Altro che transizione

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Justee
00giovedì 21 febbraio 2013 14:11
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Altro che transizione
VATICANISTA DE LA STAMPA
Nel 2005 molti osservatori si aspettavano un pontificato di tranzione. In realtà dopo gli otti anni di Joseph Ratzinger sul Soglio di Pietro nulla sarà più come prima. D'ora in poi la "purificazione" della chiesa sarà priorità di governo per chiunque verrà eletto suo successore.Di certezze, al Conclave che eleggerà il successore di Benedetto XVI, ce ne sono poche. Forse solo una: che non esiste, al contrario di quanto accadde nel 2005, un candidato che spicca. Non c'è, insomma, un Ratzinger. Candidature solide, certo, si stanno delineando. Ma la situazione inedita creata dal Papa con l'annuncio-choc della rinuncia al soglio petrino rende friabile ogni prospettiva e non esclude sorprese, colpi di scena, alleanza impreviste. Una situazione implicita nella stessa figura di Benedetto XVI. Dopo un pontificato breve ma ricchissimo di contenuti e rivoluzionario nell'azione moralizzatrice (durante il quale la Chiesa colpita dagli scandali è stata spesso una «barca in balia della tempesta» secondo la definizione dello stesso Ratzinger), il prossimo dovrà essere un papato in continuità con la linea della purificazione. Nella scelta del successore di Benedetto XVI, oltre ai criteri geo-politici, all'influenza delle grandi organizzazioni cattoliche e alle dinamiche tra diverse visioni sul futuro della Chiesa, conteranno anche l'età e le condizioni di salute del nuovo Papa. Insieme alla sua capacità di esercitare un governo sicuro, autorevole, magari anche «carismatico», in mezzo a fronti contrapposti. La «caccia» è quindi al papabile che mostri l'energia necessaria per assumere con pugno deciso il governo della Chiesa, proprio quell'energia e quel vigore che Benedetto XVI, giunto agli 86 anni (Papa più anziano dell'ultimo secolo), sente di non avere più. Perciò la (relativamente) giovane età e le buone condizioni di salute saranno criteri determinanti. Ciò esclude gli over 75, ma non la possibilità del primo extraeuropeo sul Soglio. Col grande timore di Roma per la sorpresa.Uomo di Chiesa legato alla tradizione, capace, però, di un gesto rivoluzionario. Parte integrante dell''establishment' wojtyliano, eppure estraneo da sempre ai giochi di corte. Guida suprema della Curia romana, alla quale, con l'annuncio delle dimissioni, ha però dato una sorta di 'schiaffo'. Fu scelto, tra l'altro, per solidità dottrinale, e molti vorrebbero che anche il suo successore sia portatore di un cattolicesimo identitario e capace di rilanciare la Chiesa nel mondo odierno. Ma nel suo gesto si possono intravedere altre indicazioni, a partire dalla necessità di un Pontefice energico e capace di operare cambiamenti. Se, poi, ha validità una sorta di legge del "pendolo", si può pensare che dopo un Papa anziano e proveniente dalla Curia, la scelta dei cardinali elettori cada su un porporato più giovane e magari a capo di una diocesi del mondo. Nelle Lettera del 12 marzo 2009, Benedetto XVI parla con amarezza delle polemiche planetarie: «A volte si ha l' impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo, almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio». E ancora: «Se qualcuno osa avvicinarglisi, in questo caso il Papa, perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo». Parole queste ultime che lasciano comprendere come si senta avvilito per gli attacchi subiti. E siamo solo alla vigilia del 2010, l'annus horribilis nel quale sono venuti fuori gli scandali sugli abusi negli Stati Uniti, in Germania e Irlanda. Ai cattolici di questo paese, in una lettera datata 19 marzo, giorno del suo onomastico, Joseph Ratzinger confida di aver versato le sue lacrime venendo a conoscenza delle sofferenze di tanti innocenti, ma questo non gli ha risparmiato lo strazio di false accuse con le quali soprattutto nel 2010 si è tentato di coinvolgere prima il fratello («colpevole» di aver dato forse un ceffone a qualche piccolo corista della Cattedrale di Ratisbona) e poi addirittura il Papa stesso nello scandalo, facendolo passare ingiustamente come un insabbiatore, mentre in realtà altri cardinali di Curia gli avevano impedito di procedere contro il fondatore dei Legionari Marcial Maciel e l'arcivescovo di Vienna, cardinale Groer, spingendo l'allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede a chiedere di lasciare il suo incarico. Giovanni Paolo II volle che restasse al suo posto e consentì che le inchieste fossero alla fine avviate. L'11 maggio successivo sull'aereo che lo porta a Lisbona, Benedetto XVI pronuncia parole inequivocabili: «non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall'interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia». C'è poi l'autentica «via Crucis» degli incontri con le vittime della pedofilia (in Vaticano, negli Stati Uniti, in Australia, a Malta, in Gran Bretagna e in Germania), con l'incoraggiamento costante alle vittime (al maltese Lawrence Grech, il 18 aprile 2010 ha detto: «sono molto orgoglioso di te, preghero' per te per avere il coraggio di raccontare la tua storia. Spero che questa esperienza cambi la mia vita e che mi dia la forza di andare da mia figlia e dirle: io credo». E nella cappella della Nunziatura a Washington, dove il Papa ha ricevuto un piccolo gruppo di persone vittime di abusi sessuali da parte di esponenti del clero l'arcivescovo di Boston, cardinale Sean O'Malley che li accompagnavano ha consegnato al Papa un libretto con mille nomi di vittime che hanno denunciato i loro carnefici in talare per i crimini compiuti nella sola diocesi di Boston. Pochi mesi dopo a Sydney, incontrando le vittime dell'Australia il Papa ha pronunciato parole molto forti confessando «la vergogna che tutti abbiamo sentito a seguito degli abusi sessuali sui minori da parte di alcuni sacerdoti o religiosi in questa Nazione». Il ''papa conservatore'', in realta', ha avuto sempre in cuor suo la spinta ad una ''riforma per la transizione'' portandola al cuore della Chiesa. Una consapevolezza iniziata gia' da cardinale nel 2004 con la famosa frase sulla ''sporcizia'' nella Chiesa durante le riflessioni per la Via Crucis del Venerdi' Santo al Colosseo. Una battaglia, che non e' dato ancora sapere quali frutti ha portato e portera' nel futuro, ma che certamente ha portato ferite al papa stesso. Commenta il vaticanista dell'Agi, Salvatore Izzo, tra i più autorevoli analisti di questioni ecclesiastiche: "Il Papa forse si è sentito schiacciato da quella «sporcizia» che aveva denunciato nella famosa meditazione del Venerdì Santo del 2005, e che non è riuscito a rimuovere del tutto, e che si annida anche nella Curia Romana, come dimostra il «Caso Vatileaks» e certifica la relazione dei tre «saggi» che hanno indagato, il cardinali ultraottantenni Julian Herranza, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi". Un ruolo centrale al Conclave verrà svolto, prevedibilmente, dai cardinali statunitensi. Sono tra i primi ad aver affrontato lo scandalo della pedofilia, sono all'avenguardia in questioni-chiave della Chiesa cattolica nella società secolarizzata (lo si è visto nei ripetuti attriti con l'amministrazione Obama su temi come le nozze gay o l'aborto), e, più prosaicamente, rappresentano il primo paese contributore delle casse del Vaticano. Non è scontato che la pattuglia di 14 cardinali nord-americani riesca a coagulare i 78 voti necessari all'elezione del Papa (i due terzi dei 117 in Conclave). Per più di un osservatore la super-potenza americana non può esprimere il Papa. «Se vi mordete e vi divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni con gli altri... Camminate secondo lo Spirito». Esattamente 4 anni fa, il 20 febbraio del 2009, il Papa ha scelto di commentare a braccio questo richiamo di San Paolo ai Galati, una delle prime comunità cristiane che, spiega ai seminaristi del Laterano che lo ascoltano, «non era più sulla strada della comunione con Cristo, ma della legge esteriore della `carne´. «Vediamo bene - scandisce tra la meraviglia dei presenti nella Cappella della Madonna della Fiducia - che anche oggi ci sono cose simili». «Invece di inserirsi nella comunione con Cristo, nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, ognuno - denuncia il Papa teologo - vuol essere superiore all'altro e con arroganza intellettuale vuol far credere che lui sarebbe migliore. E così nascono le polemiche che sono distruttive, nasce una caricatura della Chiesa, che dovrebbe essere un'anima sola ed un cuore solo». Ed ecco lanciato il primo monito, che non è stato raccolto. Meno di un mese dopo, il Pontefice oggi dimissionario prende carta e penna e torna sullo stesso concetto: «purtroppo ancora oggi nella Chiesa c'è il mordersi e il divorarsi a vicenda, come espressione di una libertà male intesa», scrive nella Lettera a tutti i vescovi del mondo, in risposta alle polemiche sul perdono concesso ai vescovi lefebvriani (tra i quali il negazionista Williamson, della cui sottovalutazione dell'Olocausto però Papa Benedetto none era a conoscenza a causa dell'incapacità della Curia di gestire situazioni così delicate).
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