediante la riproposizione di alcuni elementi del Rituale dell'Iniziazione Cristiana degli Adulti, destinati a far cogliere e vivere le immense e straordinarie ricchezze e responsabilità del Battesimo ricevuto »: Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 61: AAS 81 (1989), 514. Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1230-1231.

56Omelia sul Monte delle Beatitudini (Israele, 24 marzo 2000), n. 5: L'Osservatore Romano, 25 marzo 2000, p. 5.


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INDICE

Saluto [1]
Scopo della Lettera [2]

PRIMA PARTE

SITUAZIONE DELLA CHIESA
ASPETTI TEOLOGICI

Globalizzazione, modernità e ateismo [3]
Disponibilità a un dialogo rispettoso e costruttivo [4]
Comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale [5]
Tensioni e divisioni all'interno della Chiesa: perdono e riconciliazione [6]
Comunità ecclesiali e organismi statali: rapporti da vivere nella verità e nella carità [7]
L'Episcopato cinese [8]
Nomina dei Vescovi [9]

SECONDA PARTE

ORIENTAMENTI
DI VITA PASTORALE

Sacramenti, governo delle diocesi, parrocchie [10]
Le province ecclesiastiche [11]
Le comunità cattoliche [12]
I presbiteri [13]
Le vocazioni e la formazione religiosa [14]
I fedeli laici e la famiglia [15]
L'iniziazione cristiana degli adulti [16]
La vocazione missionaria [17]

CONCLUSIONE

Revoca delle facoltà e delle direttive pastorali [18]
Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina [19]
Saluto finale



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Paparatzifan
00martedì 10 luglio 2007 23:37
Dal blog di Lella...

DOCUMENTO DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE: "RISPOSTE A QUESITI RIGUARDANTI ALCUNI ASPETTI CIRCA LA DOTTRINA SULLA CHIESA" , 10.07.2007

Di seguito pubblichiamo il Documento della Congregazione della Dottrina della Fede "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa".

[Fuori bollettino è a disposizione - nelle diverse lingue - anche un articolo di Commento al testo che viene reso noto oggi.]

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

RISPOSTE A QUESITI RIGUARDANTI ALCUNI ASPETTI

CIRCA LA DOTTRINA SULLA CHIESA


Introduzione

Il Concilio Vaticano II, con la Costituzione dogmatica Lumen gentium e con i Decreti sull'Ecumenismo (Unitatis redintegratio) e sulle Chiese orientali (Orientalium Ecclesiarum), ha contribuito in modo determinante ad una comprensione più profonda dell'ecclesiologia cattolica. Al riguardo anche i Sommi Pontefici hanno voluto offrire approfondimenti e orientamenti per la prassi: Paolo VI nella Lettera Enciclica Ecclesiam suam (1964) e Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Ut unum sint (1995).

Il conseguente impegno dei teologi, volto ad illustrare sempre meglio i diversi aspetti dell'ecclesiologia, ha dato luogo al fiorire di un'ampia letteratura in proposito. La tematica si è infatti rivelata di grande fecondità, ma talvolta ha anche avuto bisogno di puntualizzazioni e di richiami, come la Dichiarazione Mysterium Ecclesiae (1973), la Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica Communionis notio (1992) e la Dichiarazione Dominus Iesus (2000), tutte pubblicate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

La vastità dell'argomento e la novità di molti temi continuano a provocare la riflessione teologica, offrendo sempre nuovi contributi non sempre immuni da interpretazioni errate che suscitano perplessità e dubbi, alcuni dei quali sono stati sottoposti all'attenzione della Congregazione per la Dottrina della Fede. Essa, presupponendo l'insegnamento globale della dottrina cattolica sulla Chiesa, intende rispondervi precisando il significato autentico di talune espressioni ecclesiologiche magisteriali, che nel dibattito teologico rischiano di essere fraintese.

RISPOSTE AI QUESITI

Primo quesito: Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha forse cambiato la precedente dottrina sulla Chiesa ?

Risposta: Il Concilio Ecumenico Vaticano II né ha voluto cambiare né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente.

Proprio questo affermò con estrema chiarezza Giovanni XXIII allinizio del Concilio1. Paolo VI lo ribadì2 e così si espresse nellatto di promulgazione della Costituzione Lumen gentium: "E migliore commento sembra non potersi fare che dicendo che questa promulgazione nulla veramente cambia della dottrina tradizionale. Ciò che Cristo volle, vogliamo noi pure. Ciò che era, resta. Ciò che la Chiesa per secoli insegnò, noi insegniamo parimenti. Soltanto ciò che era semplicemente vissuto, ora è espresso; ciò che era incerto, è chiarito; ciò che era meditato, discusso, e in parte controverso, ora giunge a serena formulazione"3. I Vescovi ripetutamente manifestarono e vollero attuare questa intenzione4.

Secondo quesito: Come deve essere intesa laffermazione secondo cui la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica ?

Risposta: Cristo "ha costituito sulla terra" ununica Chiesa e lha istituita come "comunità visibile e spirituale"5, che fin dalla sua origine e nel corso della storia sempre esiste ed esisterà, e nella quale soltanto sono rimasti e rimarranno tutti gli elementi da Cristo stesso istituiti6. "Questa è lunica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica [&]. Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui"7.

Nella Costituzione dogmatica Lumen gentium 8 la sussistenza è questa perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica8, nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra.

Secondo la dottrina cattolica, mentre si può rettamente affermare che la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse9, la parola "sussiste", invece, può essere attribuita esclusivamente alla sola Chiesa cattolica, poiché si riferisce appunto alla nota dellunità professata nei simboli della fede (Credo&la Chiesa "una"); e questa Chiesa "una" sussiste nella Chiesa cattolica10.

Terzo quesito: Perché viene adoperata lespressione "sussiste nella" e non semplicemente la forma verbale "è" ?

Risposta: Luso di questa espressione, che indica la piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, non cambia la dottrina sulla Chiesa; trova, tuttavia, la sua vera motivazione nel fatto che esprime più chiaramente come al di fuori della sua compagine si trovino "numerosi elementi di santificazione e di verità", "che in quanto doni propri della Chiesa di Cristo spingono allunità cattolica"11.

"Perciò le stesse Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che hanno delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Infatti lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica"12.

Quarto quesito: Perché il Concilio Ecumenico Vaticano II attribuisce il nome di "Chiese" alle Chiese orientali separate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica ?

Risposta: Il Concilio ha voluto accettare luso tradizionale del nome. "Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e lEucaristia, per mezzo dei quali restano ancora uniti con noi da strettissimi vincoli"13, meritano il titolo di "Chiese particolari o locali"14, e sono chiamate Chiese sorelle delle Chiese particolari cattoliche15.

"Perciò per la celebrazione dellEucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce"16. Siccome, però, la comunione con la Chiesa cattolica, il cui Capo visibile è il Vescovo di Roma e Successore di Pietro, non è un qualche complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi principi costitutivi interni, la condizione di Chiesa particolare, di cui godono quelle venerabili Comunità cristiane, risente tuttavia di una carenza17.

Daltra parte luniversalità propria della Chiesa, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, a causa della divisione dei cristiani, trova un ostacolo per la sua piena realizzazione nella storia18.

Quinto quesito: Perché i testi del Concilio e del Magistero successivo non attribuiscono il titolo di "Chiesa" alle Comunità cristiane nate dalla Riforma del 16° secolo ?

Risposta: Perché, secondo la dottrina cattolica, queste Comunità non hanno la successione apostolica nel sacramento dellOrdine, e perciò sono prive di un elemento costitutivo essenziale dellessere Chiesa. Le suddette Comunità ecclesiali, che, specialmente a causa della mancanza del sacerdozio ministeriale, non hanno conservato la genuina e integra sostanza del Mistero eucaristico19, non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate "Chiese" in senso proprio20.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nellUdienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha approvato e confermato queste Risposte, decise nella sessione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 29 giugno 2007, nella solennità dei Ss. Pietro e Paolo, Apostoli.

William Cardinale Levada
Prefetto

+ Angelo Amato, S.D.B.
Arcivescovo tit. di Sila
Segretario


Paparatzifan
00giovedì 12 luglio 2007 21:59
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AL PARROCO DI LORENZAGO DI CADORE IN OCCASIONE DEL CONCERTO ORGANIZZATO IN SUO ONORE NEL GIORNO DELLA FESTA DI SAN BENEDETTO , 12.07.2007

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato ieri al Parroco di Lorenzago di Cadore, don Sergio De Martin Modolado, in occasione del concerto organizzato in Suo onore nel giorno della festa di San Benedetto, e che è stato letto ieri sera nella chiesa parrocchiale in apertura dellevento musicale:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Signor Parroco,

Sono tanto grato a Lei, alle Autorità Cittadine e allintera Comunità di Lorenzago di Cadore per laccoglienza che mi è stata riservata allarrivo in questa bella località circondata da bellissimi boschi e dalle maestose montagne delle Dolomiti.

Ringrazio, in particolare, per gli auguri per un fruttuoso periodo di riposo, tanto graditi perché avvalorati dalla preghiera sulla quale conto molto per compiere la missione che il Signore mi ha affidato.

Sono stato informato anche delliniziativa di onorare San Benedetto, patrono dellEuropa, nel giorno della sua festa, con un concerto dorgano e con la presentazione della mostra dedicata ai "Tesori darte nelle chiese dellAlto Bellunese", che avrà luogo questa sera nella Chiesa parrocchiale.

Un ringraziamento particolare al Maestro José Luis González Uriol per il concerto in cui suonerà lo storico organo, re degli strumenti musicali, appena restaurato, e ai componenti la Schola Cantorum di Lorenzago perché, come ricorda SantAgostino, "chi canta prega due volte".

Assicurando la mia spirituale partecipazione allevento, mi è caro porgere a tutti i presenti e allintera Comunità il mio cordiale e affettuoso saluto, accompagnato da uno speciale ricordo al Signore in questa vigilia della festa dei SS. Patroni Ermagora e Fortunato.

Con la mia Benedizione.

BENEDICTUS PP. XVI

Paparatzifan
00lunedì 23 luglio 2007 23:41
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA XXIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ , 21.07.2007

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI invia ai Giovani del Mondo in preparazione alla XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, che si terrà a Sydney dal 15 al 20 luglio 2008 sul tema: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni" (At 1,8):

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari giovani!

1. La XXIII Giornata Mondiale della Gioventù

Ricordo sempre con grande gioia i vari momenti trascorsi insieme a Colonia, nell'agosto 2005. Alla fine di quell'indimenticabile manifestazione di fede e di entusiasmo, che resta impressa nel mio spirito e nel mio cuore, vi ho dato appuntamento per il prossimo incontro che si terrà a Sydney, nel 2008.

Sarà la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù ed avrà come tema: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni» (At 1,8).

Il filo conduttore della preparazione spirituale all'appuntamento di Sydney è lo Spirito Santo e la missione. Se nel 2006 ci siamo soffermati a meditare sullo Spirito Santo come Spirito di verità, nel 2007 cerchiamo di scoprirlo più profondamente quale Spirito d'amore, per incamminarci poi verso la Giornata Mondiale della Gioventù 2008, riflettendo sullo Spirito di fortezza e testimonianza, che ci dona il coraggio di vivere il Vangelo e l'audacia di proclamarlo. Diventa perciò fondamentale che ciascuno di voi giovani, nella sua comunità e con i suoi educatori, possa riflettere su questo Protagonista della storia della salvezza che è lo Spirito Santo o Spirito di Gesù, per raggiungere questi alti scopi: riconoscere la vera identità dello Spirito anzitutto ascoltando la Parola di Dio nella Rivelazione della Bibbia; prendere una lucida coscienza della sua continua, attiva presenza nella vita della Chiesa, in particolare riscoprendo che lo Spirito Santo si pone come "anima", respiro vitale della propria vita cristiana, grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana - Battesimo, Confermazione ed Eucaristia; diventare così capace di maturare una comprensione di Gesù sempre più approfondita e gioiosa e, contemporaneamente, di realizzare un'efficace attuazione del Vangelo all'alba del terzo millennio.

Volentieri con questo messaggio vi offro un tracciato di meditazione da approfondire lungo quest'anno di preparazione, su cui verificare la qualità della vostra fede nello Spirito Santo, ritrovarla se smarrita, rafforzarla se indebolita, gustarla come compagnia del Padre e del Figlio Gesù Cristo, grazie appunto all'opera indispensabile dello Spirito Santo.

Non dimenticate mai che la Chiesa, anzi l'umanità stessa, quella che vi sta attorno e che vi aspetta nel vostro futuro, attende molto da voi giovani perché avete in voi il dono supremo del Padre, lo Spirito di Gesù.

2. La promessa dello Spirito Santo nella Bibbia

L'attento ascolto della Parola di Dio a riguardo del mistero e dell'opera dello Spirito Santo ci apre a conoscenze grandi e stimolanti che riassumo nei punti seguenti.

Poco prima della sua ascensione, Gesù disse ai discepoli: «Manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso» (Lc 24,49). Ciò si realizzò nel giorno della Pentecoste, quando essi erano riuniti in preghiera nel Cenacolo con la Vergine Maria. L'effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa nascente fu il compimento di una promessa di Dio assai più antica, annunciata e preparata in tutto l'Antico Testamento.

In effetti, fin dalle prime pagine la Bibbia evoca lo spirito di Dio come un soffio che «aleggiava sulle acque» (cfr Gn 1,2) e precisa che Dio soffiò nelle narici dell'uomo un alito di vita (cfr Gn 2,7), infondendogli così la vita stessa. Dopo il peccato originale, lo spirito vivificante di Dio si manifesterà diverse volte nella storia degli uomini, suscitando profeti per incitare il popolo eletto a tornare a Dio e ad osservarne fedelmente i comandamenti. Nella celebre visione del profeta Ezechiele, Dio fa rivivere con il suo spirito il popolo d'Israele, raffigurato da "ossa inaridite" (cfr 37,1-14). Gioele profetizza un’"effusione dello spirito" su tutto il popolo, nessuno escluso: «Dopo questo - scrive l'Autore sacro -, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo... Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio spirito» (3,1-2).

Nella "pienezza del tempo" (cfr Gal 4,4), l'angelo del Signore annuncia alla Vergine di Nazaret che lo Spirito Santo, "potenza dell'Altissimo", scenderà e stenderà su di lei la sua ombra. Colui che ella partorirà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio (cfr Lc 1,35). Secondo l'espressione del profeta Isaia, il Messia sarà colui sul quale si poserà lo Spirito del Signore (cfr 11,1-2; 42,1). Proprio questa profezia Gesù riprese all'inizio del suo ministero pubblico nella sinagoga di Nazaret: «Lo Spirito del Signore - Egli disse fra lo stupore dei presenti - è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19; cfr Is 61,1-2). Rivolgendosi ai presenti, riferirà a se stesso queste parole profetiche affermando: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Ed ancora, prima della sua morte in croce, annuncerà più volte ai discepoli la venuta dello Spirito Santo, il "Consolatore", la cui missione sarà quella di rendergli testimonianza e di assistere i credenti, insegnando loro e guidandoli alla Verità tutta intera (cfr Gv 14,16-17.25-26; 15,26; 16,13).

3. La Pentecoste, punto di partenza della missione della Chiesa

La sera del giorno della sua risurrezione Gesù, apparendo ai discepoli, «alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo"» (Gv 20,22). Con ancor più forza lo Spirito Santo scese sugli Apostoli il giorno della Pentecoste: «Venne all'improvviso dal cielo un rombo - si legge negli Atti degli Apostoli - come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (2,2-3).

Lo Spirito Santo rinnovò interiormente gli Apostoli, rivestendoli di una forza che li rese audaci nell'annunciare senza paura: «Cristo è morto e risuscitato!». Liberi da ogni timore essi iniziarono a parlare con franchezza (cfr At 2,29; 4,13; 4,29.31). Da pescatori intimoriti erano diventati araldi coraggiosi del Vangelo. Persino i loro nemici non riuscivano a capire come mai uomini «senza istruzione e popolani» (cfr At 4,13) fossero in grado di mostrare un simile coraggio e sopportare le contrarietà, le sofferenze e le persecuzioni con gioia. Niente poteva fermarli. A coloro che cercavano di ridurli al silenzio rispondevano: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Così nacque la Chiesa, che dal giorno della Pentecoste non ha cessato di irradiare la Buona Novella «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).

4. Lo Spirito Santo, anima della Chiesa e principio di comunione

Ma per comprendere la missione della Chiesa dobbiamo tornare nel Cenacolo dove i discepoli restarono insieme (cfr Lc 24,49), pregando con Maria, la "Madre", in attesa dello Spirito promesso. A quest'icona della Chiesa nascente ogni comunità cristiana deve costantemente ispirarsi. La fecondità apostolica e missionaria non è principalmente il risultato di programmi e metodi pastorali sapientemente elaborati ed "efficienti", ma è frutto dell'incessante preghiera comunitaria (cfr Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, 75). L'efficacia della missione presuppone, inoltre, che le comunità siano unite, abbiano cioè «un cuore solo e un'anima sola» (cfr At 4,32), e siano disposte a testimoniare l'amore e la gioia che lo Spirito Santo infonde nei cuori dei fedeli (cfr At 2,42). Il Servo di Dio Giovanni Paolo II ebbe a scrivere che prima di essere azione, la missione della Chiesa è testimonianza e irradiazione (cfr Enc. Redemptoris missio, 26). Così avveniva all'inizio del cristianesimo, quando i pagani, scrive Tertulliano, si convertivano vedendo l'amore che regnava tra i cristiani: «Vedi - dicono - come si amano tra loro» (cfr Apologetico, 39 § 7).

Concludendo questo rapido sguardo alla Parola di Dio nella Bibbia, vi invito a notare come lo Spirito Santo sia il dono più alto di Dio all'uomo, quindi la testimonianza suprema del suo amore per noi, un amore che si esprime concretamente come "sì alla vita" che Dio vuole per ogni sua creatura. Questo "sì alla vita" ha la sua forma piena in Gesù di Nazaret e nella sua vittoria sul male mediante la redenzione. A questo proposito non dimentichiamo mai che l'Evangelo di Gesù, proprio in forza dello Spirito, non si riduce ad una pura constatazione, ma vuole diventare "bella notizia per i poveri, liberazione per i prigionieri, vista ai ciechi...". E’ quanto si manifestò con vigore il giorno di Pentecoste, diventando grazia e compito della Chiesa verso il mondo, la sua missione prioritaria.

Noi siamo i frutti di questa missione della Chiesa per opera dello Spirito Santo. Noi portiamo dentro di noi quel sigillo dell'amore del Padre in Gesù Cristo che è lo Spirito Santo. Non dimentichiamolo mai, perché lo Spirito del Signore si ricorda sempre di ciascuno e vuole, mediante voi giovani in particolare, suscitare nel mondo il vento e il fuoco di una nuova Pentecoste.

5. Lo Spirito Santo "Maestro interiore"

Cari giovani, anche oggi lo Spirito Santo continua dunque ad agire con potenza nella Chiesa e i suoi frutti sono abbondanti nella misura in cui siamo disposti ad aprirci alla sua forza rinnovatrice. Per questo è importante che ciascuno di noi Lo conosca, entri in rapporto con Lui e da Lui si lasci guidare. Ma a questo punto sorge naturalmente una domanda: chi è per me lo Spirito Santo? Non sono infatti pochi i cristiani per i quali Egli continua ad essere il "grande sconosciuto". Ecco perché, preparandoci alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, ho voluto invitarvi ad approfondire la conoscenza personale dello Spirito Santo. Nella nostra professione di fede proclamiamo: «Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio» (Simbolo di Nicea-Costantinopoli). Sì, lo Spirito Santo, Spirito d'amore del Padre e del Figlio, è Sorgente di vita che ci santifica, «perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Tuttavia non basta conoscerLo; occorre accoglierLo come guida delle nostre anime, come il "Maestro interiore" che ci introduce nel Mistero trinitario, perché Egli solo può aprirci alla fede e permetterci di viverla ogni giorno in pienezza. Egli ci spinge verso gli altri, accende in noi il fuoco dell'amore, ci rende missionari della carità di Dio.

So bene quanto voi giovani portiate nel cuore grande stima ed amore verso Gesù, come desideriate incontrarLo e parlare con Lui. Ebbene ricordatevi che proprio la presenza dello Spirito in noi attesta, costituisce e costruisce la nostra persona sulla Persona stessa di Gesù crocifisso e risorto. Rendiamoci dunque familiari dello Spirito Santo, per esserlo di Gesù.

6. I Sacramenti della Confermazione e dell'Eucaristia

Ma - direte - come possiamo lasciarci rinnovare dallo Spirito Santo e crescere nella nostra vita spirituale? La risposta - lo sapete - è: lo si può per mezzo dei Sacramenti, perché la fede nasce e si irrobustisce in noi grazie ai Sacramenti, innanzitutto a quelli dell'iniziazione cristiana: il Battesimo, la Confermazione e l'Eucaristia, che sono complementari e inscindibili (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1285).

Questa verità sui tre Sacramenti che sono all’inizio del nostro essere cristiani è forse trascurata nella vita di fede di non pochi cristiani, per i quali essi sono gesti compiuti nel passato senza incidenza reale sull’oggi, come radici senza linfa vitale. Avviene che, ricevuta la Confermazione, diversi giovani si allontanano dalla vita di fede. E ci sono anche giovani che nemmeno ricevono questo sacramento. Eppure è con i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e poi, in modo continuativo, dell'Eucaristia che lo Spirito Santo ci rende figli del Padre, fratelli di Gesù, membri della sua Chiesa, capaci di una vera testimonianza al Vangelo, fruitori della gioia della fede.

Vi invito perciò a riflettere su quanto qui vi scrivo. Oggi è particolarmente importante riscoprire il sacramento della Confermazione e ritrovarne il valore per la nostra crescita spirituale. Chi ha ricevuto i sacramenti del Battesimo e della Confermazione ricordi che è diventato "tempio dello Spirito": Dio abita in lui. Sia sempre cosciente di questo e faccia sì che il tesoro che è in lui porti frutti di santità. Chi è battezzato, ma non ha ancora ricevuto il sacramento della Confermazione, si prepari a riceverlo sapendo che così diventerà un cristiano "compiuto", poiché la Confermazione perfeziona la grazia battesimale (cfr CCC, 1302-1304).

La Confermazione ci dona una forza speciale per testimoniare e glorificare Dio con tutta la nostra vita (cfr Rm 12,1); ci rende intimamente consapevoli della nostra appartenenza alla Chiesa, "Corpo di Cristo", del quale tutti siamo membra vive, solidali le une con le altre (cfr 1 Cor 12,12-25). Lasciandosi guidare dallo Spirito, ogni battezzato può apportare il proprio contributo all'edificazione della Chiesa grazie ai carismi che Egli dona, poiché «a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (1 Cor 12,7). E quando lo Spirito agisce reca nell'animo i suoi frutti che sono «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). A quanti tra voi non hanno ancora ricevuto il sacramento della Confermazione rivolgo il cordiale invito a prepararsi ad accoglierlo, chiedendo l'aiuto dei loro sacerdoti. E' una speciale occasione di grazia che il Signore vi offre: non lasciatevela sfuggire!

Vorrei qui aggiungere una parola sull'Eucaristia. Per crescere nella vita cristiana, è necessario nutrirsi del Corpo e Sangue di Cristo: infatti, siamo battezzati e confermati in vista dell'Eucaristia (cfr CCC, 1322; Esort. apost. Sacramentum caritatis, 17). "Fonte e culmine" della vita ecclesiale, l'Eucaristia è una "Pentecoste perpetua", poiché ogni volta che celebriamo la Santa Messa riceviamo lo Spirito Santo che ci unisce più profondamente a Cristo e in Lui ci trasforma. Se, cari giovani, parteciperete frequentemente alla Celebrazione eucaristica, se consacrerete un po' del vostro tempo all'adorazione del SS.mo Sacramento, dalla Sorgente dell'amore, che è l'Eucaristia, vi verrà quella gioiosa determinazione di dedicare la vita alla sequela del Vangelo. Sperimenterete al tempo stesso che là dove non arrivano le nostre forze, è lo Spirito Santo a trasformarci, a colmarci della sua forza e a renderci testimoni pieni dell'ardore missionario del Cristo risorto.

7. La necessità e l'urgenza della missione

Molti giovani guardano alla loro vita con apprensione e si pongono tanti interrogativi circa il loro futuro. Essi si chiedono preoccupati: Come inserirsi in un mondo segnato da numerose e gravi ingiustizie e sofferenze? Come reagire all'egoismo e alla violenza che talora sembrano prevalere? Come dare senso pieno alla vita? Come contribuire perché i frutti dello Spirito che abbiamo sopra ricordato, "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé" (n. 6), inondino questo mondo ferito e fragile, il mondo dei giovani anzitutto? A quali condizioni lo Spirito vivificante della prima creazione e soprattutto della seconda creazione o redenzione può diventare l'anima nuova dell'umanità? Non dimentichiamo che quanto più è grande il dono di Dio - e quello dello Spirito di Gesù è il massimo - altrettanto è grande il bisogno del mondo di riceverlo e dunque grande ed appassionante è la missione della Chiesa di darne testimonianza credibile. E voi giovani, con la Giornata Mondiale della Gioventù, in certo modo attestate la volontà di partecipare a tale missione. A questo proposito, mi preme, cari amici, ricordarvi qui alcune verità di riferimento su cui meditare.

Ancora una volta vi ripeto che solo Cristo può colmare le aspirazioni più intime del cuore dell'uomo; solo Lui è capace di umanizzare l'umanità e condurla alla sua "divinizzazione". Con la potenza del suo Spirito Egli infonde in noi la carità divina, che ci rende capaci di amare il prossimo e pronti a metterci al suo servizio. Lo Spirito Santo illumina, rivelando Cristo crocifisso e risorto, ci indica la via per diventare più simili a Lui, per essere cioè "espressione e strumento dell'amore che da Lui promana" (Enc. Deus caritas est, 33). E chi si lascia guidare dallo Spirito comprende che mettersi al servizio del Vangelo non è un'opzione facoltativa, perché avverte quanto sia urgente trasmettere anche agli altri questa Buona Novella. Tuttavia, occorre ricordarlo ancora, possiamo essere testimoni di Cristo solo se ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, che è «l'agente principale dell'evangelizzazione» (cfr Evangelii nuntiandi, 75) e «il protagonista della missione» (cfr Redemptoris missio, 21). Cari giovani, come hanno più volte ribadito i miei venerati Predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, annunciare il Vangelo e testimoniare la fede è oggi più che mai necessario (cfr Redemptoris missio, 1). Qualcuno pensa che presentare il tesoro prezioso della fede alle persone che non la condividono significhi essere intolleranti verso di loro, ma non è così, perché proporre Cristo non significa imporlo (cfr Evangelii nuntiandi, 80). Del resto, duemila anni or sono dodici Apostoli hanno dato la vita affinché Cristo fosse conosciuto e amato. Da allora il Vangelo continua nei secoli a diffondersi grazie a uomini e donne animati dallo stesso loro zelo missionario. Pertanto, anche oggi occorrono discepoli di Cristo che non risparmino tempo ed energie per servire il Vangelo. Occorrono giovani che lascino ardere dentro di sé l'amore di Dio e rispondano generosamente al suo appello pressante, come hanno fatto tanti giovani beati e santi del passato e anche di tempi a noi vicini. In particolare, vi assicuro che lo Spirito di Gesù oggi invita voi giovani ad essere portatori della bella notizia di Gesù ai vostri coetanei. L’indubbia fatica degli adulti di incontrare in maniera comprensibile e convincente l'area giovanile può essere un segno con cui lo Spirito intende spingere voi giovani a farvi carico di questo. Voi conoscete le idealità, i linguaggi, ed anche le ferite, le attese, ed insieme la voglia di bene dei vostri coetanei. Si apre il vasto mondo degli affetti, del lavoro, della formazione, dell’attesa, della sofferenza giovanile... Ognuno di voi abbia il coraggio di promettere allo Spirito Santo di portare un giovane a Gesù Cristo, nel modo che ritiene migliore, sapendo "rendere conto della speranza che è in lui, con dolcezza" (cfr 1 Pt 3,15).

Ma per raggiungere questo scopo, cari amici, siate santi, siate missionari, poiché non si può mai separare la santità dalla missione (cfr Redemptoris missio, 90).
Non abbiate paura di diventare santi missionari come san Francesco Saverio, che ha percorso l'Estremo Oriente annunciando la Buona Novella fino allo stremo delle forze, o come santa Teresa del Bambino Gesù, che fu missionaria pur non avendo lasciato il Carmelo: sia l'uno che l'altra sono "Patroni delle Missioni". Siate pronti a porre in gioco la vostra vita per illuminare il mondo con la verità di Cristo; per rispondere con amore all'odio e al disprezzo della vita; per proclamare la speranza di Cristo risorto in ogni angolo della terra.

8. Invocare una "nuova Pentecoste" sul mondo

Cari giovani, vi attendo numerosi nel luglio 2008 a Sydney. Sarà un'occasione provvidenziale per sperimentare appieno la potenza dello Spirito Santo. Venite numerosi, per essere segno di speranza e sostegno prezioso per le comunità della Chiesa in Australia che si preparano ad accogliervi. Per i giovani del Paese che ci ospiterà sarà un'opportunità eccezionale di annunciare la bellezza e la gioia del Vangelo ad una società per molti versi secolarizzata. L'Australia, come tutta l'Oceania, ha bisogno di riscoprire le sue radici cristiane. Nell'Esortazione post-sinodale Ecclesia in Oceania Giovanni Paolo II scriveva: «Con la potenza dello Spirito Santo, la Chiesa in Oceania si sta preparando per una nuova evangelizzazione di popoli che oggi sono affamati di Cristo... La nuova evangelizzazione è una priorità per la Chiesa in Oceania» (n. 18).

Vi invito a dedicare tempo alla preghiera e alla vostra formazione spirituale in quest'ultimo tratto del cammino che ci conduce alla XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, affinché a Sydney possiate rinnovare le promesse del vostro Battesimo e della vostra Confermazione. Insieme invocheremo lo Spirito Santo, chiedendo con fiducia a Dio il dono di una rinnovata Pentecoste per la Chiesa e per l'umanità del terzo millennio.

Maria, unita in preghiera agli Apostoli nel Cenacolo, vi accompagni durante questi mesi ed ottenga per tutti i giovani cristiani una nuova effusione dello Spirito Santo che ne infiammi i cuori. Ricordate: la Chiesa ha fiducia in voi! Noi Pastori, in particolare, preghiamo perché amiate e facciate amare sempre più Gesù e Lo seguiate fedelmente. Con questi sentimenti vi benedico tutti con grande affetto.

Da Lorenzago, 20 luglio 2007

Paparatzifan
00venerdì 31 agosto 2007 19:48
Dal blog di Lella...


La traduzione italiana non ufficiale di lavoro a cura di Korazym.org dall’originale tedesco del testo integrale delle lettere del papa

La lettera di accompagnamento indirizzata al segretario generale della Conferenza della stampa ecclesiale austriaca Walter Achleitner

Castel Gandolfo
4.8.2007

Hernn Mag. Walter Achleitner
Segretario generale
della Conferenza della stampa ecclesiale austriaca

Egregio signor segretario generale!

Nei giorni silenziosi in Castel Gandolfo ho trovato finalmente il tempo per scrivere la lettera promessa ai giornali ecclesiali austriaci, che Le accludo. Spero che essa possa raggiungere i lettori ancora in tempo prima della mia visita in Austria.

Con cortesi saluti

Benedictus PP XVI


La lettera ai giornali ecclesiali dell’Austria

Care lettrici e cari lettori
dei giornali ecclesiali austriaci!

La mia visita in Austria si avvicina sempre di più. Lo sapete: amo questo Paese, che mi è vicino dalla mia infanzia - dal tempo delle passeggiate domenicali, che all’inizio degli anni trenta facevamo con nostra madre a Ostermiething, a Sankt Radegund e in altri luoghi sulla sponda austriaca del Salzach. Amo i paesaggi incantevoli della vostra Patria, la grande cultura austriaca e la gente amabile del vostro Paese. Nella mia cappella privata, c'è una copia della Madre di Dio di Mariazell, che papa Giovanni Paolo II portò a casa proprio da lì. Inoltre, i vescovi austriaci hanno fatto scolpire per me, una bella statua di legno di san Giuseppe, nelle cui braccia dorme fiduciosamente al sicuro il Bambino Gesù. Quando prego il mio breviario o rimango nella cappella per pregare, mi guarda il volto buono della Madre di Dio di Mariazell, e allo stesso tempo sento qualcosa della sicurezza che viene trasmessa dalla familiare figura di san Giuseppe al Bambino Gesù. Ecco così che con i santi, è sempre con me anche l’Austria, il Paese nel cuore centrale dell’Europa, che ha dato alla fede forme così multiple e luminose, da toccare persino uomini, che non o non più condividono la fede, ma amano la bellezza che essa ha prodotto.

Quando verrò in Austria, incontrerò la grande cultura che si è formata nei secoli. Ma incontrerò soprattutto anche il presente: con le difficoltà e le domande di un tempo che si muove sempre più velocemente; la fatica della fede e dell’essere cristiano in culture e tradizioni diverse tra loro. Quando incontrerò però i pellegrini a Mariazell, i fedeli a Vienna, i volontari da tutti i settori della società e i giovani sulla via verso il sacerdozio in Heiligenkreuz, so già che vedrò una Chiesa viva, che anche nelle difficoltà quotidiane prova la gioia della fede; che sa come è bello conoscere Dio, conoscere il Suo Volto, che ci è reso visibile in Gesù Cristo.

In Austria, come del resto anche nel mondo intero, con cui m’incontro quasi ogni giorno con le visite dei vescovi, la fede non è soltanto grande storia. È il presente e apre la porta al futuro. In Brasile nella "Fazenda da Esperança" ho incontrato in modo indimenticabile dei giovani, che erano diventati schiavi della droga e che perciò avevano perso la gioia nella vita, nella fede e nel futuro. Scoprire Dio ha significato per loro - così hanno testimoniato - ritrovare la speranza e riottenere la gioia nella vita, nel futuro.

La fede ha radici profonde ed è proprio per questo che apre al futuro e dà la vita. Preghiamo insieme perché la mia visita in Austria aiuti tutti noi a ridiventare gioiosi in Dio e così a costruire il futuro, che è speranza.

Con un cordiale Grüß Gott

vostro

Benedictus PP XVI

Castel Gandolfo 4.8.2007

© Copyright Korazym


Paparatzifan
00sabato 1 settembre 2007 23:06
VISITA PASTORALE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A LORETO IN OCCASIONE DELL’AGORÀ DEI GIOVANI ITALIANI

PREGHIERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Maria, Madre del sì, tu hai ascoltato Gesù
e conosci il timbro della sua voce e il battito del suo cuore.
Stella del mattino, parlaci di Lui
e raccontaci il tuo cammino per seguirlo nella via della fede.

Maria, che a Nazareth hai abitato con Gesù,
imprimi nella nostra vita i tuoi sentimenti,
la tua docilità, il tuo silenzio che ascolta
e fa fiorire la Parola in scelte di vera libertà.

Maria, parlaci di Gesù, perché la freschezza della nostra fede
brilli nei nostri occhi e scaldi il cuore di chi ci incontra,
come Tu hai fatto visitando Elisabetta
che nella sua vecchiaia ha gioito con te per il dono della vita.

Maria, Vergine del Magnificat,
aiutaci a portare la gioia nel mondo e, come a Cana,
spingi ogni giovane, impegnato nel servizio ai fratelli,
a fare solo quello che Gesù dirà.

Maria, poni il tuo sguardo sull'Agorà dei giovani,
perché sia il terreno fecondo della Chiesa italiana.
Prega perché Gesù, morto e risorto, rinasca in noi
e ci trasformi in una notte piena di luce, piena di Lui.

Maria, Madonna di Loreto, porta del cielo,
aiutaci a levare in alto lo sguardo.
Vogliamo vedere Gesù. Parlare con Lui.
Annunciare a tutti il Suo amore.

BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

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