"Motu Proprio"

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IlTimone
00venerdì 6 luglio 2007 10:37
Cosa ne pensate??
Secondo voi che reazioni potrà avere?
(che opinioni avete del rito tridentino?)

.....dovrebbe uscire sabato (domani)
studiosus
00venerdì 6 luglio 2007 12:59
Allora, io sono contentissimo e felicissimo :)

Ma bisogna essere molto prudente: in ogni caso è una grande possibilità, ma forse anche l'ultima possibilità per il rito dei secoli.

la cosa più pericolosa per questo rito, celebrato dai santi dei secoli, sia provocare avversione.

Ora la prima cosa dev'essere di stabilire il rito classico. Dovrebbe diventare un rito abituato per la gente.

Anche se io preferisco questo rito "tridentino" direi che nessun prete dovrebbe dire "da ora celebro soltanto il rito tridentino", perchè bisogna fare crescere l'amore per il rito anche nella gente! e per questo ci vuole tempo...

Quando i preti non sono prudenti, il rito desiderato potrebb'essere perso!

Quindi bisogna lavorare continuamnete per raggiungere lo scopo
Paparatzifan
00venerdì 6 luglio 2007 23:02
Anch'io sono...

... dello stesso parere di studiosus. Sono più portata al rito tridentino, anzi, l'ho frequentato sia in Argentina che negli Stati Uniti.
Per me, e ti parla una che ha girato il mondo 18 anni per lavoro, e di Messe di tutti i colori ne ha viste parecchie, il rito tridentino è come se fosse una carta d'identità della Chiesa Cattolica di rito latino, così come gli altri riti della Chiesa hanno il proprio modo di celebrare. A me, veramente, mi si sono aperti gli occhi dopo aver visto tante liturgie fai da te nel mondo. Mi si sono aperti alla consapevolezza di quella mancanza d'identità del nostro rito latino e come era importante avere qualcosa che potesse identificarci e quello, a mio avviso, è la liturgia con una lingua comune, dove, ovunque vada, non mi senta strana mentre partecipo ad una Messa. Una volta, in Belgio, avevo dei dubbi (e gli ho avuti fino alla fine anche perché era in fiammingo) se stavo partecipando ad una Messa Cattolica o ad un rito luterano. [SM=g27825]
Quindi, per me, è molto importante questo passo che il Papa sta dando. Le critiche ci saranno come ogni cosa che fa lui. Però io mi auguro che i fedeli possano capire i motivi del Papa. Mi attendo pure che tutto questo possa portare come effetto secondario ad una più profonda sorveglianza, da parte dei vescovi, di come si celebra la Messa nelle loro diocesi. Forse Benedetto ci regalerà quanche altro documento riguardo a questo?
[SM=g27824]

Sihaya.b16247
00sabato 7 luglio 2007 15:06
LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI VESCOVI DI TUTTO IL MONDO PER PRESENTARE IL "MOTU PROPRIO" SULLUSO DELLA LITURGIA ROMANA ANTERIORE ALLA RIFORMA DEL 1970 , 07.07.2007

212.77.1.245/news_services/bulletin/news/20559.php?index=20559...

Cari Fratelli nellEpiscopato,

con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica "Motu Proprio data" sulluso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera.

Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da unaccettazione gioiosa ad unopposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto.

A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po più da vicino in questa lettera.

In primo luogo, cè il timore che qui venga intaccata lAutorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali  la riforma liturgica  venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale  la forma ordinaria  della Liturgia Eucaristica. Lultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con lautorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dellunico e medesimo Rito.

Quanto alluso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare lattenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dellintroduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per luso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dallinfanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dallArcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come unautorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anchio quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.

Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio "Ecclesia Dei" del 2 luglio 1988, un quadro normativo per luso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le "giuste aspirazioni" di quei fedeli che richiedevano questuso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione delluso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che lautorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta delluso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni.

In secondo luogo, nelle discussioni sullatteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità delluso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. Luso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia luna che laltra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.

È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati allattitudine di fedeli legati allantica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme delluso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione "Ecclesia Dei" in contatto con i diversi enti dedicati all "usus antiquior" studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti allantico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.

Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente limpressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e lunità; si ha limpressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dellunità, sia reso possibile di restare in questunità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: "La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto& Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!" (2 Cor 6,1113). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.

Non cè nessuna contraddizione tra luna e laltra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia cè crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti alluso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito lesclusione totale dello stesso.

In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: "Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum").

Nulla si toglie quindi allautorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, lOrdinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio.

Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo lentrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio.

Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dellApostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue" (Atti 20,28).

Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli.

Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007


Paparatzifan
00sabato 7 luglio 2007 20:10
Dal blog di Lella...

LETTERA APOSTOLICA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI "MOTU PROPRIO DATA" SUMMORUM PONTIFICUM SULLUSO DELLA LITURGIA ROMANA ANTERIORE ALLA RIFORMA DEL 1970

LITTERAE APOSTOLICAE MOTU PROPRIO DATAE BENEDICTUS XVI Summorum Pontificum (testo latino)


''I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maesta' un culto degno, ''a lode e gloria del Suo nome'' ed ''ad utilita' di tutta la sua Santa Chiesa''.
Da tempo immemorabile, come anche per l'avvenire, e' necessario mantenere il principio secondo il quale ''ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l'integrita' della fede, perche' la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede''.

Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di san Gregorio Magno, il quale si adopero' perche' ai nuovi popoli dell'Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comando' che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l'Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell'Urbe. Promosse con massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di san Benedetto, dovunque unitamente all'annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: ''Nulla venga preposto all'opera di Dio'' (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l'uso romano arricchi' non solo la fede e la pieta', ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell'eta' cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtu' di religione e ha fecondato la loro pieta'.

Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo piu' efficace questo compito: tra essi spicca s. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell'esortazione del Concilio di Trento, rinnovo' tutto il culto della Chiesa, curo' l'edizione dei libri liturgici, emendati e ''rinnovati secondo la norma dei Padri'' e li diede in uso alla Chiesa latina.

Tra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppo' nella citta' di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi piu' recenti. ''Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l'aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all'inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale''. Cosi' agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, san Pio X, Benedetto XV, Pio XII e il B. Giovanni XXIII. Nei tempi piu' recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessita' della nostra eta'. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvo' i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Cosi' i Romani Pontefici hanno operato ''perche' questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignita' e armonia''.

Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto cosi' profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell'anno 1984 con lo speciale indulto ''Quattuor abhinc annos'', emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facolta' di usare il Messale Romano edito dal B. Giovanni XXIII nell'anno 1962; nell'anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica ''Ecclesia Dei'', data in forma di Motu proprio, esorto' i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facolta' in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.

A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate gia' dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull'aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:

Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI e' la espressione ordinaria della ''lex orandi'' (''legge della preghiera'') della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa ''lex orandi'' e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della ''lex orandi'' della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella ''lex credendi'' (''legge della fede'') della Chiesa; sono infatti due usi dell'unico rito romano.
Percio' e' lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l'edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l'uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori ''Quattuor abhinc annos'' e ''Ecclesia Dei'', vengono sostituite come segue:

Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, puo' usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e cio' in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l'uno o l'altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, ne' della Sede Apostolica, ne' del suo Ordinario.

Art. 3. Le comunita' degli Istituti di vita consacrata e delle Societa' di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o ''comunitaria'' nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l'edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunita' o un intero Istituto o Societa' vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.

Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all'art. 2, possono essere ammessi - osservate le norme del diritto - anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volonta'.

Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del can. 392, evitando la discordia e favorendo l'unita' di tutta la Chiesa.
§ 2. La celebrazione secondo il Messale del B. Giovanni XXIII puo' aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festivita' si puo' anche avere una celebrazione di tal genere.
§ 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi.
§ 4. I sacerdoti che usano il Messale del B. Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti.
§ 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali ne' conventuali, e' compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.

Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del B. Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.

Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all'art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo e' vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non puo' provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia ''Ecclesia Dei''.

Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause e' impedito di farlo, puo' riferire la questione alla Commissione ''Ecclesia Dei'', perche' gli offra consiglio e aiuto.

Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, puo' anche concedere la licenza di usare il rituale piu' antico nell'amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell'Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime.
§ 2. Agli Ordinari viene concessa la facolta' di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime.
§ 3. Ai chierici costituiti ''in sacris'' e' lecito usare il Breviario Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962.

Art. 10. L'Ordinario del luogo, se lo riterra' opportuno, potra' erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la forma piu' antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto.

Art. 11. La Pontificia Commissione ''Ecclesia Dei'', eretta da Giovanni Paolo II nel 1988[5], continua ad esercitare il suo compito. Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorra' attribuire.

Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facolta' di cui gia' gode, esercitera' l'autorita' della Santa Sede vigilando sulla osservanza e l'applicazione di queste disposizioni.
Tutto cio' che da Noi e' stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come ''stabilito e decretato'' e da osservare dal giorno 14 settembre di quest'anno, festa dell'Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto cio' che possa esservi in contrario''.


Paparatzifan
00sabato 7 luglio 2007 21:24
Dal blog di Lella...

CARD.RICARD: MESSA LATINO,TEMO INCOMPRENSIONI SU MOTIVAZIONI

Il presidente dei vescovi francesi: "Né vincitori né perdenti"

Roma, 7 lug. (Apcom) - Dopo la pubblicazione di un Motu proprio che liberalizza la messa in latino, in una intervista concessa a l'agenzia stampa francese 'I.Media' e al settimanale francese 'Famille Chretienne', il cardinale Jean-Pierre Ricard, presidente della Conferenza episcopale francese, confida la sua "paura che le motivazioni reali del Papa non siano molto comprese", ed esprime le sue inquietudini quanto all'applicazione "pratica" del Motu Proprio. Il porporato afferma però che questo documento pontificio non fa "né vincitori né perdenti".
Il cardianal Ricard ammette che "sul piano pratico" ci potranno essere delle difficoltà nell'applicazione del Motu proprio. "Oggi molti sacerdoti sono spesso sovraccarichi di lavoro", afferma. "Molti di loro non hanno ricevuto la formazione adatta per celebrare secondo l'antico rito. Non sempre hanno i libri liturgici antichi. Senza contare che, poiché le letture non sono le stesse nei due messali, dovranno preparare due omelie".

"Dovremo inoltre gestire le reazioni dell'opinione pubblica in generale e quella dei sacerdoti in particolare", aggiunge il presidente dei vescovi francesi a 'I.Media' e 'Famille chretienne'. "Ho anche paura che le motivazioni reali del Papa non siano ben comprese".

Il cardinal Ricard, che in passato non ha mancato di esprimere le preoccupazioni dei vescovi francesi sull'apertura di Benedetto XVI ai tradizionalisti, spiega così le intenzioni papali: "Il punto che mi tocca di più è la volontà di riconciliazione espressa da Benedetto XVI". Per il porporato "è la preoccupazione fondamentale del Papa. E' importante che si riconcilino i fedeli cattolici affezionati a posizioni diverse, gli uni alla riforma del Concilio, gli altri alla forma antica del rito romano. Più che alla tolleranza, il Papa fa appello alla comprensione e all'accettazione reciproca degli uni e degli altri. Ha detto ad ognuno che deve fare una parte del cammino. Nella decisione del Papa non ci sono né vincitori né perdenti".

Quanto al ruolo dei vescovi, Ricard afferma: "Non ho alcuna inquietudine quanto alla diminuzione della mia responsabilità per quanto riguarda l'applicazione del Motu proprio". Secondo l'arcivescovo di Bordeaux, peraltro, "toccherà al sacerdote decidere nel caso in cui un gruppo di sensibilità tradizionalista si manifesti nella sua parrocchia. Ma dato il gran carico di lavoro che pesa sulle spalle di molti di loro, penso che sarà più facile trovare soluzioni a livello di diocesi".

Il cardinal Ricard esprime, infine, la sua opinione sui lefebvriani. Il Motu proprio è rivolto a loro? "Non è detto esplicitamente in nessuna parte del testo", risponde il porporato. "Ma in modo più generale, Benedetto XVI pensa anche alla Fraternità san Pio X. Ce l'ha detto a voce (nella riunione con alcuni vescovi che si è svolta in vaticano la settimana scorsa, ndr.). Ma a mio avviso questo Motu proprio creerà loro difficoltà, in particolar modo per tutto ciò che riguarda l'autorità della riforma liturgica che i preti e i fedeli di questa fraternità rifiutano di riconoscere".


FELLAY (LEFEBVRIANI): BENE MESSA IN LATINO, MA NON BASTA
Rimane scomunica su vescovi e divergenze dottrinali

Roma, 7 lug. (Apcom) - La Fraternità di San Pio X fondata dallo scismatico monsignor Marcel Lefebvre si "rallegra" della liberalizzazione della messa in latino da parte del Papa, esprimendo "viva gratitudine" a Benedetto XVI, ma, rilevando "persistenti differenze", auspica che "le nuove disposizioni della Santa Sede permettano - dopo l'abolizione del decreto di scomunica che pende ancora sui suoi vescovi - di affrontare più serenamente i punti dottrinali di divergenza": lo afferma il superiore dei lefebvriani, monsignor Bernard Fellay, in un comunicato diffuso subito dopo la pubblicazione della 'Summorum pontificum'.

"Con il Motu proprio 'Summorum pontificum' - afferma il leader dei lefebvriani - il Papa Benedetto XVI ha ristabilito com'è in suo diritto la messa tridentina, affermando con chiarezza che il messale romano promulgato da san Pio V non è mai stato abrogato. La Fraternità sacerdotale san Pio X si rallegra di vedere la Chiesa ritrovare così la sua tradizione liturgica, dare ai preti ed ai fedeli che ne erano stati finora privati la possibilità di accedere liberamente al tesoro della messa tradizionale per la gloria di Dio, il bene della Chiesa e la salvezza delle anime. Per questo grande beneficio spirituale, la Fraternità san Pio X esprime al Sovrano pontefice la sua viva gratitudine".

"La lettera che accompagna il Motu proprio non nasconde tuttavia le difficoltà che ancora permangono. La Fraternità san Pio X esprime il desiderio che il clima favorevole instaurato dalle nuove disposizioni della Santa Sede permetta - dopo il ritiro del decreto di scomunica che pesa ancora sui suoi vescovi - di affrontare più serenamente i punti dottrinali di divergenza".

"'Lex orandi', 'lex credendi', la legge della liturgia è quella della fede. Nella fedeltà allo spirito del nostro fondatore monsignor Marcel Lefebvre, l'attaccamento della Fraternità san Pio X alla liturgia tradizionale è indissociabilmente unita alla fede che è stata professata "sempre, da tutti e per tutti'".


Paparatzifan
00sabato 7 luglio 2007 21:31
Dal blog di Lella...

In vigore dal 14 settembre in via ordinaria e senza richiesta al vescovo

Ratzinger liberalizza la messa in latino

Pubblicato il motu proprio «Summarum Pontificum» che ne permette l'uso secondo il rito anteriore alla riforma liturgica

CITTÀ DEL VATICANO - Ratzinger liberalizza la messa in latino. Benedetto XVI ha infatti pubblicato il motu proprio «Summarum Pontificum» che permette l'uso della messa in latino secondo il rito anteriore alla riforma liturgica, in via ordinaria e senza richiesta al vescovo. Il documento entra in vigore il prossimo 14 settembre.

Il rito antico è permesso, non imposto, e la liturgia ordinaria della Chiesa resta quella conciliare.

Ai vescovi resta il controllo sull'applicazione delle norme e fra tre anni dovranno riferire al Papa su eventuali difficoltà. «È infondato il timore» che con la liberalizzazione della messa in latino anteriore al 1970 «venga messa in dubbio» la «riforma liturgica» o la «autorità del Concilio». Lo spiega il Papa nella lettera ai vescovi con la quale accompagna il motu proprio sulla messa in latino. Il rito antico, precisa, «non fu mai giuridicamente abolito» e «in linea di principio restò sempre permesso».

«PER CONCILIARE» - Il Papa ha deciso il motu proprio che liberalizza la messa in latino spinto dalla «ragione positiva» di «giungere a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa». Nelle «divisioni del passato» non sempre, osserva, «i responsabili della Chiesa» hanno «fatto il sufficiente per conservare o conquistare l'unità». Lo afferma nella lettera con cui presenta il motu proprio ai vescovi di tutto il mondo. La liberalizzazione della messa in latino secondo l'antico rito di San Pio V non è destinata a provocare spaccature nella Chiesa, in quanto presuppone «una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l'una che l'altra non si trovano tanto di frequente» afferma Benedetto XVI nella lettera a tutti i vescovi del mondo nella quale spiega le ragioni che lo hanno indotto a liberalizzare la messa in latino secondo l'antico rito.

DUE FORME Il motu proprio voluto da Benedetto XVI stabilisce che la messa potrà essere celebrata in due forme: ordinaria, che segue la riforma liturgica di Paolo VI del '70, che può essere usata sempre e dappertutto, in latino e nelle diverse edizioni volgari; straordinaria, che viene celebrata secondo i libri liturgici editi da Giovanni XXIII nel '62, sempre in latino. Se finora serviva un «indulto» del vescovo per autorizzare la forma straordinaria, dal 14 settembre - data in cui entrerà in vigore il motu proprio - il parroco potrà autorizzare la messa; resterà ai vescovi il compito di vigilare sull'applicazione, di segnalare eventuali difficoltà alla commissione vaticana «Ecclesia Dei» e, tra tre anni, di fare rapporto alla Santa Sede sull'applicazione di queste norme. Il parroco che lo riterrà necessario potrà organizzare una «parrocchia personale» per le messe con rito straordinario, se ci sia un numero consistente di fedeli che lo desiderino. «Nelle parrocchie in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962», si afferma nell'articolo 5 del motu proprio di Benedetto XVI che liberalizza la messa secondo il rituale di San Pio V diffuso oggi dalla Sala stampa vaticana.

Corriere online


ALCUNI PUNTI FERMI:

PAPA: UNA SOLA CHIESA, DUE MESSALI

(AGI) Il Messale Romano promulgato da Paolo VI resta "espressione ordinaria" della liturgia cattolica, ma "e' lecito" celebrare il Sacrificio della Messa anche "secondo laedizione tipica del Messale Romano promulgato da Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della liturgia della Chiesa". Lo ha stabilito Benedetto XVI nel motu proprio "Summorum Pontificum". Il documento, pubblicato oggi ma che entrera' in vigore il prossimo 14 settembre, consente ai sacerdoti e alle comunita' religiose di scegliere liberamente quale Messale utilizzare in privato, tranne che nel Triduo Pasquale.


PAPA: MESSA IN LATINO ANCHE PER I SACRAMENTI

(AGI) "Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del Beato Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica". Lo afferma il Papa nel motu proprio "Summorum Pontificum" pubblicato oggi. Si puo' usare il Messale in latino anche "nell'amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell'Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime". Lo ha stabilito il Papa nel motu proprio "Summorum Pontificum". E a vescovi "viene concessa la facolta' di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime".


(AGI) MESSA IN LATINO: NON REINTRODOTTA FRASE "PERFIDI GIUDEI"

Il Motu Proprio sulla messa in latino di Benedetto XVI non ripropone la formula "Oremus et pro perfidis Judaeis", cioe' l'invito "Preghiamo anche per i perfidi ebrei". Il documento riguarda infatti "l'uso del Messale promulgato da Giovanni XXIII nel 1962", mentre l'espressione "perfidi giudei" era pronunciata nella liturgia cattolica del Venerdi' Santo fino al 1959, quando Papa Giovanni la fece eliminare durante la celebrazione da egli stesso presieduta. Dall'intero messale la parola "perfidi" fu poi eliminata appunto nel 1962. L'invito a pregare per gli ebrei era una locuzione latina presente dal Medioevo e l'aggettivo "perfidis" indicava la mancanza di fede: "Preghiamo - si diceva - anche per gli Ebrei perfidi, affinche' il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori ed anche essi (ri)conoscano il Signore nostro Gesu' Cristo". Non c'entra nulla con questa questione, invece, l'indicazione contenuta nel motu proprio pubblicato oggi con la quale il Papa ha stabilito che il Messale del 1962 non puo' essere utilizzato durante il Triduo quando il sacerdote celebra senza fedeli. La proibizione, infatti, conferma semplicemente l'attuale disposizione che impedisca di celebrare in privato durante il Triduo.


MESSA IN LATINO, MOTU PROPRIO DOPO "INSISTENTI PREGHIERE"

Pontefice ha "riflettuto approfonditamente su ogni aspetto"

Città del Vaticano, 7 lug. (Apcom) - Il Papa si è deciso a pubblicare un provvedimento sulla messa in latino "a seguito delle insistenti preghiere" dei fedeli tradizionalisti, "a lungo già soppesate dal nostro predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato noi stessi, i padri cardinali nel concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito e Santo e contando sull'aiuto di Dio": è la formula con la quale Benedetto XVI introduce il Motu proprio pubblicato oggi.

In una lettera di chiarimento inviata a tutti i vescovi per spiegare il Motu proprio, il Papa chiarisce, peraltro, che "notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione" intorno al tema. "Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un'accettazione gioiosa ad un'opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto".


Paparatzifan
00domenica 8 luglio 2007 21:51
Dal blog di Lella...

«Decisione che spalanca le porte al ritorno dei fedeli lefebvriani»

di Redazione

È il cardinale che ha tessuto pazientemente le trattative con i lefebvriani e ha seguito i gruppi tradizionalisti. Darío Castrillón Hoyos, presidente della commissione «Ecclesia Dei» è il più stretto collaboratore di Benedetto XVI su questi temi.

Che significato ha la decisione del Papa?

«La lettera del Pontefice è chiara. È una decisione che scaturisce dal cuore e dallintelligenza di un Papa che ama e conosce bene la liturgia. Vuole che si conservi il patrimonio rappresentato dalla liturgia antica, senza che questo significhi alcuna contrapposizione con la nuova Messa. A Roma sono arrivate migliaia di lettere da parte di chi chiedeva la libertà di poter partecipare al vecchio rito».

Cè chi ha detto che così Ratzinger «sbeffeggia» il Concilio...

«In nessun modo e con nessuna espressione Benedetto XVI è andato o va in una direzione diversa da quella indicata dal Concilio. La nuova Messa continua ad essere il rito romano ordinario. Nel Motu proprio e nella lettera papale non cè nulla che segni un seppur minimo distacco dal Concilio. Forse vale la pena ricordare che il Vaticano II non ha proibito lantica Messa, che è stata celebrata dai padri conciliari durante le assise. Nessuno sbeffeggio, nessuno schiaffo. È un venire incontro alle esigenze di gruppi di fedeli, un atto di liberalità».

È un atto di continuità o di rottura rispetto ai pontificati di Montini e Wojtyla?

«Non cè contrapposizione. Paolo VI concesse subito dopo lentrata in vigore del nuovo messale la possibilità di celebrare col vecchio rito e Papa Wojtyla intendeva preparare un Motu proprio simile a quello ora promulgato».

L'autorità del vescovo viene minata?

«Chi lha sostenuto, lha fatto sulla base di un preconcetto perché il ruolo del vescovo è assicurato, il diritto canonico non cambia. Spetta al pastore della diocesi coordinare la liturgia, in armonia con lordinatore supremo del culto divino, che è il Papa. In caso di problemi, il vescovo interverrà, sempre in consonanza con le disposizioni stabilite dal Motu proprio. Sono certo che la sensibilità pastorale dei vescovi troverà la strada per favorire lunità della Chiesa, aiutando ad evitare uno scisma».

Come la mettiamo con la preghiera del Venerdì Santo dedicata agli ebrei?

«Il messale autorizzato è quello del 1962, promulgato da Giovanni XXIII, nel quale le espressioni perfidis judaeis e judaica perfidia erano già state cancellate».

Eppure ci sono gruppi che ora ripubblicano vecchi messali contenenti proprio quei testi...

«Sarebbe bene che non ci fosse confusione in merito. Lunico messale autorizzato, anche per la celebrazione del Triduo pasquale, che potrà essere fatta nelle parrocchie, è quello del 1962».

Prevede difficoltà?

«Non conosco, nella storia della Chiesa, alcun momento in cui si sono prese decisioni importanti senza difficoltà. Ma auspico vivamente che possano essere affrontate e superate, con lapproccio suggerito dal Papa nella sua lettera».

Dopo questa decisione la fine della rottura con i lefebvriani è più vicina?

«Con questo Motu proprio si spalanca la porta per un ritorno alla piena comunione della Fraternità San Pio X. Se dopo questo atto non avviene questo ritorno, davvero non lo saprei capire. Vorrei però precisare che il documento papale non è stato fatto per i lefebvriani, ma perché il Papa è convinto della necessità di sottolineare che cè una continuità nella tradizione e che nella Chiesa non si procede per fratture. Lantica Messa non è stata mai abolita né proibita».

© Copyright Il Giornale, 8 luglio 2007


Paparatzifan
00domenica 8 luglio 2007 22:06
Dal blog di Lella...

Tra le voci del dissenso non poteva certamente mancare quella di Hans Kung... [SM=x40791]


Il Papa: «La messa in latino non dividerà la Chiesa»

Non mancano però le voci del dissenso. Kueng: non condivido questa politica

di FRANCA GIANSOLDATI

CITTA DEL VATICANO - Latino, avanti tutta. La messa pre-conciliare liberalizzata da Papa Ratzinger col Motu Proprio «Summorum pontificum», in vigore dal prossimo 14 settembre, festa dellEsaltazione della Santa Croce, non creerà affatto «disordini o addirittura spaccature» come tanti temono. Benedetto XVI ne è certo e per limitare i mal di pancia che già cominciano ad agitare il mondo cattolico mette le mani avanti. «Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti che vanno da una accettazione gioiosa ad una opposizione dura per un progetto il cui contenuto non era conosciuto». In una lettera accompagnatoria, con toni rassicuranti, il Papa fa presente ai vescovi di tutto il mondo che i timori emersi sono a dir poco «infondati». «Il Motu proprio è frutto - spiega - di lunghe riflessioni, molteplici consultazioni e di preghiera». Luso del Messale antico, in via sperimentale per un periodo di tre anni, si limiterà ad affiancare il Messale ordinario, non a sostituirlo. Per questo Ratzinger preferisce parlare di «un uso duplice dellunico medesimo rito». Il Messale ordinario approvato da Paolo VI nel 1970 dopo la riforma conciliare resterà quindi lo strumento principale. La liberatoria permetterà il ritorno del vecchio rito ma solo dietro precisa richiesta da parte dei fedeli. Chi desidera la messa in latino da ora in poi verrà esaudito. Nelle chiese rivedremo parroci dire messa dando le spalle allassemblea dei fedeli, rivolti al tabernacolo, come un tempo. La liturgia in uso normalmente non muterà, con lunica differenza che i parroci possono aggiungere alle messe normali una messa al giorno nella lingua di Cicerone. La preoccupazione principale che in questi mesi di attesa ha agitato gli episcopati (quello francese in testa) è di vedere intaccata lautorità del Vaticano II. «Nella storia della liturgia ci sono crescita e progressi, ma nessuna rottura» si legge nel Motu Proprio. Allarticolo uno il Papa ha stabilito che «è lecito celebrare la messa secondo ledizione tipica del Messale Romano promulgato dal beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato». Ai parroci viene concesso il diritto di usare indifferentemente il messale antico e quello conciliare senza avere più bisogno di nessun permesso dalla Sede Apostolica o dal vescovo diocesano, il quale non potrà opporsi. In caso di controversie, larticolo 8, indica come foro competente la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, organismo vaticano creato da Giovanni Paolo II dopo il 1988 nel tentativo di far rientrare lo scisma di Marcel Lefebvre. Liniziativa ratzingeriana sta già sollevato perplessità tra cardinali e vescovi. Padre Gottardo Pasqualetti, docente di liturgia alluniversità Urbaniana, ex segretario del cardinale Bugnini, tra i più autorevoli interpreti della riforma liturgica conciliare, si chiede a cosa potrà mai servire un Motu Proprio di questo genere. La sua è una voce tuttaltro che isolata. «A mio parere potrebbe dare vita a problemi e spaccature. Forse è stato approvato per accontentare i tradizionalisti, per ricucire con loro. Del resto chi voleva usare il latino poteva farlo anche prima, non era proibito». Dalla Germania, invece, si fa sentire il teologo Hans Kueng che non nasconde il disappunto per il modo di procedere di Benedetto XVI. «Esiste anche un altro modo di essere cattolico oltre a quello romano. Io non sono daccordo con questa politica, anche sulla messa in latino». Kueng annuncia di avere raccolto le sue critiche contro Roma, in vari campi, in un libro di prossima uscita intitolato, a scanso di equivoci, «Verità contese».

© Copyright Il Messaggero, 8 luglio 2007


Liliana Cavani: «Mossa snob, la gente non capisce nulla»

CITTA DEL VATICANO - «A prima vista pare una operazione sofisticata. Una mossa un po sfiziosa, un tantino snob». Liliana Cavani la regista scelta dal Vaticano per presentare la prima enciclica di Benedetto XVI, Deus Caritas Est, non nasconde scetticismo di fronte al Motu Proprio sulla messa in latino.

Che vuol dire una mossa sfiziosa?

«Anche un po comica. Visto che il latino è sparito dalle scuole mi pare assurdo che ci sia gente che va alla messa in latino senza capirci niente. E una opzione di taglio decisamente elitario».

Non le piace lidea di un prete che dice messa girando le spalle allassemblea?

«Trovo simpatico che il prete sia allaltare guardando lassemblea dei fedeli. Non trovo simpatico il contrario. La gente è abituata a vedere i suoi gesti, a seguirlo. La messa è nata come un momento comunitario, rammenta lUltima Cena. Ma vi immaginate Gesù che ai discepoli chiedeva: passatemi il pane dando le spalle ai dodici? Mi pare comico».

La messa in latino è una nostalgia del passato?

«Io da piccola andavo a messa e vedevo il prete di spalle. Ho apprezzato molto il cambiamento e luso della lingua parlata. Non cera più alcuna distanza».
F.GIA.

© Copyright Il Messaggero, 8 luglio 2007


Cara Liliana:
Prima cosa, sei sicura che la gente non capisce nulla? [SM=g27833]
Seconda cosa, anche se questo fosse vero, ti sei mai chiesta quante persone ascoltano delle canzoni, ad esempio, in inglese o tedesco, e non capiscono nulla anche se le ascoltano volentieri e magari vanno ai concerti di questi artisti? [SM=x40791]

Paparatzifan
00domenica 8 luglio 2007 22:09
Dal blog di Lella...

Alessandra Borghese: «Si torna alla sobrietà e al mistero del rito»

CITTA DEL VATICANO - «Ho assistito più di una volta a celebrazioni in latino. Trovo che la liturgia sia più sobria e più carica di mistero». La principessa Alessandra Borghese, autrice di libri spirituali tradotti in diverse lingue, è entusiasta per la liberalizzazione voluta da Papa Ratzinger.

Ma cera davvero bisogno di introdurre nuove regole?

«Sicuramente. Io sono nata dopo il Vaticano II e non ho potuto vedere come era la messa prima del 1962. Col vecchio il prete guardava il tabernacolo e Dio assieme al popolo. Penso che le nuove regole limiteranno certi show durante la messa. Penso che sia il momento di ritornare alla sobrietà e al mistero di una messa celebrata davvero per la gloria di Dio».

Molti criticano il Motu Proprio sostenendo che depotenzia il Concilio ..

«Benedetto XVI offre la possibilità di vivere la messa secondo il rito antico come un dono. Ha una visione del Vaticano II molto chiara, una sensibilità spiccata ed è per questo che ha deciso di applicare in via sperimentale queste regole per tre anni e poi se ne riparlerà».

Per certi versi sembra il ritorno al vecchio..

«Questo atto è in continuità con gli atti dei suoi predecessori. Wojtyla ha suggerito le stesse cose. Benedetto XVI ha invitato i vescovi ad applicarlo».
F.GIA.

© Copyright Il Messaggero, 8 luglio 2007


Paparatzifan
00domenica 8 luglio 2007 22:33
Dal blog di Lella...

«La messa in latino unisce i fedeli»

di Andrea Tornielli

Cè stato chi, dalle colonne di un quotidiano, si diceva certo, anzi certissimo, che il Papa non lavrebbe mai firmato. Chi, seguendo la dottrina Bush, ha combattuto la sua «guerra preventiva» contro un documento di cui non conosceva il contenuto. Chi ha addirittura detto che Papa Ratzinger liberalizzando lantico messale avrebbe «sbeffeggiato» il Concilio.

Benedetto XVI, con il Motu proprio e la lettera pubblicati ieri, ha preso una decisione coraggiosa e per certi versi epocale, peraltro in linea con le posizioni che aveva espresso negli ultimi ventanni su questa materia. Non si torna indietro, non si abolisce il Vaticano II.

I timorosi che hanno paventato un tuffo nelloscurità del passato - come se i cinque secoli durante i quali si è usato il rito di San Pio V fossero una triste parentesi da dimenticare - possono stare tranquilli. Non ci saranno, almeno in Italia, frotte di fedeli agguerriti a bussare alle parrocchie pretendendo le vecchie celebrazioni, e chi va a messa la domenica non si troverà improvvisamente di fronte a liturgie sconosciute e vetuste. Con una punta di ironia, lo stesso Ratzinger tranquillizza tutti spiegando che lantico rito «presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina» che «non si trovano tanto di frequente». A nessuno sarà imposto o impedito alcunché, verrà soltanto impedito di impedire la celebrazione secondo il rito antico.
Perché, allora, questa decisione, se in fondo riguarda una minoranza di fedeli, peraltro in qualche caso anche portatori di nostalgiche posizioni socio-politiche in stile ancien régime? «Nella storia della liturgia cè crescita e progresso, ma nessuna rottura», spiega Benedetto XVI, e «si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa». Il messale antico non è stato mai proibito né mai abolito. Il Papa apre dunque la porta a tutti i tradizionalisti, compresi i fedeli lefebvriani, il cui mancato ritorno alla piena comunione, dopo questo documento, apparirebbe inspiegabile.

È comunque ben strano che chi invoca un giorno sì e laltro pure maggiore democrazia nella Chiesa non tenga in alcun conto le richieste provenienti dal basso, dai gruppi di fedeli tradizionalisti. Così come è ben strano che chi quotidianamente combatte contro un certo potere clericale, lo invochi per affermare che i tradizionalisti non hanno il diritto alla celebrazione secondo il vecchio rito.
Diciamola tutta: i veri «ispiratori» inconsapevoli del Motu proprio sono quei vescovi i quali negli ultimi anni, disattendendo la richiesta di Giovanni Paolo II che li aveva invitati ad essere generosi nellautorizzare la vecchia messa, hanno opposto rifiuti e in diversi casi non hanno nemmeno voluto parlare con questi fedeli. Salvo poi concedere, magari, le chiese della diocesi ai «fratelli separati» dellortodossia o ai protestanti, incuranti però di quei fratelli «uniti» nella fede anche se portatori di una diversa sensibilità liturgica. È stato detto che questa decisione papale mette a repentaglio lunità della Chiesa. In realtà nella Chiesa le diversità, anche liturgiche, sono state sempre considerate una ricchezza e non si vede perché un rito cattolico usato da grandi santi debba essere oggi considerato alla stregua di una pericolosa bomba ad orologeria. Andrebbe poi ricordato che questa preoccupazione per lunità liturgica non è stata quasi mai invocata quando si è trattato di intervenire di fronte a certi abusi del postconcilio. Si può dire messa con i burattini, si possono trasformare le liturgie in show, si può ballare e recitare il Padre Nostro con le melodie dei Beatles, si possono cambiare i testi, si può persino omettere parte del canone senza che qualcuno intervenga. Solo il messale di San Pio V romperebbe lunità.
Quello del Papa è, invece, un atto in linea con le direttive di Giovanni Paolo II, e lofferta benevola di una maggiore libertà nelluso del rito antico per favorire la riconciliazione non può che essere bene accolta anche da quanti, come chi scrive, non sono tradizionalisti e si sentono pienamente a loro agio con la nuova messa ben celebrata.

© Copyright Il Giornale, 8 luglio 2007


Grazie, Andrea!!!! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]

Paparatzifan
00domenica 8 luglio 2007 22:43
Dal blog di Lella...

Benedetto XVI e lefebvriani più vicini

CITTÀ DEL VATICANO
La palla ora è nel campo dei seguaci di monsignor Lefebvre, mentre in tutto il mondo i «tradizionalisti», in comunione con Roma o no, festeggiano la liberalizzazione della messa di San Pio V. Un esempio per tutti: su un blog di cattolici vecchio stile si invita a partecipare a una cerimonia liturgica, seguita da festa, a Berlin, New Jersey; con «champagne, sidro frizzante, e ciascuno si porti il suo sigaro». Il «Motu proprio» di Benedetto XVI ha meritato naturalmente una risposta da parte della Fraternità Sacerdotale San Pio X, i seguaci scismatici di monsignor Lefebvre, che esprimono «compiacimento» e «gratitudine» per il via libera alla messa in latino. Ma per loro questo deve essere solo linizio. Se, ammettono, il documento pontificio «ha ristabilito nei suoi diritti la messa tridentina, affermando con chiarezza che il Messale Romano promulgato da San Pio V non è mai stato abrogato», i contrasti e le divergenze sono ben più profondi. Scrive monsignor Bernard Fellay, Superiore Generale: «La lettera che accompagna il Motu proprio non nasconde tuttavia le difficoltà che ancora sussistono. La Fraternità San Pio X auspica che il clima favorevole instaurato dalle nuove disposizioni della Santa Sede permetta - dopo il ritiro della scomunica che colpisce ancora i suoi vescovi - di affrontare con più serenità i punti dottrinali in questione». In pratica la Fraternità chiede, prima di continuare il dialogo con Roma per sanare la frattura aperta dal vescovo Lefebvre, che il Papa ritiri le scomuniche comminate quando il presule francese nel 1988, sentendosi prossimo alla fine, ordinò alcuni vescovi; validamente, ma contro la volontà del Papa e di Roma.

Oggi la Fraternità San Pio X, movimento conservatore in contrasto con le riforme conciliari, conta circa 600 mila seguaci in 62 paesi, con quasi 500 sacerdoti. Don Davide Pagliarani, riminese, ordinato 11 anni fa da monsignor Fellay e responsabile del priorato italiano della Fraternità, ritiene che «il Motu proprio è un inizio. Ci sono altre deviazioni del Concilio Vaticano II da approfondire e che hanno trovato espressione nella riforma liturgica». E le difficoltà emergono immediatamente: se il Papa nella sua lettera scrive che «i sacerdoti delle Comunità aderenti alluso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi», la risposta è negativa. «Non possiamo riconoscere questo tipo di liturgia. Ogni liturgia infatti esprime una certa ecclesiologia. E noi siamo legati alla tradizione».

Risponde il cardinale Castrillon Hoyos, presidente della Commissione «Ecclesia Dei», nata per curare i rapporti con i tradizionalisti: «I sacerdoti lefebvriani hanno sempre chiesto la possibilità che ogni sacerdote possa celebrare la messa di San Pio V. Ora questa facoltà viene ufficialmente e formalmente riconosciuta. Daltra parte il Papa ribadisce che la messa che noi tutti officiamo ogni giorno, quella del Novus ordo, rimane la modalità ordinaria di celebrare lunico rito romano, e quindi non si può negare né il valore né tanto meno la validità del Novus ordo: questo deve essere chiaro».

Ma il «Motu proprio», che è una mano tesa rivolta a Fellay, può sottrarre fedeli al «bacino di utenza» lefebvriano. Un fedele che ama la vecchia messa, e può averla, restando in comunione con il Papa, è certamente meno tentato di ieri dallavventura «scismatica». In unintervista a «Trenta Giorni» Castrillon afferma che «a Roma sono arrivate migliaia di lettere» per chiedere la libertà di poter assistere alla messa tridentina e che «Giovanni Paolo II voleva preparare un motu proprio simile a quello pubblicato oggi».

© Copyright La Stampa, 8 luglio 2007


Mi unisco alla festa, fratelli: CIN CIN!!!

Paparatzifan
00domenica 8 luglio 2007 22:51
Dal blog di Lella...

I lefebvriani: grazie Ratzinger «Ora parliamo della scomunica»

Monsignor Fellay: questo è un giorno davvero storico


di VITTORIO MESSORI

Nello chalet di Menzingen, nel cantone svizzero di Zug, dove ha sede la casa generalizia della Fraternità sacerdotale San Pio X, il plico è arrivato già da qualche giorno. Nella busta, il motu proprio Summorum Pontificum, la lettera di introduzione di Benedetto XVI e un messaggio personale del cardinal Dario Hoyos Castrillón. Destinatario, monsignor Bernard Fellay, superiore generale di coloro che, dal loro Fondatore, sono detti abitualmente «lefebvriani », lo schieramento tradizionalista che contesta pastorale e dottrina della Chiesa uscite dal Vaticano II. Con 481 sacerdoti, 90 fratelli laici, 206 religiose, 6 seminari, 117 priorati, 82 scuole, 6 istituti universitari, 450 luoghi di culto in 62 Paesi del mondo, almeno mezzo milione di seguaci convinti, la Fraternità ha costituito la maggiore spina nel fianco per Roma, che si è vista costretta a colpire di scomunica la gerarchia episcopale consacrata validamente ma illegittimamente da monsignor Marcel Lefebvre.
Dopo una prima lettura dei documenti giunti da Roma, monsignor Fellay ha accettato di anticipare al Corriere le sue reazioni.Che sono, va detto subito, ben più positive di quanto potesse prevedere chi conosca la complessità del dossier aperto da decenni con la Santa Sede. Certo: la Messa non solo in latino, ma secondo l'antico rituale, è da sempre la bandiera lefebvriana più appariscente. Ma gli stessi dissidenti hanno sempre insistito sul fatto che la nuova liturgia eucaristica non è che l'espressione di un orientamento in molti punti inaccettabile assunto dopo il Vaticano II dalla Catholica. Così, in certi ambienti tradizionalisti, si è spesso detto che un decreto come quello approvato ora da papa Ratzinger non solo non sarebbe bastato ma poteva esser in qualche modo fuorviante, rafforzando gli equivoci.
Non è così stando a quanto ha voluto dirci monsignor Fellay: «Questo è un giorno davvero storico. Esprimiamo a Benedetto XVI la nostra profonda gratitudine. Il suo documento è un dono della Grazia. Non è un passo, è un salto nella buona direzione». Per il superiore lefebvriano, la «normalizzazione» della messa «non di san Pio V», precisa, «bensì della Chiesa di sempre», è «un atto di giustizia, è un aiuto soprannaturale straordinario in un momento di grave crisi ecclesiale». Ancora: «La riaffermazione da parte del Santo Padre della continuità del Vaticano II e della messa nuova con la Tradizione costante della Chiesa  dunque la negazione di una frattura che il Concilio avrebbe introdotto con i 19 secoli precedenti  ci spinge a continuare la discussione dottrinale.
Lex orandi, lex credendi: si crede come si prega. Ed ora è riconosciuto che, nella messa di sempre, si prega "giusto"». In ogni caso, da oggi, un solo rito, due forme egualmente legittime (dette di Pio V e di Paolo VI) per esprimere un'unica fede.
Per giungere a questo risultato, la resistenza di mons. Lefebvre e dei suoi è stata decisiva, già da cardinale Joseph Ratzinger pensava di avere un debito verso questi fratelli che esprimevano disagi che, almeno in parte, egli stesso condivideva. Mons. Fellay ammette il ruolo della sua Fraternità ma guarda oltre: «Sì, la Provvidenza ci ha permesso di essere strumenti per pungolare Roma e giungere sino a questo giorno. Ma siamo anche consapevoli di non essere che il termometro che segnala una febbre che esige rimedi adeguati. Questo documento è una tappa fondamentale in un percorso che ora potrà accelerare, speriamo con prospettive confortanti, anche nella questione della scomunica ».
Nessuna delusione, quindi? «Direi di no, anche se meno soddisfacenti ci sembrano alcuni passi della lettera di introduzione, dove si avvertono condizionamenti di politica ecclesiale ». In ogni caso, il fatto è oggettivo e monsignor Fellay e i suoi ne sono pienamente consapevoli: non sono stati inutili, malgrado aspetti talvolta duri e censurabili, i quarant'anni di opposizione. Nei prossimi giorni, la Fraternità invierà una lettera del superiore generale a tutti i suoi fedeli del mondo che così inizia: «Il motu proprio pontificio ristabilisce la messa tridentina nei suoi diritti e riconosce chiaramente che non è mai stata abrogata. Così, la fedeltà a questa messa  per la quale molti preti e laici sono stati perseguiti e sanzionati per molti decenni  non è mai stata una disobbedienza». La strategia del recupero della tradizione, iniziata da Giovanni Paolo II, pur costretto all'obbligata scomunica, coglie con Benedetto XVI un successo notevole, nella prospettiva dell'antico progetto ratzingeriano di una «riforma della riforma» e non soltanto quella liturgica. Le proteste di certi episcopati? Qualcuno fa notare che, stando a impietose proiezioni, entro vent'anni almeno un terzo delle diocesi dell'Occidente  compresa la Francia, che è quella che più disapprova l'iniziativa papale  dovrà essere addirittura soppresso per mancanza di clero. Difficile, dunque, per vescovi con forze ridotte al lumicino, far la voce grossa contro quei «lefebvriani» che, al contrario, godono di un flusso ininterrotto di vocazioni. La stessa diocesi di Parigi ha ormai un numero di sacerdoti diocesani (con un'età media assai avanzata e spesso sfiduciati) di poco superiore a quello degli invisi «tradizionalisti», i cui preti sono in maggioranza giovani, fortemente determinati, forgiati allo studio e alla disciplina da seminari di rigore implacabile.

© Copyright Corriere della sera, 8 luglio 2007


Paparatzifan
00domenica 8 luglio 2007 23:05
Dal blog di Lella...

Bentornato latino, mi sento più a casa

di ANTONIO SOCCI

È un grande Pontefice, Papa Benedetto, e avrà un'importanza storica per la Chiesa. E da oggi, col ritorno alla libertà di celebrare anche la Messa in latino, certi "progressisti" scateneranno una guerra feroce contro di lui. Magari inventandosi falsamente il ripristino della controversa preghiera sugli ebrei, che invece non c'è affatto. Sono tanti i segni del coraggio di quest'uomo, che è mite e gentile, ma anche deciso a «non anteporre nulla a Dio» e a «non fuggire davanti ai lupi». Di recente la lettera ai cattolici cinesi (per riunire le due chiese e reclamare libertà dal regime) e l'altroieri il simbolico riconoscimento del "martirio" degli ottocento abitanti di Otranto che furono decapitati nel 1480 dai musulmani invasori perché non vollero rinnegare Gesù Cristo. Ma soprattutto ha un grande peso questo Motu proprio con cui il Papa restituisce alla Chiesa, accanto alla messa in italiano, la sua bimillenaria liturgia latina che con un colpo di mano - era stata spazzata via nel 1969 contravvenendo alle regole della Chiesa stessa. La liturgia per la Chiesa racchiude tutto il suo tesoro, cioè «l'integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede». E dunque il Messale latino non poteva essere messo fuorilegge (infatti giuridicamente è sempre stata valido). Nel delirio post-conciliare l'intolleranza progressista riuscì a far credere che fosse stato messo al bando. Fu quello il tempo di una spaventosa apostasia di fedeli e un'apocalittica crisi del clero: dal 1965 circa 100 mila sacerdoti abbandonarono l'abito e 107.600 monache e suore lasciarono le loro congregazioni fra 1966 e 1988. Una tragedia senza eguali nella storia della Chiesa. Segno, per una mente cristiana, che Dio non aveva benedetto certi "rinnovamenti" che si dicevano "conciliari", ma anzi ne era disgustato (Benedetto XVI infatti denuncia «deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile»).

«Una tragica rottura»

Da cardinale, Ratzinger definì il colpo di mano contro la liturgia tradizionale come «una rottura» dalle conseguenze «tragiche». Un grande laico come Giuseppe Prezzolini, nel 1969 - l'anno della riforma liturgica - scrisse un editoriale intitolato: "La liquidazione della Chiesa". Pur essendo agnostico, constatava amaramente la febbre rivoluzionaria che aveva fatto irruzione nella Chiesa riducendola a una caricatura delle «sette protestanti» e della «civiltà moderna». Fu soprattutto la grande cultura laica a denunciare l'immensa perdita rappresentata dalla cancellazione dell'antica liturgia cattolica che aveva letteralmente dato forma alla cultura europea. Due appelli pubbici, nel 1966 e nel 1971, uscirono in difesa della Messa di s. Pio V, come grande patrimonio spirituale e culturale. E furono firmati dalle più grandi personalità della cultura come Borges, De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, Bresson, Dreyer, Del Noce, Julien Green, Maritain, Montale, Cristina Campo, Mauriac, Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Contini, Devoto, Macchia, Pallottino, Paratore, Bassani, Luzi, Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e il pure direttore del Times, William Rees-Mogg. Fu inutile. Ormai la sbornia progressista (o meglio: "la dittatura del relativismo") dilagava nella Chiesa e pretendeva di fare a pezzi la sua tradizione. Anni dopo fu boicottato perfino Giovanni Paolo II quando varò uno speciale indulto, addirittura con due documenti, nel 1984 e nel 1988, affermando che la Messa di san Pio V non era mai stata abolita e la si poteva celebrare col permesso del vescovo. Il Papa aveva esortato «i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero», ma parte dei vescovi fece il contrario e di fatto annullò l'importante atto pontificio. Certi vescovi hanno dato locali per pregare ai musulmani, ma li hanno negati per le messe tradizionali. Dunque oggi, alla luce di questi abusi d'autorità, Benedetto XVI vara un Motu proprio dove i diritti del popolo cristiano sono protetti da Pietro stesso e non rimessi all'arbitrio dell'episcopato.

Alberto Melloni, due giorni fa, sul Corriere della Sera, ha dato sfogo alla rabbia della fazione progressista, arrivando addirittura a definire il Motu proprio come «uno sberleffo villano al Vaticano II». È buffo. Uno "storico del Concilio" come Melloni ignora che durante il Concilio si celebrava proprio la liturgia a cui oggi il Papa ridà cittadinanza. E ignora che mai il Concilio Vaticano II ha messo fuorilegge questa liturgia: semmai fu l'atto dispotico del 1969 che andava contro il Concilio. Un altro buffo paradosso: questo gruppo di storici "progressisti" che hanno fatto di Giovanni XXIII il loro simbolo, oggi si oppongono proprio al Motu proprio che riconosce la validità del "Messale Romano di Giovanni XXIII" (infatti è l'edizione del 1962 che il Papa restituisce alla Chiesa). E sembrano ignorare il discorso di Papa Roncalli del 22 febbraio 1962, alla firma della "Veterum Sapientia", dove fra l'altro, esaltando la liturgia in latino, spiegò che essa aveva un legame profondo con "la Cattedra di Pietro". Il Papa aggiunse che la lingua latina «fu strumento di diffusione del Vangelo, portata sulle vie consolari quasi a simbolo della più alta Unità del Corpo Mistico. (...) E anche quando le nuove lingue delle singole individualità nazionali europee si fecero strada fino a sostituire l'unica lingua di Roma, questa è rimasta nell'uso della Chiesa Romana, nelle saporose espressioni della liturgia, nei documenti solenni della Sede Apostolica, strumento di comunicazione col centro augusto della cristianità». Infine riaffermò la sua validità non solo per «motivi storici ed affettivi» ma anche perché «nel presente momento storico» è segno di unità fra i popoli e serve «all'opera di pacificazione e di unificazione». Anche per «i nuovi popoli che si affacciano fiduciosi alla vita internazionale. Essa infatti non è legata agli interessi di alcuna nazione, è fonte di chiarezza e sicurezza dottrinale, è accessibile a quanti abbiano compiuti studi medi superiori; e soprattutto è veicolo di reciproca comprensione». Cinque anni dopo la liturgia latina fu in pratica messa al bando. Melloni accusa oggi Benedetto XVI di aver «spezzato» una continuità ed aver esautorato i vescovi. Ma è vero l'esatto contrario: proprio il Novus ordo fu imposto nonostante la bocciatura della maggioranza dei vescovi. E fu la "proibizione" del Messale latino a "spezzare" la continuità millenaria della liturgia.

Oggi questi strani progressisti si oppongono alla libertà che invece il Papa difende (dà la possibilità di celebrare in «due usi dell'unico rito romano»). E si oppongono ai diritti del popolo cristiano (difesi dal Papa). Essi rivendicano l'arbitrio di potere del ceto clericale. E poi parlano di democrazia nella Chiesa!

Infine sono oscurantisti perché disprezzano un patrimonio che tutta la migliore cultura esalta. Benedetto XVI ha affidato le nuove norme alla «potente intercessione di Maria». E le ha pubblicate nel novantesimo anniversario delle apparizioni di Fatima, in uno dei primi sabati del mese (giorno della Madonna di Fatima), un 7 luglio, lo stesso giorno in cui Pio XII, nel 1952, promulgò la "Sacro vergente anno", dove finalmente consacrò la Russia al Cuore Immacolato di Maria come richiesto da lei a Fatima. Infine Benedetto XVI vara il suo Motu proprio dal 14 settembre, festa dell'Esaltazione della S. Croce, a ricordare la natura "sacrificale" della Messa che proprio nella riforma del 1969 era stata messa in ombra per avvicinarsi ai protestanti. Col rischio di perdere l'essenziale. Questo atto non è una concessione ai "lefebvriani", ma il ritrovamento di un tesoro da parte di tutta la Chiesa.

LA SCHEDA

DOPO IL CONCILIO L'uso della messa tridentina, il cui nome deriva dal Concilio di Trento del XVI secolo, era stato limitato dopo la riforma del Secondo Concilio Vaticano del 1962-65, in cui si decise l'introduzione della lingua volgare per favorire una maggiore comprensione da parte dei fedeli.

COSA ACCADRÀ Il motu proprio firmato dal Pontefice consentirà a tutti i sacerdoti sparsi in ogni parte del mondo di celebrare la messa in latino, a meno di un divieto Il motu proprio entrerà in vigore il 14 settembre e da quel giorno il parroco potrà autorizzare la messa in latino mentre ai vescovi resterà il compito di vigilare sull'applicazione, di segnalare eventuali difficoltà alla commissione vaticana "Ecclesia Dei" e, tra tre anni, di fare rapporto alla Santa Sede.

LE DIFFERENZE La messa tridentina è celebrata interamente in latino, ad eccezione di alcune parole e frasi in greco ed ebraico. Ci sono lunghi periodi di silenzio e il prete volge le spalle ai fedeli.

IL PONTEFICE Papa Ratzinger sta ridando alla Chiesa la dignità del passato.

© Copyright Libero, 8 luglio 2007


Sì, caro Antonio, Benedetto è grande, anzi grandissimo!!! E come dici tu qui si vede in atto la democrazia nella Chiesa!!!! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
Ti dico una cosa: fino a poco fa frecuentavo una chiesa vicino a casa. Adesso non ci vado più a Messa perché c'è un coro urlante accompagnato da chitarra che non si può sopportare!!!!
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Paparatzifan
00domenica 8 luglio 2007 23:33
Dal blog di Lella...


Monsignor Brandolini, della commissione liturgica della Cei

"Obbedirò al Pontefice ma è un giorno di lutto Si cancella la riforma"

ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO - «Oggi per me è un giorno di lutto. Ho un nodo alla gola e non riesco a trattenere le lacrime. Ma, obbedirò al Santo Padre perché sono un vescovo e perché gli voglio bene. Tuttavia, non posso nascondere la mia tristezza per l´affossamento di una delle più importanti riforme del Concilio Vaticano II». In effetti, trattiene a fatica le lacrime, monsignor Luca Brandolini, vescovo di Sora-Aquino-Pontecorso e membro della Commissione liturgica della Cei (Conferenza episcopale italiana), quando gli si chiede un commento sulla reintroduzione della Messa in latino tridentina. «Per favore non chiedetemi nulla, non voglio parlare, perché sto vivendo il momento più triste della mia vita di sacerdote, di vescovo e di uomo».

Monsignor Brandolini, perché così contrariato?

«È un giorno di lutto, non solo per me, ma per i tanti che hanno vissuto e lavorato per il Concilio Vaticano II. Oggi è stata cancellata una riforma per la quale lavorarono in tanti, al prezzo di grandi sacrifici, animati solo dal desiderio di rinnovare la Chiesa».

Il ritorno facoltativo al rito tridentino rappresenta quindi un pericolo per la Chiesa?

«Speriamo di no. In futuro si vedrà, ma intanto oggi una importante riforma del Concilio è stata minata».

Perché è così toccato dalla decisione presa da papa Ratzinger?

«L´anello episcopale che porto al dito era dell´arcivescovo Annibale Bugnini, il padre della riforma liturgica conciliare. Io, al tempo del Concilio, ero un suo discepolo e stretto collaboratore. Gli ero vicino quando lavorò a quella riforma e ricordo sempre con quanta passione operò per il rinnovamento liturgico. Ora il suo lavoro è stato vanificato».

Lei, quindi, non accetterà il "motu proprio" di Benedetto XVI?

«Obbedirò, perché voglio bene al Santo Padre. Verso di lui nutro lo stesso sentimento che prova un figlio verso il padre. E poi, come vescovo sono tenuto all´obbedienza. Ma in cuor mio soffro molto. Mi sento come ferito nell´animo e non posso non dirlo. Comunque, se qualcuno della mia diocesi mi chiederà di poter seguire il rito tridentino non potrò dire di no. Ma non credo che succederà, perché da quando sono vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo non c´è stato mai nessuno che abbia espresso un desiderio simile. Sono certo che in futuro sarà sempre così».

© Copyright Repubblica, 8 luglio 2007


Per me, puoi continuare a piangere, monsignore. Ma sarebbe meglio che tu piangessi piuttosto per tutte le pecore disperse che in tutti questi anni postconciliari sono fuggite per colpa dei tuoi colleghi che non hanno saputo o voluto fermare gli abusi liturgici! [SM=g27826]

@Nessuna@
00martedì 10 luglio 2007 20:14
Cardinale Lehmann: un passo positivo, il Motu Proprio sulla Messa in latino
Il commento del Presidente della Conferenza episcopale tedesca



MONACO, lunedì, 9 luglio 2007 (ZENIT.org).- Il Cardinale Karl Lehmann, Presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha detto che la pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum, che disciplina luso liturgico del Messale Romano del 1962, rappresenta una tappa importante per la Chiesa.

Durante una conferenza stampa tenuta a Monaco di Baviera il 7 luglio, il porporato si è detto assolutamente convinto che si tratti di un passo positivo per tutti coloro che amano questo tipo di Messa e che non vogliono essere accantonati in un angolo come se appartenessero ad una setta e come se facessero qualcosa di anormale.

Non è giusto mettere in negativo un tipo di Messa che nella Chiesa è stata utilizzata per secoli. Chi ha cercato di farlo e parla di rottura in questo senso, in realtà non ha capito nulla, ha aggiunto, secondo un comunicato diffuso dall'episcopato cattolico.

Il documento papale che non disconosce il Concilio Vaticano II né pone in dubbio la riforma liturgica del 1970, amplia ulteriormente la possibilità di celebrare la Santa Messa in latino e di amministrare i Sacramenti secondo il rituale antico contemplato nel Messale Romano edito dal Beato Giovanni XXIII nel 1962.

Nellesporre il punto di vista della Chiesa in Germania circa il Motu proprio di Benedetto XVI, il Cardinale ha detto che non esiste una rottura, come certi dicono. Non esiste un fosso tra lante-conciliare ed il post-conciliare. Esiste invece una continuità nellevoluzione di cui però spesso non è dato conto.

Credo che questo tipo di Messa sia sempre stata parte della Chiesa, e quindi fa parte anche della mia vita  ha sottolineato . E vero anche che da giovane sacerdote in essa ho costruito la mia devozione per lEucaristia. Non lho mai percepita come un qualcosa di estraneo.

Devo però anche dire che nei miei quasi 25 anni da Vescovo ho sempre potuto constatare come, al di là di alcuni abusi, la riforma liturgica si possa considerare unopera riuscita. Cè anche molto rispetto, le comunità lhanno accettata di buon grado, ha commentato.

In Germania, ha continuato il porporato, come in altre diocesi del mondo, diversi gruppi hanno fatto da tempo richiesta di poter celebrare la Messa in Latino secondo lantica forma liturgica.

Le cifre - senza volerci giocare o addirittura fare politica - le cifre dei cristiani, dei cattolici, che si sentono vicini alle forme tradizionali non sono poi cosi alte  ha continuato  . Ovviamente, ci sono anche persone che vi aderiscono per varie e diverse ragioni.

Se poi teniamo conto del fatto che nellultimo anno abbiamo offerto possibilità di celebrare la Messa tradizionale, forse non in modo adeguato ma pur sempre sufficiente, penso che latmosfera non dovrebbe essere poi troppo agitata, ha osservato.

Spero che da entrambe le parti si riesca ad orientare le teste calde verso una posizione più moderata, ha detto.

Questo, comunque  ha concluso , è ciò che vuole il Papa, che nella lettera di presentazione al Motu Proprio, indirizzata a tutti i Vescovi del mondo, ha parlato del suo desiderio di giungere a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa.
Paparatzifan
00giovedì 12 luglio 2007 21:41
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Chiesa. Lefebvriani: il Papa ci avvicinerà al cattolicesimo

Il motu proprio del Papa, che liberalizza l'antica messa preconciliare di San Pio V, è un alto salto in avanti nella giusta direzione, un regalo della Grazia e noi esprimiamo a Benedetto XVI la nostra profonda gratitudine. Queste le parole di mons. Bernard Fellay, Superiore generale della Fraternità di San Pio X, della comunità lefebvriana.

Lintervista di Fellay, pubblicata dal quotidiano spagnolo La Razon, è cura Vittorio Messori, scrittore e giornalista vicino all'Opus Dei, noto per aver intervistato due Papi e per aver spesso difeso la posizione dei tradizionalisti.

Fellay, proseguendo a commentare il documento Summorum pontificum, promulgato dal Papa nei giorni scorsi, dichiara questo è un momento storico, per i tradizionalisti legati al rito tridentino in latino. La normalizzazione della messa  continua lintervistato  è un atto di giustizia, è un aiuto soprannaturale straordinario in un momento grave di crisi ecclesiale.

E, ancora, aggiunge il successore di mons. Lefebvre aggiunge: La riaffermazione da parte del Santo Padre della continuità del Vaticano II e della messa nuova con la tradizione costante della Chiesa -dunque la negazione di una frattura che il Concilio avrebbe introdotto con i 19 secoli precedenti - ci impegna a proseguire nella discussione dottrinaria. Lex orandi, lex credendi: si crede come si prega. E ora si riconosce che, nella messa di sempre, si prega adeguatamente

Ma il mons. Fellay, nell'intervista a Messori, va oltre il motu proprio del Pontefice: Sì, la Provvidenza ha permesso che fossimo strumento per stimolare Roma e arrivare a questa svolta. Però siamo anche coscienti del fatto che siamo il termometro di una febbre che esige rimedi adeguati. Questo documento è una tappa fondamentale in un percorso che ora potrà essere più veloce, abbiamo speranze anche in merito alla questione della scomunica.

La Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata nel 1970 dal vescovo Marcel Lefèbvre, è un movimento in contrasto con il Concilio Vaticano. Raccoglie infatti tutti coloro che condividono le idee conservatrici e tradizionaliste del Vescovo francese e intendono conservare la Messa tridentina. La comunità ha vissuto momenti di forte defezione con la comunione di Roma, a causa dellatteggiamento di papa Giovanni Paolo II, che invitò i vescovi a ricorrere esclusivamente alluso del Messale Romano. Questa irremovibile fermezza di WojtyBa, ha portato, nel 1988, ha uno scisma, sanzionato ufficialmente dal Papa con lEcclesia Dei.

È oggi comprensibile, dunque, perché liniziativa del successore di Wojtyla sia così gradita alla comunità. E in effetti non sembrano vani i tentativi di Benedetto XVI di riavvicinare i lefebvriani alla chiesa cattolica.

© Copyright L'Occidentale


Paparatzifan
00giovedì 12 luglio 2007 21:47
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La maggiore apertura allantico Messale, un invito alla riconciliazione

Le porte sono aperte, sostiene il Cardinale francese Barbarin

LIONE, giovedì, 12 luglio 2007 (ZENIT.org).- Con il titolo Un invito alla riconciliazione, il Cardinale Philippe Barbarin, Arcivescovo di Lione e Primate di Francia, propone una riflessione sul Motu proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum.

Si tratta di unanticipazione per i lettori di ZENIT, su concessione di France Catholique, che pubblicherà il testo del porporato il 20 luglio.

Nella suo commento, il Cardinale francese invita allattenta rilettura della costituzione del Concilio Vaticano II sulla liturgia sacra "Sacrosanctum Concilium", promulgata il 4 dicembre 1963.

Due usi dellunico rito romano per rafforzare la riconciliazione allinterno della Chiesa: è stato lobiettivo di Benedetto XVI con la promulgazione, il 7 luglio, della Lettera Apostolica in forma di Motu proprio Summorum Pontificum sulluso della liturgia romana precedente alla riforma del 1970.

Il Motu Proprio stabilisce che il Messale Romano promulgato da Paolo VI (in seguito alla riforma liturgica, nel 1970)  e ripubblicato due volte da Giovanni Paolo II  è e rimane la forma normale o ordinaria della Liturgia Eucaristica della Chiesa cattolica di rito latino.

Da parte sua, il Messale Romano promulgato da San Pio V e ripubblicato dal beato Giovanni XXIII (nel 1962, quando la Messa si celebrava in latino) potrà essere utilizzato come forma straordinaria della celebrazione liturgica.

Anche se il Motu proprio non è stato redatto specificamente per i seguaci dellArcivescovo scismatico francese Marcel Lefebvre (fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X), sicuramente il documento spalanca la porta per un ritorno alla piena comunione con la Chiesa cattolica, come ha affermato recentemente il Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il Cardinale Darío Castrillón Hoyos, sottolineando che, in ogni caso, lantica Messa non è mai stata abolita né proibita.

Dal canto suo, il Superiore generale della scismatica Fraternità San Pio X, monsignor Bernard Fellay, ha scritto una lettera, in occasione della promulgazione del Motu proprio, riconoscendo il clima favorevole instaurato dalle nuove disposizioni della Santa Sede.

A suo avviso, occorre che l'innegabile avanzamento liturgico operato dal Motu Proprio sia seguito  dopo il ritiro del decreto di scomunica  da discussioni teologiche.

Di seguito riportiamo la riflessione del Cardinal Barbarin:

Le porte sono aperte

Per comprendere la decisione del Papa, ricordiamo  invita il Cardinal Barbarin  ciò che ha condiviso con i Cardinali dopo la sua elezione. Quando le porte della Cappella Sistina erano ancora chiuse, Benedetto XVI ha spiegato la scelta del suo nome. Riferendosi a Benedetto XV, grande artefice di pace, ha detto di voler vivere un pontificato di riconciliazione e di pace.

Oggi il Papa ritiene che se non compiamo subito un gesto, la divisione con i tradizionalisti diventerà uno scisma irrimediabile.

Conferma, quindi, le disposizioni di Giovanni Paolo II a questo proposito: se vogliono rimanere fedeli a Roma, sappiano che le porte sono aperte per loro e che il loro attaccamento alla liturgia antica non è un ostacolo, ha affermato il Primate di Francia.

Novità

Lunica vera novità di questo Motu proprio  insiste il Cardinal Barbarin  è che la decisione di acconsentire ai desideri dei fedeli in questo campo dipende dora in poi dallautorità dei parroci. Come ha fatto Giovanni Paolo II con i Vescovi nel 1988, Benedetto XVI invita i parroci ad accogliere di buon grado le richieste di celebrare la Messa secondo il rito del Messale romano pubblicato nel 1962.

Limpossibile esclusione del Messale romano attuale

Dallaltro lato, aggiunge lArcivescovo di Lione, il Papa invita i tradizionalisti a riconoscere il valore e la santità del Messale romano istituito da Paolo VI. I sacerdoti attaccati alla liturgia precedente al Vaticano II, siano essi dell'Isituto del Buon Pastore, della Fraternità di San Pietro o del movimento di Ecône, si sentiranno sicuramente colpiti da questa forte esigenza di Benedetto XVI. Lo stesso monsignor Fellay, responsabile della Fraternità di San Pio X, ha detto che era impossibile essere cattolici continuando ad essere separati da Roma. Sarà quindi un vero progresso per lunità se si accetterà di riconoscere il valore e la santità del Messale di Paolo VI con cui celebro la Messa ogni giorno dalla mia ordinazione e se si cesserà anche di escludere per principio la celebrazione secondo i nuovi libri.

Il Cardinal Barbarin pone il documento sulla linea del Sinodo dei Vescovi sullEucaristia che ha coronato lanno dellEucaristia voluto da Giovanni Paolo II, e dellEsortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI, e sulla linea della costituzione conciliare Sacrosanctum concilium: Notiamo che Benedetto XVI chiede a tutti di penetrare nella dimensione divina e sacra dellEucaristia. Da parte mia, auspico che tutti rileggano attentamente la costituzione del Vaticano II sulla liturgia. Questo sarà il cammino migliore per ricomporre lunità, sempre fragile nella Chiesa.

Lex orandi, lex credendi

Il Cardinal Barbarin spiega ciò che significa il vecchio adagio lex orandi, lex credendi in questi termini: In effetti, la liturgia è unespressione essenziale della fede della Chiesa secondo il ben noto principio lex orandi, lex credendi (la nostra preghiera esprime la nostra fede). La celebrazione dellEucaristia racchiude tutto il mistero pasquale. Ci supererà sempre, perché è allo stesso tempo la gioia del Giovedì Santo (comunione), il dramma del Venerdì Santo (sacrificio) e il Mistero della Resurrezione nella mattina di Pasqua (presenza). Questa riassume lessenza della nostra fede.

Quanto a un eventuale giudizio sul Concilio, non ci sono questioni né dubbi possibili. Benedetto XVI scrive che il timore di sminuire lautorità del Concilio Vaticano II e di vedere posta in dubbio una delle sue decisioni fondamentali non ha fondamento, insiste il Cardinal Barbarin.

Ritorno ai testi del Concilio

La mia speranza è che questo chiaro gesto del Santo Padre porti quanti sono ancora reticenti a riprendere i testi del Concilio, ad accettarli interiormente nella fede e a conformarsi ad essi in tutta la loro vita cristiana, e soprattutto nel loro ministero sacerdotale. Tutti abbiamo bisogno di tornare a questo insegnamento che io considero la fonte di rinnovamento e di unità nella Chiesa, conclude il Cardinale.

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Paparatzifan
00sabato 14 luglio 2007 22:35
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Dichiarazione del Presidente della Federazione Una Voce sul Summorum Pontificum

Il documento sarà una fonte di rinnovamento nella vita spirituale della Chiesa


DELFT, venerdì, 13 luglio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la dichiarazione di Jack P. Oostveen, Presidente della Federazione Internazionale Una Voce (FIUV), a commento del Motu proprio Summorum Pontificum sulluso della Liturgia romana anteriore alla riforma del 1970.
La FIUV raccoglie una trentina di associazioni nazionali che si richiamano al mantenimento della liturgia tradizionale della Chiesa, celebrata col Messale romano secondo ledizione tipica del 1962.

Con grande gioia e senso di profonda gratitudine, la Federazione Internazionale Una Voce accoglie il Motu Proprio Summorum Pontificum di Sua Santità Benedetto XVI. Per molti mesi abbiamo atteso con pazienza nella preghiera. Durante questo lungo periodo di attesa, il presidente, il segretario e il tesoriere della Federazione Internazionale hanno avuto numerosi incontri a Roma con funzionari della curia, e siamo stati consigliati pregare sempre per il Santo Padre, per l'uscita del Motu proprio e affinché esso possa essere un bene per tutta la Chiesa. Abbiamo avuto il privilegio di incontrare il Santo Padre il 13 giugno 2007, ed egli ci ha assicurati personalmente che il Motu proprio sarebbe stato pubblicato "presto, prima dell'estate". La nostra pazienza è stata ricompensata, e la Chiesa ha ricevuto un grande dono dal successore di Pietro.

Nella sua lettera apostolica Summorum Pontificum e nella lettera accompagnatoria ai suoi fratelli vescovi, il Santo Padre non solo ha liberalizzato l'uso del rito romano tradizionale, ma impartisce alla Chiesa alcune importanti lezioni. Con grande coraggio ha dichiarato quello che molti costituiti in autorità (comprese le gerarchie) conoscevano da molti anni: il Messale del 1962 non è mai stato abrogato e, di conseguenza, è sempre stato in vigore.

Questa dichiarazione, considerando che essa è coperta dalla piena l'autorità del Sommo Pontefice, mette fine al dibattito che si è aperto nel 1970. Ora noi tutti possiamo procedere in modo molto più costruttivo per il bene della Chiesa Universale. Con grande chiarezza, inoltre, Santo Padre ha definito la posizione del Messale di Giovanni XXIII e di quello di Paolo VI. Dichiarando questi due messali rispettivamente la forma ordinaria e quella straordinaria dello stesso rito romano, è pervenuto a una soluzione che può essere abbracciata, con la dovuta carità, da tutti i membri della Chiesa - vescovi, sacerdoti e laici -, e ha espresso la speranza che queste "due forme dell'uso del rito romano possano arricchirsi a vicenda".

Papa Benedetto ha dichiarato che la ragione che ha motivato la sua decisione di pubblicare questo Motu proprio doveva venire "a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa". Nei momenti critici nella storia della Chiesa, quando le divisioni hanno lacerato il corpo di Cristo, egli ammette che "non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l'unità". La Federazione Internazionale Una Voce è profondamente riconoscente al Santo Padre per il suo coraggio e la sua saggezza, e farà il possibile per aiutarlo nel suo desiderio della "la riconciliazione e l'unità". La Federazione è convinta che questo documento e la liberalizzazione del rito romano tradizionale saranno una fonte di rinnovamento nella vita spirituale della Chiesa. Pertanto chiediamo a tutti i fedeli di accettare il documento come segno di riconciliazione e come importante passo avanti verso la pace liturgica. Chiediamo inoltre a tutte le nostre associazioni membri di offrire al Santo Padre, ai vescovi diocesani, ai sacerdoti e ai fedeli tutto l'aiuto possibile per realizzare gli obiettivi del Motu proprio.

Rinnovando le nostre espressioni della più profonda devozione per l'augusta Persona del Vicario di Gesù Cristo in terra, e implorando il favore dell'Apostolica Benedizione per la nostra Federazione, ci professiamo figli obbedienti della Sua Santità, e lo assicuriamo della nostra lealtà, amore e preghiera.

J. P. Oostveen, Presidente della Federazione Internazionale Una Voce
Delft, Paesi Bassi 9 luglio 2007

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Paparatzifan
00domenica 15 luglio 2007 22:46
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Imbarazzo Molti uomini di Chiesa costretti ad ammettere: «Ci sentiamo inadeguati a questo passaggio»

Nessuno sa più il latino
Chi dirà la Messa?


Il Vaticano: i preti impreparati al ritorno del rito preconciliare

GIACOMO GALEAZZI

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Poi.. Ehhm..uhhm.. Insomma.. Non mi ricordo più...». Imbarazzo, sorpresa, un po di fastidio: la liberalizzazione della «messa tridentina» spiazza i preti «no lat», poco propensi a tornare sui banchi di scuola per rinfrescare gli studi seminariali. Da Nord a Sud sono tanti i sacerdoti restii, per varie motivazioni, a rispolverare, il vecchio messale romano.
«Non sono assolutamente in grado di dire messa in latino e mi vergognerei pure a farlo - taglia corto don Maurizio Fileni, 57 anni, parroco della chiesa di San Lorenzo a Cupramontana, in provincia di Ancona -. Non mi rimetto certo a fare lo studente, anche perché non ne vedo la ragione. Già i fedeli non ci capiscono in italiano, immaginiamo in latino: la gente vuol percepire il sacro. Per prepararmi e riprendere in mano il latino mi servirebbe un sacco di tempo e in parrocchia le cose da fare non mancano mai».
Perciò, se un gruppo di fedeli ha la libertà di chiedere la messa in latino, i sacerdoti hanno quella di non celebrarla. «Se portano il prete disponibile, offro la mia chiesa, ma non voglio saperne nulla del latino - spiega don Fileni -. Io sono stato ordinato nel 1977 e per tutta la vita ho usato il messale approvato dal Concilio Vaticano II, nel quale non cè quasi traccia di parole latine».
Il latino, quindi, sempre più lingua morta nei seminari e sempre meno in uso nella pratica quotidiana delle canoniche, conferma don Mario Mencaraglia, parroco lucchese dellalta Versilia. Eppure lui se li ricorda negli anni Cinquanta i preti della sua giovinezza, quelli che parlavano tra loro nellidioma di Cicerone e San Tommaso. «Da sessantenne appartengo allultima generazione di sacerdoti che ha davvero avuto a che fare con il latino. Ma non ho nostalgie, anzi. Negli ultimi tre decenni, per fortuna, è tutto cambiato anche nella formazione del clero e la Chiesa non può affidarsi a gesti e linguaggi anacronistici- afferma don Mencaraglia -. Anche per ragioni concrete la scelta di Benedetto XVI è impraticabile: un balzo nel passato. Non si possono riportare indietro le lancette della storia». Scarsa dimestichezza, dunque, con i termini della tradizione liturgica. «La messa tridentina non è roba per noi, è solo unoperazione per recuperare i tradizionalisti di Lefebvre. E poi i sacerdoti più giovani masticano poco il vecchio messale e io stesso a memoria non saprei dir messa in latino», concorda don Mariano Piccotti, 60 anni, parroco di San Sebastiano nel comune marchigiano di Castelplanio. «Nessun prete è costretto a tornare sui banchi per rinfrescare il suo latino. Se qualche diocesi vorrà fare dei corsi, bene», precisa padre Davide Maria Jaeger, francescano dellAntonianum di Roma. La «resistenza» al latino, però, nasce anche dalla difesa del «nuovo corso» conciliare. «E una lingua che ho approfondito per anni ma non intendo dire messa in latino - annuncia il sacerdote mantovano don Giovanni Nicolini, fondatore della comunità di Sammartini -. Da ragazzo ho un pessimo ricordo delle vecchie celebrazioni e nelle missioni in Africa celebro in swahili».
Nessuna nostalgia della solennità del latino: «Tanto più che nella Chiesa la lingua liturgica originaria è il greco». Non mancano, comunque, gli entusiasti. E che il «motu proprio» con cui Joseph Ratzinger liberalizza la messa di Pio V abbia preso in contropiede buona parte del clero, lo testimonia don Santino Spartà, sacerdote e insegnante a Roma che, al contrario, ha «puntato la sveglia sul 14 settembre» per la gioia di celebrare in latino. «Nei seminari si è tralasciato lo studio del latino e adesso molti preti si trovano spiazzati, in difficoltà con il messale di Pio V - sottolinea -. Senza dare nellocchio, in parrocchia, parecchi riprendono in mano i libri di latino per colmare le lacune di una preparazione inadeguata. Così riscoprono larmonia della grande liturgia. Ed è proprio il caso di dire: Indulgentiam absolutionem, et remissionem peccatorum nostrorum, tribuat nobis omnipotens et misericors Dominus....».

© Copyright La Stampa, 15 luglio 2007

Beh, questo è gravissimo!!! [SM=g27826] Questo è il risultato di un Concilio Vaticano II applicato a piacere, a una totale mancanza di controllo da parte di... a qui si dovrebbe dare la colpa? Scusate però ditemi quali sono stati i vantaggi di questo Concilio che alcuni si mettono in bocca come fosse il Vangelo? Io avevo un amico, un prete belga di un Ordine religioso dei più antichi che di celebrare la Messa in latino...neanche l'acca!!! e sì celebrare una Messa con dei bambini che ballavano davanti all'altare in un video che mi aveva inviato anni fa!!! Scusami, caro amico, ma mi sono sentita malissimo dopo aver visto il video e non sono stata capace di risponderti! [SM=g27819] [SM=g27819] [SM=g27819] [SM=g27819] [SM=g27819]


Paparatzifan
00martedì 17 luglio 2007 18:50
Dal blog di Lella...

Una tradizione che torna

Meglio le messe in latino che quelle con coretti e chitarre rock

di Marco Travaglio

Con un documento chiamato motu proprio, Papa Ratzinger ha autorizzato i fedeli che ne fanno richiesta ad assistere alla messa antica in latino secondo il messale di papa Giovanni XXIII al posto di quella in lingua volgare. La richiesta dovrà pervenire da gruppi di almeno 30 persone e potrà essere soddisfatta anche senza il parere dei vescovi.
Finora la parola del vescovo era vincolante: se lui era contrario, i credenti tradizionalisti dovevano andarsene altrove. Naturalmente la decisione di Benedetto XVI ha suscitato polemiche e critiche a non finire, in nome di un preteso progressismo contrapposto al presunto oscurantismo ratzingeriano. Certi commentatori improvvisati di cose di Chiesa , sempre pronti ( e spesso con piena ragione ) ad accusarlo di ingerenze in campo politico, ora pretendono di insegnare al Papa come si fa il Papa anche quando si muove nei campi suoi propri: la dottrina e, in questo caso, la liturgia. Ma il motu proprio sulla messa antica non è affatto oscurantista, come qualcuno ha detto. Anzi è il massimo della democrazia. Le messe normali continueranno a celebrarsi nelle lingue nazionali : litaliano in Italia, il francese in Francia e così via. Ma, se qualcuno preferisce quella antica in latino (che fra laltro resta la lingua ufficiale della Chiesa), sarà accontentato. E non si vede perché qualche trombone, che magari a messa neppure ci va, dovrebbe impedire alla gente di scegliersi il rito che preferisce. Oltretutto non è vero niente che la messa antica del Concilio di Trento (1563) riformata da Roncalli nel 1962, vada contro il Concilio Vaticano II.. Per la semplice ragione che Ratzinger è stato uno dei padri del Concilio e che il Vaticano II non riformò la liturgia. La riforma che di fatto abolì la messa in latino arrivò dopo, nel 1969, in piena ubriacatura sessantottina che vedeva il male assoluto in qualunque segno della tradizione. Qualcuno temeva che, con la messa antica, tornasse lorribile formula antisemita nella preghiera pasquale per i perfidi giudei: non è così, visto che laveva già cancellata Papa Giovanni. Qualcun altro paventa che si dia spago ai seguaci del vescovo scismatico Marcel Lefebvre, scomunicato per aver ordinato vescovi a dispetto di Roma, ma lo scisma Lefebvre dipende da ben altre questioni (il rifiuto del Concilio e dellecumenismo) e semmai lapertura alla tradizione potrebbe indurre alcuni lefebvriani a tornare allovile.
Personalmente ho assistito qualche volta, nella splendida chiesa della Misericordia in via Barbaroux a Torino alla messa antica, col prete rivolto verso il tabernacolo anziché verso i fedeli, con i chierichetti in ginocchio e con la sola omelia in italiano. Niente chitarre o batterie, se Dio vuole. Solo organo a canne, solo canti gregoriani. Molto più solenne e suggestiva, ma anche più consona al raccoglimento. Diciamo pure molto più bella. Cè qualcosa di male se qualcuno la preferisce così? Forse che le preghiere in latino, semprechè chi le fa lo conosca, valgono meno?
E poi, lo confesso, quando sento certe chitarre in chiesa, mi vengono istinti omicidi. E non è bello, durante una messa, desiderare la morte di qualcuno. Come dice il Padre Nostro, non ci indurre in tentazione.

© Copyright A Anna, n. 28 del 15 luglio 2007


Certo che meglio le Messe in latino... e senza chitarre!!!! [SM=g27823]



Paparatzifan
00martedì 17 luglio 2007 18:59
Dal blog di Lella...

La novità nella celebrazione della messa decisa da papa Benedetto XVI con motu proprio

Latino, parroci soddisfatti

A S. Gordiano un gruppo di fedeli pronto a chiedere il vecchio rito

di STEFANIA MANGIA

Parroci soddisfatti per il Motu proprio deciso da papa Benedetto XVI col quale si introduce la possibilità di celebrare la messa col vecchio rito latino (in base al Messale romano di Pio V riformato da Giovanni XXIII nel 1959). I parroci sottolineano come il latino non fosse mai stato abolito e il senso ecumenico della novità che entrerà in vigore il 14 settembre. A S.Gordiano un gruppo di fedeli già pronto a chiedere il ritorno al vecchio rito.
Il latino nella messa cattolica: né vezzo elitario, né presuntuoso intimismo e nemmeno nostalgico ritorno al passato.
Un giro in alcune parrocchie è stato quanto mai utile per capire cosa ne pensano i parroci e per approfondire il significato della recente decisione papale che entrerà in vigore il 14 settembre prossimo.
«Quella di Papa Benedetto XVI non suona affatto come una restaurazione - spiega don Franco Fronti, in questi giorni sostituto di don Vito Passantino, a San Liborio - da sempre il latino è la lingua della Chiesa e da sempre cè la possibilità di celebrare in latino: prima serviva lautorizzazione del Vescovo, adesso, se richiesta da un gruppo di fedeli, la messa più facilmente potrà essere celebrata nellantica lingua. E non necessariamente ogni giorno - conclude - ma in momenti liturgicamente rilevanti o solenni, o in contesti eccezionalmente multiculturali: il latino unirà cattolici divisi da lingue volgari diverse».
Anche per don Giuseppe Verdecchia, dei Salesiani, tale provvedimento va letto nellottica dellecumenismo: «Lunità della chiesa è molto importante, anche e soprattutto alla luce di scismi come quello del vescovo Marcel Lefebvre».
Padre Appio Rosi, dei Cappuccini, afferma: «Nessun cambiamento sconvolgente. Quello apportato dal Concilio Vaticano II lo fu realmente: rivoluzionò il modo di celebrare con il sacerdote che, da una posizione di portavoce del popolo verso Dio (spalle ai fedeli), si aprì verso la platea, ricordando il vero significato della parola ecclesia, assemblea. E poi la rivoluzione copernicana della lingua volgare, accessibile a tutti, non solo nellomelia. Già allora si poteva celebrare in latino. Certo, per una serie di non semplici passaggi burocrativi non lo si faceva spesso ma ora come allora il latino, un po come nella giurisprudenza, esprime con forza concetti teologici chiari, non soggetti ad ambigue interpretazioni post traduzione. Questa decisione si applicherà in contesti particolari, come la chiesa di San Pietro, dove coesitono quotidianamente lingue diversissime o quando un grupo di fedeli ne esprimerà il desiderio. Certo - conclude - il celebrante come i fedeli richiedenti dovranno masticare bene il latino, altrimenti si ridurrà a vuota esteriorità il valore della celebrazione stessa.
« La polemica è solo italiana  afferma deciso don Giuseppe Lamanna, parroco di Campo dellOro  nessuno vuole imporre il latino a chi non lo conosce! Il Papa dà unopportunità in più di sottolineare che il latino è stato, è e sarà la lingua ufficiale della religione cattolica. In questo modo, soprattutto in momenti particolarmente solenni o multietnici non esisteranno problemi di comunicazione».
E don Franco Nardin, parroco a San Gordiano, aggiunge: «Ho apprezzato questo tentativo di ricomporre lunità, sempre più minata, della Chiesa. Nella mia realtà parrocchiale, appena appresa questa novità, alcuni fedeli mi hanno chiesto di organizzarmi subito per la prima messa in latino&».

© Copyright Il Messaggero, 16 luglio 2007
Paparatzifan
00martedì 17 luglio 2007 19:03
Dal blog di Lella...

LE IDEE

Caro Balletto sulla messa tridentina farò l´obiettore

Non è una banale questione di liturgia ma uno scontro di culture

DON PAOLO FARINELLA

DISPIACE che una delle «teste ordinate e ben fatte» come don Balletto abbia fatto cilecca d´un colpo, scrivendo dotte considerazioni filosofiche sul «Messa in latino» e sull´estetica della lingua latina. Questo modo di presentare il documento pontificio «Summorum Pontificum» è deformante, falso e purtroppo ci cascano tutti forse perché è un modo innocuo per far passare scelte destabilizzanti, mistificatorie e sbagliate.
No, caro don Antonio Balletto! Io non ci sto a questo irenismo di un colpo al cerchio e uno alla botte proposto alla fine dell´articolo. Il motu proprio di Benedetto XVI non restaura la «messa in latino», ma autorizza i fedeli a chiedere la celebrazione della «Messa tridentina», detta di Pio V, ritoccato più volte da Clemente VIII, Urbano VIII, Pio X, Benedetto XV e Pio XII. E´ una questione totalmente differente. Che la Messa di Pio V sia in latino o in greco o in siriano o in genovese è ininfluente perché puramente accidentale, ciò che invece è tragico, antistorico e dubbio da un punto di vista dottrinale, riguarda la restaurazione pura e semplice della teologia e della ecclesiologia che sottostanno al rito tridentino. Teologia ed ecclesiologia che configgono con il magistero successivo (potrei portare in qualsiasi sede ampia facoltà di prova) e specialmente con il magistero di Giovanni XXIII, Paolo VI e del Concilio, la cui Messa riformata da sempre si può dire in latino, se occorre la necessità. Io stesso l´ho utilizzata con amici polacchi.
I nostalgici lefebvriani hanno fatto della Messa la loro bandiera, ma dietro c´è un esercito di motivi teologici che essi contestano. Essi rifiutano a piè di lista il concilio ecumenico Vaticano II, definiscono Paolo VI papa demoniaco, i papi da Paolo VI a Giovanni Paolo II papi scismatici e senza autorità. Hanno formulato negli anni ´80 la tesi teologica detta di «Cassiaciacum» con cui dimostrano che questi papi pur essendo stati eletti legittimamente, non hanno ricevuto la potestà apostolica per cui non hanno autorità sulla chiesa. I fedeli non sono tenuti ad ubbidirgli, altro che latino!
Il papa non si limita a concedere «la Messa in latino», ma concede il «messale di Pio V», contrabbandato come «messale di Giovanni XXIII» che è un falso storico, dal momento che questi si è limitato ad aggiungere il nome di San Giuseppe nel canone e a togliere l´espressione «pro perfidis Iudaeis», editando il messale precedente in tutto e per tutto perché ancora non era giunta la riforma conciliare. Accanto al messale tridentino concede l´uso del «sacramentario» cioè la celebrazione dei sacramenti (battesimo, cresima, matrimonio, ecc.) secondo i riti preconciliari.
Addirittura a chi ne ha l´obbligo concede l´uso dell´antico breviario, azzerando in un solo colpo la riforma di Paolo VI che parlava di «Novum Messale» e di «Liturgia delle Ore».
Non è una questione banale di lingua che non interessa nessuno, è uno scontro titanico di culture e di teologie. Dietro Pio V c´è la teologia della Chiesa senza popolo: attore del culto divino è solo il prete che parla da solo come e scandisce in forma magica le parole consacratorie; c´è l´antigiudaismo viscerale, c´è la visione del mondo come «cristinairìtà», ecc..
Dietro Paolo VI c´è la chiesa popolo di Dio che è il soggetto celebrante, c´è la Chiesa «nel mondo»; c´è il popolo ebraico «fratello maggiore»; c´è la coscienza come termine ultimo di decisione, ecc. Dietro a tutto vi sono due ecclesiologie, due modi di concepire il mondo, l´uomo, le relazioni con gli Stati, la libertà religiosa e di coscienza. Altro che latino, lingua bella e formatrice di teste pensanti! Se questi sono i risultati, significa che il latino ha costruito teste fragili e pensieri deboli e sensibilità bambine.
Don Balletto vuole la prova? Il Capo degli scismatici lefebvriani: Bernard Fellay ha già dichiarato che questo è solo l´inizio perché ora si tratta di affrontare tutti i problemi che stanno dietro la Messa di Pio V e cioè i problemi dottrinali incompatibili con il Vaticano II. Questo motu proprio, un vero blitz del papa tedesco contro il parere della quasi totalità dei vescovi e dei cardinali, è solo l´inizio di una valanga. Infatti, coerentemente, ad esso è seguito l´ultimo documento della Congregazione della fede che ancora una volta sconfessa Paolo VI e il Concilio e chiude definitivamente il dialogo ecumenico. Non mi meraviglia questo secondo documento perché è in pieno nella logica della teologia e dell´ecclesiologia tridentina espressa nel messale di Pio V, sia che sia in latino sia che sia in genovese.
Il papa è ossessionato dal concilio e intende metterlo in soffitta. Non ci riuscirà perché anche i papi sbagliano e questo cammino antistorico all´indietro gli si ritorcerà contro, come sta già avvenendo.
La Lega di Bossi ha già mobilitato i suoi xenofobi a pretendere dai parroci la «Messa del passato» e il ritorno alla teologia di ieri, l´abolizione del concilio e il ripristino del magistero di sempre. Don Balletto è servito anche in lingua padana. Per quanto mi riguarda in quanto prete io mi dichiaro obiettore di coscienza in nome e per conto di Paolo VI e per fedeltà al Concilio ecumenico vaticano II.

© Copyright Repubblica (Genova), 15 luglio 2007


Sì, si vede che lo conosci bene il Concilio! [SM=g27825] Una domandina: tu non dovresti in realtà obbedire il Papa regnante? [SM=x40791]

Sihaya.b16247
00martedì 17 luglio 2007 23:24
Re: Dal blog di Lella...
Paparatzifan, 17/07/2007 18.50:


Una tradizione che torna

Meglio le messe in latino che quelle con coretti e chitarre rock

di Marco Travaglio

...





OTTIMO!!! [SM=g27811]



Sihaya.b16247
00martedì 17 luglio 2007 23:34
Re: Dal blog di Lella...
Paparatzifan, 17/07/2007 19.03:


LE IDEE

Caro Balletto sulla messa tridentina farò l´obiettore

Non è una banale questione di liturgia ma uno scontro di culture

DON PAOLO FARINELLA

...
© Copyright Repubblica (Genova), 15 luglio 2007


Sì, si vede che lo conosci bene il Concilio! [SM=g27825] Una domandina: tu non dovresti in realtà obbedire il Papa regnante? [SM=x40791]




Questo Farinella non è nuovo a certi commenti (se ben ricordo un altro articolo in questo forum, non vorrei confonderlo con altri)...Ma di cosa ha paura? Che si ritorni ad essere seri?
E poi, che furbone, Scalfari, a far scrivere dalle colonne di Repubblica un...ehm...Merlo in tonaca! [SM=g27828]
Paparatzifan
00mercoledì 18 luglio 2007 23:08
Re: Re: Dal blog di Lella...
Sihaya.b16247, 17/07/2007 23.34:



Questo Farinella non è nuovo a certi commenti (se ben ricordo un altro articolo in questo forum, non vorrei confonderlo con altri)...Ma di cosa ha paura? Che si ritorni ad essere seri?
E poi, che furbone, Scalfari, a far scrivere dalle colonne di Repubblica un...ehm...Merlo in tonaca! [SM=g27828]


Sì, è questo prete qua! Uno a cui piace la polemica!!! [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812]




Sihaya.b16247
00giovedì 19 luglio 2007 23:32
Da Petrus

"Mai più perfidi giudei": la soddisfazione del mondo ebraico

CITTA’ DEL VATICANO - Le comunita' ebraiche italiane sono soddisfatte per la disponibilita', annunciata ieri dal segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, di eliminare la preghiera per la conversione degli ebrei contenuta nel messale pre-conciliare in latino, liberalizzato di recente da Benedetto XVI. Gli esponenti ebraici auspicano soprattutto - per dirla con le parole del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni - una ''conclusione sollecita della vicenda'' da parte della Santa Sede. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, ha ricordato che lo stesso Papa Benedetto XVI, nella lettera di spiegazioni del suo Motu Proprio sulla messa in latino, prevedeva la possibilita' di ritocchi, modifiche, aggiustamenti al messale risalente al 1962. ''Il testo - ha detto Lombardi - non va inteso in una sorta di fissita' definitiva, come qualcosa di eterno''. E in questo senso si spiegano le parole di Bertone. La preghiera per la conversione degli ebrei, scomparsa nel 1970 con la riforma post- conciliare di Paolo VI, torna formalmente ad avere cittadinanza nella liturgia cattolica a partire dal prossimo settembre, quando entrera' in vigore la liberalizzazione della messa pre-conciliare. Non si tratta della versione piu' antica (e anti-semita), quella dei ''perfidi giudei'', gia' epurata nel 1959 da Giovanni XXIII. Tuttavia nel messale in latino messo a punto da papa Roncalli nel 1962 e riproposto adesso da Benedetto XVI rimane l'invocazione a Dio perche' tolga il ''velo'' dal cuore dei giudei (Iudaei), li salvi dalla loro situazione di ''accecamento'' e di ''tenebre''. Ieri il card. Bertone, in una conferenza stampa in Cadore a pochi chilometri dalla villetta dove soggiorna Ratzinger, ha detto che ''si potrebbe studiare l'eliminazione della preghiera'' e con cio' risolvere ''ogni problema'' con le comunita' ebraiche, preoccupate da possibili rigurgiti antisemiti. Le dichiarazioni del segretario di Stato vaticano ''sgombrano il campo dai timori'', ha commentato il presidente dell'Unione delle Comunita' ebraiche italiane, Renzo Gattegna (nella foto). ''Si tratta - ha spiegato - di frasi molto precise e molto chiare che confermano la disponibilita' della chiesa cattolica a proseguire nel dialogo fra ebrei e cristiani su un irrinunciabile piano di pari dignita'''. Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha rimarcato ''la fondatezza delle preoccupazioni ebraiche sul fatto che fosse possibile il ripristino di una preghiera inquietante''. ''Sono contento comunque - ha aggiunto - che il cardinale abbia dimostrato disponibilita' ad affrontare il problema''. Secondo Di Segni e' necessaria, in ogni caso, ''una conclusione molto sollecita del problema perche', se non fosse risolto, non gioverebbe al dialogo un clima di incertezza e di sospetto''. Bertone ha ipotizzato che la preghiera giudicata offensiva dagli ebrei venga sostituita semplicemente, anche nel messale in latino, da quella introdotta da Paolo VI nel 1970. ''Preghiamo per gli ebrei. Il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedelta' alla sua alleanza'', si recita nel testo post- conciliare che resta tuttora valido nel rito ''ordinario'' cattolico.


Paparatzifan
00lunedì 30 luglio 2007 17:29
Dal blog di Lella...

L'accoglienza del Motu proprio “Summorum pontificum” /2 Il cardinale Martini: non celebro in latino

di Mattia Bianchi

L'arcivescovo emerito di Milano interviene nel dibattito sulla liberalizzazione del rito tridentino. Sono legato alla liturgia preconciliare, scrive, ma con il Concilio Vaticano II si è fatto un bel passo in avanti.

È una posizione che farà discutere. Nessuna critica al papa e anche spazio ai ricordi personali, ma il cardinale Carlo Maria Martini annuncia che non celebrerà la messa con il messale preconciliare. L'arcivescovo emerito di Milano ne parla in un intervento pubblicato sul supplemento domenicale de “Il Sole 24 Ore”: un testo per confermare il legame alla liturgia antica usata “dalla prima comunione all'ordinazione sacerdotale” e al tempo stesso, chiarire tre concetti che suonano come delle vere e proprie perplessità sulla liberalizzazione decisa da Benedetto XVI.

In primo luogo, il cardinale spiega di non voler usare il messale antico, “perché ritengo che con il Concilio Vaticano II si sia fatto un bel passo avanti per la comprensione della liturgia e della sua capacità di nutrirci con la Parola di Dio, offerta in misura molto più abbondante rispetto a prima". "Di fatto bisogna riconoscere che per molta gente la liturgia rinnovata - continua il card. Martini - ha costituito una fonte di ringiovanimento interiore e di nutrimento spirituale". E anche se ci sono stati degli abusi, ''non mi pare tanti presso di noi''.

"In secondo luogo - sottolinea il cardinale - non posso non risentire quel senso di chiuso, che emanava dall'insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora lo si viveva, dove il fedele con fatica trovava quel respiro di libertà e di responsabilità da vivere in prima persona di cui parla san Paolo ad esempio in Galati 5,1-17". Al contrario, "sono assai grato al Concilio Vaticano II perché ha aperto porte e finestre per una vita cristiana più lieta e umanamente più vivibile”.

La terza spiegazione tira in ballo la comunione e questioni di praticità.

"Pur ammirando l'immensa benevolenza del papa che vuole permettere a ciascuno di lodare Dio con forme antiche e nuove - conclude il cardinale - ho visto come vescovo l'importanza di comunione anche nelle forme di preghiera liturgica che esprima in un solo linguaggio l'adesione di tutti al mistero altissimo". "

E qui confido nel tradizionale buon senso della nostra gente, che comprenderà come il vescovo fa già fatica a provvedere a tutti l'Eucaristia e non può facilmente moltiplicare le celebrazioni ne' suscitare ministri ordinati capaci di venire incontro a tutte le esigenze dei singoli - conclude il cardinale -

Ricavo come valido contributo del 'Motu propio' la disponibilità ecumenica a venire incontro a tutti, che fa ben sperare per un avvenire di dialogo fra tutti coloro che cercano Dio con cuore sincero".

Korazym


Ma guarda un po! Se vede, Martini, che non hai molta voglia di dare una mano al Papa almeno standotene zitto qualche volta!!! [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826]


Paparatzifan
00mercoledì 1 agosto 2007 17:33
Dal blog di Lella...

Messa in latino, non tutti contro

Sono le voci critiche o contrarie a fare notizia, e non la stragrande maggioranza di coloro che hanno accolto senza riserve la decisione di Benedetto XVI di liberalizzare l’antico messale. Rilancio la segnalazione di un visitatore di questo blog e invito a leggere il messaggio inviato dal vescovo di Frosinone Salvatore Boccaccio al Papa e ai fedeli.

Andrea Tornielli


Motu proprio: il vescovo scrive ai fedeli e al S.Padre

Il Vescovo diocesano, Mons.Salvatore Boccaccio esprime il suo parere sul Motu proprio scrivendo ai fedeli della sua chiesa locale di Frosinone - Veroli - Ferentino e al S.Padre, Benedetto XVI.

In occasione della pubblicazione del Motu Proprio "Summorum Pontificum", sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970 e in particolare circa la possibilità di usare i testi del Messale latino di S. Pio V, Mons. Vescovo ha voluto indirizzare ai fedeli della Diocesi la seguente lettera:

Carissimi fratelli di questa amata Diocesi di Frosinone - Veroli - Ferentino,

ho ricevuto lo scorso 19 luglio, il testo del Motu proprio "Summorum Pontificum" con cui il Santo Padre Benedetto XVI ha promulgato la opportunità di celebrare la S. Messa
secondo il rituale di S. Pio V nella edizione voluta dal B. Giovanni XXIII.

Ciò che mi ha colpito in questa pubblicazione sono alcune pagine che, sono pubblicate in appendice al Motu proprio, con le quali il Santo Padre si rivolge direttamente a noi Vescovi, chiedendoci di condividere la sua ansia pastorale e il suo amore per l'unità della Chiesa.

Ho ritenuto perciò importante rispondere al Santo Padre a nome di tutta la Chiesa di Frosinone - Veroli - Ferentino, con il testo che qui di seguito viene pubblicato.

Vi esorto ad accogliere di buon animo le indicazioni del nostro Pastore, nella ricerca del bene comune e della comunione tra tutti noi e vi benedico dal profondo del cuore.

Frosinone 25 luglio 2007

+ Salvatore Boccaccio


Questo, invece, il testo della missiva indirizzato a Papa Benedetto XVI:

Frosinone 25 luglio 2007

Beatissimo Padre, a nome mio personale e a nome di questa Chiesa di Frosinone - Veroli - Ferentino che mi è affidata, sento il bisogno di esprimere i più devoti ringraziamenti per il Motu proprio "Summorum Pontificum" con cui Vostra Santità ha voluto offrire alla Chiesa l'opportunità di utilizzare nella celebrazione della S. Messa il venerabile rito in lingua latina promulgato da San Pio V e nuovamente edito nel 1962 dal Beato Giovanni XXIII.
Comprendo pienamente lo sforzo di Vostra Santità di operare, anche per mezzo del Motu Proprio, una riconciliazione interna nel seno della Chiesa attraverso una illuminata disposizione che, mentre nulla rinnega della ricchezza apportata alla Liturgia dal Concilio Vaticano II, ribadisce la sacralità e la dignità di una forma celebrativa che costituisce un intramontabile patrimonio a cui sarebbe insano rinunciare.
Condivido poi senza riserve, l'intuizione di Vostra Santità circa le due forme di celebrazione della Liturgia romana che, laddove vissute in piena comunione ecclesiale e senza pericolosi preconcetti e chiusure, potranno arricchirsi a vicenda favorendo uno stile celebrativo che, senza cedere al formalismo, salvaguardi, insieme all'attiva partecipazione di tutti i fedeli, la dignità delle celebrazioni. Voglio poi esprimerLe, Santo Padre, tutta la mia riconoscenza per il tono affettuosissimo e paterno con cui si è rivolto a noi Vescovi nella lettera che ha accompagnato il documento.
Ho interpretato questa confidenza come una commovente espressione di quella Collegialità che ci rende unum in Christo.
In piena unione con il mio Presbiterio Le garantisco, Padre Santo, che nelle situazioni concrete sapremo far tesoro delle preziose indicazioni offerteci dal Motu Proprio, e nello spirito vero del Concilio Vaticano II, sapremo unire nova et vetera nel canto d'amore eterno che è la Liturgia.
Nel porgere a Vostra Santità i miei filiali saluti, invoco per questa mia Chiesa particolare l'apostolica benedizione come sostegno ed incoraggiamento ad essere sempre più nel nostro agire e nel nostro essere "un Sacrificio vivente gradito a Dio", una Lode vivente al Signore!

+ Salvatore Boccaccio
Vescovo

dal blog di Andrea Tornielli


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Paparatzifan
00giovedì 2 agosto 2007 19:51
Dal blog di Lella...

L’adorazione

La messa in latino cancella la fretta urticante della nuova liturgia e ci fa girare

Francesco Agnoli

Ai piedi di una bella montagna, slanciata verso il cielo, ogni uomo sente dentro di sé qualcosa, un movimento segreto, intimo, incomunicabile, che la parola non sa esprimere, ma che assomiglia molto ad un desiderio di umile adorazione. L’immensità buona e potente della montagna risveglia nell’uomo di città, nell’uomo delle moderne metropoli piatte e monotone, confuse e rumorose, quello che Romano Amerio considerava il cuore dell’esperienza umana: “Il problema dell’uomo è il problema dell’adorazione e tutto il resto è fatto per portarvi luce e sostanza”. Che l’adorazione sia il problema dell’uomo, oggi, non è tanto facile capirlo. Non ci aiutano a farlo né le infinite occupazioni, né gli svaghi senza uscita offertici dalla tecnologia, né il diluvio di parole in cui siamo sommersi. Eppure, come scrive il Radaelli, nel suo bellissimo “Ingresso alla bellezza” (Fede & Cultura), “l’adorazione è un atto che soddisfa perfettamente il fine ultimo dell’universo, il quale, a cominciare dal nome, esige in primo luogo l’unità: ma non solo e non tanto l’unità del proprio essere universo, ma l’unità con l’Essere da cui esso, ‘ente per partecipazione’, in tutto dipende: con Dio, con l’Ente in sé sussistente; l’adorazione è l’atto che permette di non fratturarsi da Lui, pena trovarsi, statim, nulla”.
Su un pensiero analogo a questo si fonda la recente decisione di Benedetto XVI di liberalizzare l’antica messa latina, e di attuare col tempo una riforma liturgica nella riforma del 1970. Perché è innegabile che là dove l’adorazione dovrebbe trovare il suo culmine, nella sacra liturgia, nella preghiera comune della chiesa, nel sacrificio che unisce cielo e terra, purgatorio e paradiso, uomini e angeli, vi è sempre di più, oggi, qualcosa di assolutamente incongruo, dissonante. Al punto che il momento fondante della Messa, l’incontro con Gesù eucarestia, che dovrebbe rappresentare il massimo della umiliazione e divinizzazione, al tempo stesso, del fedele, avviene nella nuova liturgia nel più completo anonimato, alla fine della celebrazione, quasi in extremis, non più in ginocchio, come un tempo, ma in piedi, da pari a pari, con una frettolosità orticante, per chi, appunto, desideri adorare, prostrarsi; non più in bocca, con quella riverenza che si conviene, ma in mano, come se la comunione fosse non un panis angelicus caduto dal cielo ma un cibo qualsiasi, che si prende da soli, che si sceglie di afferrare, e non di ricevere in dono, così come si fa dalla tavola, a ogni pasto.

Per non degenerare in show

L’adorazione infatti implica un atto di umile sottomissione, e soprattutto un verso, una direzione: è un orare ad, cioè verso qualcuno, e quel qualcuno può e deve essere solo Dio, a cui è presente tutta l’umanità, non solo il “popolo”, la comunità di un determinato istante o di un determinato luogo. Pregare verso Dio, verso oriente, esige allora un atteggiamento del cuore e del corpo, che tutta la celebrazione deve contribuire a creare. La messa deve tornare a essere dialogo tra Dio e gli uomini, tramite il Dio che si è fatto uomo e che si presenta a noi sotto le spoglie del sacerdote, non dialogo tra un presidente e la sua assemblea.
E tutto, dall’arte, alle statue, all’altare, alla musica, deve tornare a servire a questo, perché “se manca il genius dell’adorazione trinitaria, subito subentra e gli si impone il genius opposto dell’antiadorazione, ossia della dispersione, della vacuità, del laicismo irrazionale e relativizzante”.
Antiadorazione significa, come scriveva il cardinal Ratzinger nella prefazione ad un libro del grande liturgista Klaus Gamber, “liturgia degenerata in show, nella quale si cerca di rendere la religione interessante sulla scia di sciocchezze di moda e di massime morali seducenti, con successi momentanei nel gruppo dei fabbricatori liturgici, e di conseguenza una tendenza al ripiegamento sempre più forte in coloro che nella liturgia non cercano lo showmaster spirituale ma l’incontro col Dio vivente”. Dio vivente, come nota sempre il Radaelli, che viene addirittura eliminato nelle immagini, nelle piante non più a croce, e nelle croci stesse, con una strana furia iconoclasta: “Non c’è più Volto, perché spesso il sacro Volto non lo si figura più o, se lo si figura, gli si svellono i caratteri dell’individuo: sacri volti senza occhi, sante mani senza dita, croci senza Crocifissi…”. Lo notava, quasi quarant’anni fa, anche Guareschi, in una amara lettera al suo don Camillo, in cui lo invitava ironicamente a seguire le disposizioni della riforma liturgica, a dimenticare la sua storia, ad abbandonare la liturgia che aveva sempre celebrato: “Lei don Camillo… aveva pur visto alla tv la suggestiva povertà dell’ambiente e la toccante semplicità dell’Altare, ridotto a una proletaria tavola. Come poteva pretendere di piazzare in mezzo a quell’umile sacro desco un arnese alto tre metri come il suo famoso crocifisso cui lei è tanto affezionato? … non si era accorto che il crocifisso situato al centro della tavola era tanto piccolo e discreto da confondersi coi due microfoni?”.
Ecco, dopo oltre trent’anni, torneremo, piano piano, alla centralità della croce, e alla centralità dell’Altare: verso il Signore.
E’ questa la restaurazione liturgica che Benedetto XVI persegue da quando era cardinale. La Croce che, come scrive Radaelli, significa “umiltà, obbedienza, dipendenza, contrizione, conversione del cuore, sacrificio, penitenza, silenzio”; la croce senza la quale il cristianesimo diviene una filosofia, una sociologia, una forma di moralismo, una forma di scoutismo, una serie di cose per le quali “mestier non era parturir Maria”.

© Copyright Il Foglio, 2 agosto 2007


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